SEYSSEL, Claudio
(Claude de Seyssel). – Nacque intorno al 1450 probabilmente ad Aix-les-Bains, figlio naturale dell’omonimo maresciallo di Savoia e governatore di Piemonte, esponente di un’antica famiglia dell’aristocrazia savoiarda. La madre del futuro arcivescovo fu forse Guglielma de la Motte, che ebbe dal maresciallo di Savoia altri due figli naturali, Luigi e Antonio. Fu legittimato certamente prima del 1501, forse già nel 1495, quando iniziò a essere registrato costantemente con il nome di famiglia.
Dopo una prima educazione in Savoia, intorno al 1465 passò a Torino, dove il padre risiedeva, e qui fu avviato agli studi di diritto nella locale università. Frequentò le lezioni di Giacomino Micheloni da San Giorgio, titolare della cattedra ordinaria di diritto civile con spiccati interessi per la dottrina feudale. Nel 1482 si spostò nello Studio generale di Pavia, dove ascoltò gli insegnamenti del noto giurista Giasone del Maino, successivamente ricordato da Seyssel, nel suo Speculum feudorum, con espressioni di stima ma anche di critica per il tradizionalismo del metodo adottato, soprattutto nell’interpretazione del diritto feudale. Presso Giasone del Maino il giovane savoiardo acquisì una formazione nel diritto ancora impostata sulle tecniche della scuola bartolistica, che manterrà nelle sue opere giuridiche.
Mentre si trovava a Pavia, venne incaricato di alcune ambasciate dal duca di Savoia Carlo I, tra cui, nell’estate del 1484, quella presso Ludovico il Moro. Quest’ultimo fu invitato dal principe sabaudo a tenere in adeguata considerazione nella corte milanese Bona di Savoia, vedova di Galeazzo Maria Sforza, la cui posizione era stata compromessa dalla fallita congiura contro il Moro: il forte discorso tenuto da Seyssel dinanzi al Senato di Milano gli costò il bando dal territorio milanese, poi revocato per l’intervento del duca Carlo I. Rientrato a Torino, si laureò in utroque iure nel 1486, presentato all’esame di laurea dal promotore Giacomino da San Giorgio. Nello stesso anno venne immatricolato nel collegio cittadino dei dottori giuristi e salì alla cattedra pomeridiana di diritto civile dell’Università di Torino, supplendo anche, dall’anno successivo, Giacomino da San Giorgio alla prestigiosa lettura ordinaria del mattino, che gli venne definitivamente assegnata nel 1494, alla morte del suo antico maestro.
Insegnò nello Studio sabaudo fino al 1498, con frequenti interruzioni: negli anni 1492-93 prestò servizio presso la corte di Francia, nominato da Carlo VIII referendario nel Parlamento di Parigi. Il ricorso alla scientia dei docenti dello Studio da parte dei principi sabaudi interessò anche Seyssel, impiegato con sempre maggiore frequenza nella vita politica dai duchi che, dal 1494, lo vollero nel Consiglio cum domino residens. I legami allacciati con il duca d’Orléans, il futuro Luigi XII, lo spinsero nel giugno del 1495 a partecipare alla battaglia di Novara. In questi anni iniziò a essere frequentemente sostituito nella docenza dal suo allievo Tommaso Parpaglia, che lo rimpiazzò definitivamente nell’autunno del 1498, quando Seyssel si trasferì presso la corte di Francia come consigliere di Luigi XII.
