LINATI, Claudio
Nacque a Parma il 1° febbr. 1790 dal conte Filippo e da Emanuella dei conti Cogorani, che morì dandolo alla luce. Per la sua formazione umanistica, più che il padre, uomo di vasta e profonda cultura ma troppo preso dai propri interessi scientifici e dagli impegni pubblici, fu importante G. Caderini, studente di legge di vivace ingegno che per diversi anni abitò in casa Linati, destinato a una brillante carriera nella magistratura e nel governo di Maria Luigia: fu lui ad accendere nel L. l'ardore patriottico e i sentimenti liberali.
Fin da giovanissimo, oltre agli studi letterari, il L. coltivò i suoi interessi artistici: nel 1808 entrò nella Società parmense degli incisori all'acquerello (la "Société des graveurs au lavis"), fondata l'anno prima da P. Toschi, A. Isac, T. Gasparotti e V. Raggio. Quando, agli inizi del 1809, seguì a Parigi il padre, deputato del Corpo legislativo per il Dipartimento del Taro, conobbe artisti come J.-L. David, di cui - come scrisse - fu allievo per qualche tempo. Pur spinto da molti a seguire la carriera politica, preferì coltivare gli interessi artistici e letterari: compose in quel periodo La notte, poemetto di 347 versi di chiara derivazione pariniana, la sua migliore e più lunga prova poetica.
Nel 1809 il L. fu chiamato a far parte della guardia d'onore del principe C. Borghese, governatore generale. Durante una permanenza a Torino dal 1810 al 1812, intervallata anche per motivi di salute da lunghi soggiorni parigini e brevi rientri a Parma, diede prova di un carattere inquieto e sprezzante del pericolo, incline alla passionalità, sensibile al gentil sesso e al tempo stesso votato a una romantica malinconia di vivere, da lui cantata in lirici autoritratti, che non lo abbandonò più; a quegli anni sembra anche risalire il suo accostamento alla massoneria e all'adelfia. Nel 1812, sciolta la guardia di Borghese, fu arruolato in un corpo di cavalleria olandese e si distinse nella battaglia di Lutzen; l'anno seguente ebbe onorificenze dal re di Sassonia Federico Augusto III, imparentato con i Borbone di Parma; diede prove di valore anche nella battaglia di Lipsia (1813): fatto prigioniero trascorse un periodo di confino nella bassa Ungheria, dove si guadagnò da vivere vendendo disegni e dipinti.
Dopo il 1814 raggiunse il padre a Barcellona, dove i Linati possedevano beni, e nel febbraio dell'anno seguente sposò la bella e sensibile Isabella Bacardì, di una delle più facoltose famiglie della città, da cui ebbe cinque figli, due maschi (Filippo, nato in Spagna nel 1816; Camillo, nato a Parma nel 1820) e tre femmine (Emanuellina, nata nel 1818; Leocadia, nel 1823 e l'ultima, Albina, nel 1831, che il L. non conobbe).
Quasi certamente attorno al 1818-19, con il trasferimento della famiglia a Parma, il L. si accostò alle sette segrete locali e a una loggia dei sublimi maestri perfetti, e divenne un attivissimo propagatore del programma rivoluzionario nei Ducati di Modena e di Parma e un importante tramite con i centri della cospirazione italiana e francese, come conferma il ricco epistolario. Anche le dimore dei Linati divennero in quei frangenti luoghi, non così segreti, di incontro dei settari.
Lo scoppio dei moti napoletani del 1820 lo sorprese in Spagna; tornato in fretta in Italia alla notizia dei rivolgimenti piemontesi, fu arrestato a Torino e condotto a Milano, nelle carceri di S. Margherita. Liberato - secondo alcuni per le relazioni del padre nel governo lombardo, in particolare con il conte G.G. Strassoldo, per altri per l'intervento del conte A.A. von Neipperg - poco dopo prese, prudenzialmente, la via dell'esilio.
Nel 1822-23 si dedicò alla causa dei costituzionalisti spagnoli contro i realisti e il corpo di spedizione francese, fra eventi molto convulsi e drammatici anche per la moglie e i due figli, che lo avevano raggiunto in Catalogna. Costretto più volte a fuggire fra Spagna e Francia, alla testa di un corpo di cacciatori volontari di montagna detti "micheletti", raccolto e armato a sue spese, tentò la riconquista e poi una lunga, disperata difesa del Forte di Seo de Urgel; questa impresa ebbe fuggevole e imbarazzante eco nella governativa Gazzetta di Parma del 29 ott. 1823.
In seguito il L., che il restaurato governo reazionario spagnolo aveva condannato a morte con confisca dei beni, dovette consegnarsi ai Francesi; fu tradotto nel forte di Mont-Louis e subì poi in Francia, fra sospetti e umiliazioni, il domicilio coatto di città in città, mentre la famiglia riuscì, fra mille difficoltà, a rientrare in Italia.
