AREZZO, Claudio Mario
Di nobile famiglia siracusana, nacque tra la fine del sec. XV e l'inizio del XVI da Enrico, barone della Targia.
Scarse ed incerte le notizie biografiche: studiò in patria con l'umanista Cristoforo Scobar, grammatico e lessicografo siculo-spagnolo, per conto del quale nell'agosto del 1518 si recò a Messina a liquidare le spese di stampa di un'opera di lui.
Il 1520 segna l'ingresso dell'A. nel mondo delle lettere e della politica con l'elegia latina Trinacria ad Carolum, commossa invocazione a Carlo V perché intervenga a riportare la pace nell'isola dilaniata da sanguinose lotte di fazioni. L'elegia rivela già le due costanti della prima fase dell'attività dell'A., caratterizzata da un preminente impegno pubblicistico: interesse per la cronaca politica e profondo lealismo dinastico.
Qualche anno dopo dovette abbandonare la Sicilia, non si sa bene con quali propositi o impegni. Lo stesso A. dichiarò di avere seguito da vicino le trattative di pace tra Francia e Spagna dopo la battaglia di Pavia (1525), senza precisare con quali attribuzioni. Da due documenti siracusani risulta comunque che nel 1528 si trovava già da qualche tempo alla corte imperiale come storiografo cesareo. Il Senato di Siracusa colse l'occasione della sua presenza a corte per incaricarlo, il Io luglio 1528, di interessare l'imperatore alla situazione cittadina, in quel momento assai grave. Nel 1530, secondo quanto ebbe a dichiarare egli stesso, assistette all'incoronazione di Bologna, seguendo poi l'imperatore in Germania. Negli ambienti della corte imperiale ebbe modo di stringere relazioni di amicizia col Navagero e col Gattinara.
A questo periodo appartengono due elegie de Caesare, vari epigramnii e due poemetti. Le elegie e gli epigrammi si ispirano ad avvenimenti del tempo, la morte del marchese di Pescara, la nascita del principe Filippo, ecc. Il primo poemetto, De Acidis et Galatheae connubio, rievoca in tono stranamente epico il mito di Aci e Galatea, ma il secondo, De summi pontificis liberatione, ritorna alla cronaca contemporanea col proposito di scagionare Carlo V dalle gravi responsabilità del Sacco di Roma. Questa produzione non esce dalla consueta maniera umanistica e cortigiana, senza una sostanziale novità stilistica.
Ancora all'attualità politica ci riconduce il dialogo, che seguì di li a poco, Mercurinus:un'opera dalle intenzioni manifestamente filoimperiali nella quale gli interlocutori (il gran cancelliere imperiale Mercurino da Gattinara, il cancelliere di Francia cardinale Du Prat, il principe di Monaco Agostino Grimaldi e altri minori personaggi del tempo) discutono dei rapporti tra Francia e Spagna a partire dal periodo immediatamente precedente la battaglia di Pavia fino alla pace di Cambrai. Ma gli altri due dialoghi, che furono composti sempre intorno al 1530, escono decisamente dall'ambito della pubblicistica politica e annunciano una importante svolta nell'attività letteraria dell'Arezzo. L'Ennius nacque come un commento filologico a due versi di Virgilio, ma contiene già una breve descrizione geografica dell'Europa, e il Calipho (il secondo dialogo che prende il titolo dal nome del principale interlocutore, un magistrato imperiale) svolge una descrizione geografica della Spagna che utilizza oltre le fonti classiche tradizionali anche la personale esperienza dell'Arezzo. Questo dialogo, ristampato varie volte col titolo di De situ Hispaniae, costituisce la prima descrizione della Spagna concepita in funzione propriamente geografica e non come premessa alla narrazione storica. Il metodo è quello, divenuto ormai classico, del Biondo, che si fondava su una costante comparazione della realtà geografica del tempo con le testimonianze dell'anticlütà.
Congedato dalla corte imperiale il 30 sett. 1530 con una pensione di 50 ducati annui, l'A. continuò tuttavia a restare ancora per qualche anno al servizio di Carlo V, seguendolo nei Paesi Bassi e poi in Italia. Abbandonò la corte nel 1532 e ritornò in Sicilia visitandola accuratamente in vista di una nuova opera geografica cui attese nel lungo, e probabilmente definitivo, soggiorno messinese. Risultato di questi interessi fu il De situ insulae Siciliae, che è certo l'opera più matura ed importante dell'A. e rappresenta il primo tentativo di una compiuta descrizione geografica della Sicilia.
La descrizione dell'isola, ispirata dall'ambizione tutta umanistica di far rivivere la Sicilia antica in quella moderna, segue il solito schema del Biondo: definizione dei confini e della configurazione geografica, topografia di luoghi e città, toponomast ica, curiosità e fenomeni naturali, ricordi storici, leggende, monumenti, uomini illustri antichi e moderni. Non mancano accenni più o meno ampi al clima, alla flora e alla fauna, alle risorse economiche, alle condizioni dell'agricoltura, dell'industria e del commercio. Dagli attenti controlli effettuati dal Ciaramella risulta ampia e approfondita la conoscenza delle fonti antiche (non è da escludere che l'A. conoscesse il greco): i testi letterari utilizzati - e quasi sempre citati esattamente - sono numerosi, ma la preferenza dell'A. va a Tucidide e Cicerone, dei quale riproduce talvolta interi passi, oltre a mutuarne lo stile.