Durante la docenza torinese scrisse alcuni commenti e repetitiones al Codice e al Digesto; compose inoltre lo Speculum feudorum, un trattato sul diritto feudale lasciato incompiuto che ebbe una certa fortuna tra i contemporanei, ripreso, tra gli altri, nel De feudis di Ulrich Zasio. Con lo Speculum Seyssel, mantenendosi nel solco della tradizione medievale, volle realizzare una sistemazione e una sintesi del diritto feudale, con l’intento di arrivare a un testo chiaro, rivolto non solo alla norma, ma anche alla prassi. I suoi allievi Domenico di San Germano e Giorgio Floro promossero l’edizione delle sue opere giuridiche, che furono raccolte nel volume Commentaria in sex partes Digestorum cum tractatu compendioso feudorum, pubblicato a Milano nel 1508, in cui venne stampata anche la sezione del trattato sui feudi sottoposta alla parziale revisione di Seyssel, il quale cercò, senza successo, di interrompere la stampa per poter riordinarne la stesura. Le sezioni che costituivano la produzione scientifica del savoiardo vennero successivamente impresse separatamente (In sex partes Digestorum et primam Codicis, Venezia 1535; Speculum feudorum, Basilea 1566). Alcune sue additiones a opere di Bartolo di Sassoferrato furono pubblicate per la prima volta nell’edizione lionese delle opere bartoliane del 1563.
Il passaggio alla corte di Luigi XII segnò l’avvio dell’azione politica di Seyssel nel sistema di alleanze franco-savoiarde e nel più generale quadro della politica regia, il cui primo ispiratore ed esecutore fu il cardinale Georges d’Amboise. La sua formazione giuridica e le sue qualità di mediatore nei conflitti, già manifestate al servizio dei Savoia, gli permisero di percorrere un prestigioso cursus honorum, avviato con le nomine nel Gran Consiglio (1498) e nel Parlamento di Tolosa (1499), entrambi incarichi di cui godette solo la provvisione. Il governo francese si servì della sua conoscenza della politica italiana nominandolo, nel 1499, senatore del Ducato di Milano e amministratore della diocesi di Lodi. Era certamente già chierico non ordinato nel 1503, quando venne incardinato nella diocesi di Lione. Nel 1506 fu inviato come ambasciatore del re di Francia a Londra, presso la corte inglese, per consolidare l’appoggio di Enrico VII alla Francia, incarico che gli fruttò l’altissima e lucrosa dignità di maestro delle Richieste dell’Hostel del re di Francia. Nel 1508 fu poi a Berna, dove svolse un decisivo ruolo nella temporanea conciliazione del conflitto seguito al cosiddetto affaire Dufour, che contrappose i duchi di Savoia ai cantoni svizzeri di Berna e di Friburgo per la falsa donazione fatta a questi ultimi da Carlo I di Savoia. Fu in Italia al seguito di Luigi XII nel 1507, durante gli scontri con Genova, e nel 1509, nel corso della guerra contro Venezia. Nel 1512 venne inviato in missione a Treviri presso l’imperatore Massimiliano, con il mandato di coinvolgere quest’ultimo come arbitro del conflitto tra il regno di Francia e la Santa Sede. Il suo più significativo successo diplomatico lo raggiunse tuttavia quale ambasciatore del re al V Concilio Lateranense, in cui operò per la composizione della frattura tra Luigi XII e papa Giulio II. La mediazione di Seyssel, avviata dietro incarico del re francese nel 1513, risultò determinante per l’avvicinamento delle posizioni dei due successori, re Francesco I e papa Leone X, e gettò le basi per il concordato di Bologna stipulato nell’agosto del 1516 tra il Regno di Francia e la Sede apostolica.