Nel frattempo a Parma, alla fine di un lungo e controverso processo intentato contro i cospiratori del 1820-21, il L. era stato inserito nelle liste di sospetti appartenenti alla carboneria e fu accusato di essere l'autore di un proclama in latino alle truppe ungheresi venute in Italia a reprimere i moti napoletani, inteso a dissuaderle, e di averlo stampato nella sua villa di Fraore. Fu condannato prima in contumacia a dieci anni di carcere (10 febbr. 1824), quindi dal Supremo tribunale di revisione alla pena di morte e al sequestro dei beni (31 marzo). La notizia della sentenza lo raggiunse a Montpellier; alla fine del 1824 riuscì a ottenere il passaporto per i Paesi Bassi.
A Bruxelles, dove visse per più di un anno, dovette por mano di nuovo ai pennelli e, soprattutto, alla penna per risollevarsi dalle ristrettezze finanziarie: del molto che produsse in quegli anni (tragedie, traduzioni dal francese, scritti vari) non rimane che il resoconto nelle sue lettere. Nel settembre del 1825 la sua irrequietezza, la sete di nuove esperienze e allettanti accordi con rappresentanti nella capitale del Regno dei Paesi Bassi del nuovo governo repubblicano lo portarono in Messico, dove ottenne la cittadinanza e aprì il primo laboratorio litografico del paese e un'importante scuola di disegno. Con un amico, F. Galli, che lo aveva preceduto, e il poeta profugo cubano José María de Heredia y Campuzano, il L. iniziò, il 4 febbr. 1826, la pubblicazione della prima rivista letteraria di quel paese da poco indipendente, El Iris, "periódico crítico y literario" che aveva l'intento di intrattenere il pubblico, in particolare femminile, con finalità politico-educative. Per questo fu presto osteggiato da altri giornali, fra cui El Aguila e El Sol, e il L. rischiò l'espulsione.
Dell'Iris furono editi due tomi, per complessivi quaranta numeri, dedicati a vari argomenti, di filosofia, scienza, arte militare, musica e moda, trattati principalmente da Galli, e poesia, critica letteraria e teatro a cura di Heredia (che lasciò la redazione il 21 giugno) e questioni di alta politica riservate al Linati. La rivista, arricchita da ritratti litografici di personaggi contemporanei e da immagini di costume locale, uscì fino al 2 ag. 1826.
Nel settembre del 1826 il L. partì per l'Europa; dopo brevi soste a New York, Londra e Anversa, nel marzo dell'anno successivo giunse nei Paesi Bassi, dove rimase due anni, guadagnandosi ancora da vivere come apprezzato giornalista e disegnatore.
Pubblicò a fascicoli un'opera, divenuta rara e preziosa (Costumes civiles, militaires et religieux duMexique), con illustrazioni e disegni a colori corredati da ricche note didascaliche, che fu accolta con grande interesse e recensita favorevolmente dalla Gazette des Pays-Bas. Collaborò a lungo con la rivista L'Industriel, scrivendo articoli sull'arte europea, la storia delle colonie americane, il commercio degli schiavi, l'educazione nei paesi dell'America Latina, la libertà di pensiero, mettendo a frutto esperienze e conoscenze acquisite nel Vecchio e Nuovo Mondo.
Il soggiorno in Belgio, terra di emigrazione politica, permise al L., cui pure, come puntualizzato più volte da A. Galante Garrone, sfuggiva la complessità della situazione politica, di ricucire i rapporti con gli esuli italiani - incontrò quasi certamente F. Buonarroti - e, alla vigilia della rivoluzione di luglio, di mettersi in contatto con il comitato dei rifugiati di Parigi che tenne le fila dei rivolgimenti politici del 1830-31. Partecipò dapprima a un inutile tentativo di sollevazione in terra iberica da parte di un gruppo di emigrati spagnoli; poi, allo scoppio dei moti del febbraio 1831 in Emilia e in Romagna, con E. Misley armò a Marsiglia una nave da inviare in Italia in aiuto dei rivoltosi, che fu però sequestrata dal nuovo governo francese. Seguì dalla Francia, ora a Parigi ora a Bordeaux, le notizie sugli esiti fallimentari dei moti e sul coinvolgimento nelle vicende parmigiane del vecchio padre, capo del governo provvisorio. Durante i lunghi anni dell'esilio aveva visto i familiari solo due volte: nel 1828 era stato raggiunto a Bruxelles per tre mesi dalla moglie e dal primogenito; nel maggio del 1830 ritrovò per l'ultima volta tutta la famiglia a Lugano. Poco si conosce di un "foglietto" dal titolo La Francia e l'Europa nel 1832 che il L. avrebbe pubblicato prima di ripartire per il Messico.
Sbarcato nel porto di Tampico, il L. morì l'11 dicembre 1832 dopo una "breve e penosa malattia" (forse la febbre gialla), come detto in una Necrologia, probabilmente dell'amico Galli, apparsa sulla locale Gazeta il giorno successivo.