Il maggiore interesse dell'A. è rivolto naturalmente all'identificazione dei dati offerti dagli antichi, ma alla buona padronanza della tradizione classica non corrisponde un'approfondita conoscenza diretta della realtà geografica della Sicilia del Cinquecento e nemmeno un'adeguata utilizzazione degli strumenti forniti dalla filologia umanistica, cosicché le identificazioni risultano spesso forzate o addirittura fantastiche. Un'unica eccezione rappresenta la parte idrografica, che l'A. conosceva esaurientemente e descrisse quindi con maggiore sicurezza e precisione. All'opera dell'A. non mancò il successo, come testimoniano le numerose edizioni, anche dopo la pubblicazione delle decadi del Fazello, che affrontò lo stesso tema con ben altro impegno e preparazione.
Negli anni intorno al 1540 l'A. scrisse un'opera storica relativa alla Sicilia greca (a quanto pare una storia delle guerre siciliane fino all'assedio di Siracusa da parte degli Ateniesi), che restò inedita e non ci è pervenuta.
A Messina l'A. partecipò attivamente alle adunanze di un'accademia letteraria della quale dovette essere uno dei fondatori e il principale animatore. Tema precipuo delle discussioni accademiche era la questione della lingua e fu proprio a conclusione di queste discussioni e per incarico dei suoi amici accademici che l'A. scrisse le sue Osservantii di la lingua siciliana, sostanzialmente un trattato "sopra lo poetizar in lingua vulgara".
Alla base dell'esperienza linguistica dell'A. è la tendenza, tipicamente cinquecentesca, di nobilitare il volgare al rango di lingua letteraria. Animato da un acceso regionalismo, l'A. intese teorizzare un siciliano illustre del quale il toscano aveva rappresentato, a suo dire, la continuazione e la corruzione. Il volgare al quale pensava l'A. era la lingua della scuola poetica siciliana al tempo degli Svevi, che l'A. però non conosceva direttamente e che intendeva quindi ricostruire assumendo come base il toscano, erede diretto anche se corrotto dell'antico siciliano, sicibanizzato però con l'apporto del volgare parlato nell'isola ai suoi tempi. Il risultato sapeva troppo di esperimento di laboratorio e non ebbe quindi fortuna negli ambienti letterari siciliani ormai decisamente toscanizzati, sicché il tentativo dell'A., da inquadrare nell'ambito della reazione antibembista, ma su uno sfondo essenzialmente regionalistico, non dette risultati degni di rilievo.
Dalla pubblicazione di quest'opera non si hanno più notizie sulla vita dell'A.: pare che vivesse ancora nel 1575.
Opere: Marius Aretius patritius Syracusanus Caesaris rerum gestarum scriptor. Quae hoc volumine continentur dialogus, in quo pro Caesare iura Mediolani, Burgundiae, ac Neapolis leguntur..., Augusta Vindelicoruin 1530 (comprende i tre dialoghi, i due poemetti, le tre elegie e dieci epigrammi); Cl. Marii Aretii patritii Syracusani, Caes. Maest. Historiographi, libri aliquot lectu non minus iucundi, quam utiles..., Basileae 1544 (comprende le corografie della Spagna e della Sicilia, il dialogo Ennius e le tre elegie); De situ insulae Siciliae, Panormi 1537; Messanae 1537, ibid. 1542; poi insieme al Calipho in Berosi sacerdotis chaldaici, Antiquitatum Italiae ac totius orbis libri quinque, commentariis Ioannis Annii..., Antverpiae 1552, Lugduni 1 554, Wittebergae 1612, e in traduzione italiana: Del sito di Cicilia. Dialogo intitolato Califo... ove si descrive la Spagna, con i nomi nuovi, in I cinque libri de le antichità de Beroso... con lo commento di Giovanni Annio di Viterbo... tradotti hora pur in italiano per Pietro Lauro, Venetia 1550; il De situ insulae Siciliae da solo fu ristampato in Rerum Sicularum Scriptores ex recentioribus praecipui in unum corpus congesti, Francofurti ad Moenum 1579; in Italiae illustratae, seu rerum, urbiumque Italicarum scriptores notae melioris, curante A. Schotto, Francofurti 1600; in J. G. Graevii - P. Burmanni Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae..., I, Lugduni Batavorum 1723 - I. B. Caruso, Bibliotheca historica regni Siciliae, I, Panormi 1723; il De situ Hispaniae da solo in Rerum Hispaniae scriptores curante Roberto Belo, Francofurti 1579, e in Hispania illustrata curante A. Schotto, ibid. 1603; Osservantii di la lingua: siciliana, et, canzoni inlo proprio idioma di Mario di Arezzo Giuntil'homo saragusano ad instantia di Paulo Siminara MDXXXXIII, nel colophon "In Missina per Petruccio Spira in lo misi di gennaro 1543"; furono ristampate da G. Grassi Privitera, Le "Osservantii di la lingua siciliana" di Mario di Arezzo e la lingua della poesia siciliana sotto gli Svevi, Palermo 1912.
Bibl.: E. Pulejo, Un umanista siciliano della prima metà del secolo XVI (C.M.A.), Acireale 1901 ; R. Ciaramella, Il De situ Siciliae di C.M.A., Potenza 1907; P. Arezzo, Quattro personaggi della famiglia Arezzo, Palermo 1910, pp. 57-81; L. Sorrento, La diffusione della lingua italiana nel Cinquecento in Sicilia, Firenze 1921, pp. 49 ss.; F. S. Giardina, Due umanisti siciliani in Ispagna contemporanei del Colombo e le loro descrizioni della Spagna, in Bollett. d. reale soc. geografica ital., s. 5, XII (1923), pp. 366-368; D. Puzzolo Sigiuo, Pagine trascurate di storia letteraria: un'ignorata "accademia messinese" del primo Cinquecento tenta sostituire il siciliano al toscano, in Atti d. R. Accademia peloritana, XXXIII(1929), pp. 297-308.