In questi anni compose per Luigi XII gli scritti di carattere politico-apologetico Les Louenges du roy Louys XIIe de ce nom e La Victoire du roy contre les Veniciens, editi a Parigi rispettivamente nel 1508 e nel 1510, e un’orazione tenuta alla corte di Enrico VII d’Inghilterra nel 1506, stampata nello stesso anno a Parigi. Intorno al 1504 presso la biblioteca del castello di Blois – dove erano da poco confluiti molti codici della biblioteca aragonese e il fondo librario visconteo-sforzesco, fatto trasferire dal castello di Pavia nel 1500 da Luigi XII – Seyssel poté consultare un ampio patrimonio di storici greci, di cui volle dare una traduzione in lingua francese; poiché non conosceva il greco, ricorse alla collaborazione dell’erudito bizantino Giano Lascaris, che gli fornì la versione latina di questi autori. Tra il 1504 e il 1514 tradusse, nell’ordine: l’Anabasi di Senofonte, Appiano (cui aggiunse una parziale versione dalle Vite plutarchee, lette nella traduzione latina di Leonardo Bruni), lo storico latino Giustino, seguito nuovamente dai greci Eusebio di Cesarea (la cui Storia ecclesiastica venne consultata nella versione latina di Rufino di Aquileia) e Tucidide. Per la complessa traduzione della narrazione tucididea delle guerre peloponnesiache Seyssel ebbe a disposizione la versione latina di Lorenzo Valla, ma portò a termine il suo lavoro solo grazie all’aiuto dell’amico Lascaris. Nello studio degli autori dell’antichità – affrontato con una certa sensibilità di marca filologica e storica, senza eccessi di erudizione – cercò spunti per operare nel suo tempo: realizzò infatti le sue traduzioni con il principale intento di offrire al sovrano e al suo entourage un modello di giusto reggitore del potere e di retta conduzione degli affari del regno, come dichiarò nella prefazione alla traduzione tucididea, in cui rimarcò le responsabilità che spettano ai principi temporali e spirituali.
Nella primavera del 1515 compose La grant monarchie de France, trattato apologetico della monarchia francese indirizzato dapprima a Luigi XII (morto a inizio anno) e, successivamente, a Francesco I. In quest’opera, pubblicata nel luglio del 1519 a Parigi, Seyssel – ricorrendo non solo alla sua esperienza politica e alla sua cultura giuridica, ma anche agli insegnamenti degli storici antichi, a lui ben noti – delineò le prerogative dell’assolutismo regio e fissò i limiti al loro esercizio da parte del monarca, identificati nei tre ‘freni’ imposti dal diritto divino (religio), dalla iurisdictio (esercitata dai Parlements, che autorizzavano le leggi del re) e dalla police (politia). La Monarchie, vero e proprio testamento politico del savoiardo, fu uno dei primi e più rilevanti testi di letteratura giuridico-politica europea del Cinquecento, e circolò anche in traduzioni in lingua italiana.
Con la salita di Francesco I al trono di Francia, nel 1515, si concluse il servizio politico-diplomatico di Seyssel presso la casa reale francese, di cui non approvava la politica fortemente espansionistica. La percezione del degrado morale dell’ambiente della corte e l’intima riflessione sull’esistenza umana, stimolata da una breve malattia che lo colpì a Roma nella primavera del 1514, risvegliarono in lui lo spirito sacerdotale e la ricerca di perfezione spirituale, spingendolo alla decisione di assolvere pienamente il ruolo di vescovo: nel 1509, ricevuti gli ordini sacri, era stato infatti posto sul soglio episcopale di Marsiglia per volontà regia, cui era seguita l’elezione da parte del capitolo della cattedrale e, solo dal dicembre 1511, la nomina papale. Dal 1515 svolse con una certa continuità il suo ministero episcopale, approfondendo un personale percorso di ascesi. La ricerca di un equilibrio tra vita attiva e contemplativa venne teorizzata nel suo trattato teologico De triplici statu viatoris, un commento al Vangelo di Luca la cui prima redazione, pubblicata a Parigi nel 1515, incontrò l’apprezzamento dei movimenti preriformatori francesi.
Il testo, composto a Roma con l’incoraggiamento di Leone X nella primavera dell’anno precedente, venne completato nei primi mesi dell’episcopato torinese di Seyssel, che ne promosse una nuova ristampa a Torino nel maggio del 1518.