Fonti e Bibl.: La documentazione sul L. ha seguito in larga parte la sorte di quella relativa al padre. In particolare, per la partecipazione ai moti del 1821: Vienna, Österreichischer Staatsarchiv, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Staatskanzlei, Parma und Piacenza 1556-1860, bb. 10-12: Berichte, Weisungen 1820-22; Arch. di Stato di Parma, Segreteria di Stato e di Gabinetto, Direzione generale di Polizia, 1821-1848; Dragoni ducali, 1816-1848. Il Fondo Micheli-Mariotti della Biblioteca Palatina di Parma conserva copiosa corrispondenza del L.; molte sue lettere sono in altre raccolte di fonti edite su personaggi come V. Mistrali, P. Toschi, A. Panizzi, G. Rossetti con i quali il L. ebbe familiarità. Le ricostruzioni biografiche furono avviate dal primogenito Filippo: Vita del conte C. L. seguita da un saggio poetico del medesimo, dadocumenti e note, Parma 1883 (il "saggio poetico" è il carme La notte, cui segue un "autoritratto" in versi); Memorie autobiografiche del conte Filippo Linati e compendiosa rassegna de' suoi scritti, a cura di R. Brozzi, Parma 1896, passim. Il più completo e ancor valido contributo sul L. è il volume miscellaneo C. L. (1790-1832), Parma 1935. L. Blanc, Histoire de dix ans, 1830-1840, I, Bruxelles-Paris 1844, p. 277 (sulla fallita spedizione di Marsiglia); P. Martini, L'arte dell'incisione in Parma. Memoria, Parma 1873, p. 19; G.B. Janelli, Diz. biografico dei parmigiani illustri…, seconda appendice, Parma 1884, pp. 33 s.; E. Casa, I carbonari parmigiani eguastallesi cospiratori nel 1821 e la duchessa Maria Luigia imperiale, Parma 1904, in particolare pp. 333-339 (cenno biografico di Filippo Linati iunior), 343-345 (il testo del discusso proclama latino); A. Del Prato, Il conte C. L. (da lettere degli anni1802-1830), in Arch. emiliano del Risorgimento nazionale, II (1908), 1, pp. 20-38; A. Curti, Alta polizia. Censura e spirito pubblico neiDucati parmensi (1816-1829), in Rass. stor. delRisorgimento, IX (1922), 3, pp. 399-590 passim; C. Fano, Una lettera del conte C. L., in Aurea Parma, XI (1927), 2, pp. 66-72 (quella nota a Pirondi del 27 genn. 1831); G. Lombardi, Patriottismo di un grande artista (Paolo Toschi nel 1831), in Arch. stor. per le provincie parmensi, n.s., XXXII (1932), pp. 133-138; Id., Il conte C. L. e la Società parmigiana degli incisori ad acquerello, in C. L. (1790-1832), cit., pp. 319-326; G. Micheli, Il conte C. L., in Aurea Parma, XVII (1933), 65, p. 29; S. Fermi, Echi piacentini nella vita e nell'opera di C. L., in Boll. stor.piacentino, XXX (1935), pp. 131-133; Documentos para la historia de la litografía en México, a cura di J. Fernández, Ciudad de México 1955; J. Fernández, C. L., trajes civiles, militares y religiosos de México, Ciudad de México 1956; G. Gonizzi, I conti Linati, in Gazzetta di Parma, 21 nov. 1960, p. 3; P. Medioli Masotti, Paolo Toschi, Parma 1973, passim; A. Galante Garrone, I moti del 1831. Filippo e C. Linati, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XXXIII (1981), pp. 417-436; "El Iris": periódico crítico literario por L., Galli y Heredia. Primera revista literaria delMéxico independiente, a cura di L.M. Schneider, I-II, Ciudad de México 1986; A.V. Marchi, Volti e figure del Ducato di Maria Luigia, 1816-1847, Milano 1991, p. 364; Paolo Toschi e il suo tempo. Le letteredi un incisore dal fondo del Museo Glauco Lombardi, a cura di A. Mavilla, Parma 1992, pp. 905-908, 932 s., 952 s.; G. Fiaccadori, Intellettuali e spirito pubblico, in Maria Luigia donna e sovrana. Una corte europea a Parma 1815-1847.Saggi, Parma 1992, pp. 120-127; F. Della Peruta, Il Ducato di Parma nell'età di Maria Luigia, in Il Risorgimento, XLIV (1992), 3, pp. 478 s., 482; F. Marcheselli - T. Marcheselli, Diz. dei Parmigiani, Parma 1997, p. 178; Enc. di Parma. Dalle origini ai giorni nostri, a cura di M. Dall'Acqua, Parma 1998, p. 417; R. Lasagni, Diz. biografico dei Parmigiani, III, Parma 1999, pp. 204-207; Diz. del Risorgimento nazionale…, III, p. 380; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, III, p. 1722; The Dictionary of art, XIX, p. 399; Grande Diz. enciclopedico (UTET), XII, pp. 260 s.