Seyssel rimase a Marsiglia sino al 1517, quando ottenne di permutare la sua diocesi con quella di Torino, retta dall’arcivescovo Innocenzo Cybo, nipote di papa Leone X. Si insediò a Torino nel giugno, risiedendovi con una certa continuità. L’arcivescovo dedicò l’ultima parte della sua vita alla pastorale e al governo della diocesi, ispirato, nelle sue solerti azioni nella cura d’anime e nel riordino del patrimonio economico della mensa vescovile, dal clima che caratterizzò la Chiesa negli anni seguenti il V Concilio Lateranense, di cui interpretò con una certa precocità le istanze di rinnovamento che portarono alla restaurazione cattolica della Controriforma. La sua tensione all’ascesi, alla meditazione, alla catechesi e alla cura riposta nella ritualità della liturgia e nella formazione intellettuale e morale dei sacerdoti venne condivisa dal suo vicario generale Giovanni Battista Gromis, uomo di cultura giuridica aperto all’umanesimo cristiano.
Seyssel fu inoltre attivo in campo sociale e assistenziale, sostenendo la realizzazione di una rete ospedaliera a Torino – in cui coinvolse il capitolo cattedrale e le confrarie – e l’istituzione del Monte di Pietà. Promosse interventi a contrasto del declino ecclesiastico e religioso fondati su una vivace attività pastorale e di predicazione, svolta anche nel corso delle sue visite pastorali, indirizzate in particolare verso le comunità valdesi delle valli del Pellice e del Chisone, presso le quali operò con moderazione e comprensione al fine di ricondurle all’interno della Chiesa romana. Formulò queste posizioni nel suo trattato apologetico Adversus errores et sectam Valdensium disputationes (Parigi 1520), in cui alla coercitiva azione inquisitoriale contrappose il ricorso alla discussione spirituale e dottrinale – realizzata non in latino ma nei dialetti parlati nelle vallate alpine, noti all’arcivescovo – e approfondì sul piano confessionale le posizioni delle dissidenze valdesi, riconoscendo le responsabilità della degradata condotta morale di una parte del clero cattolico e dei suoi fedeli. Con una esposizione semplice, rivolta a un pubblico privo di cultura teologica, affrontò anche il complesso tema dei rapporti della coscienza umana con la provvidenza e la prescienza di Dio nel suo trattato De divina providentia, composto nel 1518 e stampato a Parigi due anni dopo.
Il duca di Savoia Carlo II, che ebbe un ruolo fondamentale nel trasferimento a Torino del fedele arcivescovo, vide in lui un efficace strumento per allacciare legami più solidi con le comunità piemontesi, e per questo ricorse alle sue competenze giuridiche e capacità di governo, scegliendolo come suo confidente e accogliendolo nel Consiglio cum domino residens, dove fu assiduamente attivo dal 1517 al 1519, presenziando a tutte le più rilevanti riunioni con il titolo di primus inter senatores.
La sua salute declinò nel maggio del 1520, quando venne assistito da Pietro da Bairo e Francesco Aiazza, medici ducali e professori dello Studio di Torino. Nel suo testamento del 27 maggio 1520 l’arcivescovo lasciò duemila scudi per la costruzione nella cattedrale di una cappella intitolata a S. Lazzaro, da edificarsi accanto al coro della cattedrale di Torino, e destinò a questa tutti gli arredi, i paramenti e i libri liturgici della sua cappella privata; i suoi volumi di diritto civile e canonico, di teologia, di retorica, di storia e tutti i libri non utili all’ufficio divino vennero invece donati a un suo studente, Cristoforo di Romagnano, originario di Barge.
Dalle ultime volontà di Seyssel veniamo a conoscere l’esistenza di due sue figlie, entrambe legittimate, avute durante gli anni degli studi universitari da differenti donne. Istituì suoi eredi i figli della primogenita Antonietta, andata in sposa a Marco d’Arenthon d’Alex, mentre alla seconda figlia Agnese lasciò la sola dote, che portò nel matrimonio con Gian Giacomo Tizzoni, figlio del Gran Ciambellano del duca Carlo II.
Morì il 30 maggio 1520. Durante il rito funebre, il 1° giugno, venne tenuta un’orazione dal frate agostiniano Taddeo da Lione, stampata nello stesso anno a Torino. Il suo corpo venne provvisoriamente inumato in un loculo della cattedrale, da cui venne trasferito, nel 1528, nel mausoleo edificato nella cappella di S. Lazzaro, ormai quasi completata.
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