CIVITALBA
Località delle Marche, posta su un'altura tra Sassoferrato (l'antica Sentinum) e Arcevia, non lontana dalla pianura in cui sarebbe avvenuta la celebre battaglia del 295 a. C. L'esistenza di un insediamento pre-romano nel sito, probabilmente abitato da popolazioni celtiche già profondamente impregnate di cultura italica, sembrerebbe comprovata da alcuni resti archeologici, ricordati dal Brizio, mai rilevati né pubblicati esaurientemente. Il Brizio menziona l'esistenza di una cinta muraria esterna, a grossi ciottoli ovoidali alternati a blocchi squadrati di travertino, di un recinto minore, forse delimitante l'acropoli, e di una strada lastricata fiancheggiata da abitazioni con pavimenti in signino, il che farebbe supporre un livello di urbanizzazione del centro piuttosto evoluto.
Nel corso di lavori agricoli si sarebbero inoltre rinvenuti i resti di una conduttura (?) in pietra, lunga oltre m 20, e di una fornace «a poca distanza dal lato occidentale delle mura». In anni più recenti (1954), sull'altura è stata ritrovata una statuetta di terracotta raffigurante un giovane satiro.
La scoperta più importante è senza dubbio costituita dalle terrecotte architettoniche, già conservate a Bologna e ora al museo di Ancona, rinvenute nel 1897, nel corso di uno scasso per lavori agricoli effettuato al centro del pianoro. Stando alle osservazioni formulate all'atto del ritrovamento, le terrecotte giacevano ordinatamente, in parte accatastate le une sopra le altre, in parte disposte in file verticali. Successivi scavi (1903) portarono alla scoperta di cinque vani contigui tra loro, di uguale lunghezza (m 10), ma di larghezza variabile, situati a breve distanza da una grande fornace in parte distrutta, nei quali furono ritrovati altri frammenti del gruppo. A circa m 80 di distanza, nel medesimo campo, furono inoltre rinvenuti frammenti di antefisse e di lastre di rivestimento con tracce evidenti di messa in opera.
Il complesso principale delle terrecotte appartiene a due serie ben distinte per la diversa altezza, attribuibili rispettivamente a un fregio e a un frontone chiuso. La ricostruzione di entrambi, l'iconografia e la collocazione cronologica, oltre che il loro rapporto reciproco sia sul piano tematico sia su quello funzionale, hanno suscitato numerosi problemi che ancor oggi, in larga misura, si possono considerare tutt'altro che risolti.
Il fregio si compone di una serie di lastre, alcune combacianti tra loro, conservate per un'estensione massima di m 3 c.a, le quali raffigurano la cacciata di guerrieri galli da un santuario, con ogni probabilità quello di Apollo a Delfi. L'ipotesi (Segre, 1934) secondo la quale quest'ultimo non sarebbe mai stato realmente saccheggiato, ragion per cui la rappresentazione si riferirebbe piuttosto a un santuario dell'Asia Minore, forse il Didymàion, è stata confutata con validi argomenti (Nachtergael, 1977). Al di là dell'esistenza di iconografie collegate agli attacchi gallici a singole città (come quella delle pitture dedicate a Delfi dagli abitanti di Kallion: Paus., X, 15, 2), l'impatto dell'episodio delfico sulla coscienza politica e religiosa del mondo ellenistico era stato tale da far sì che esso assumesse un valore paradigmatico assoluto, destinato a perdurare nel tempo: ancora in età augustea le porte eburnee del Tempio di Apollo Palatino erano decorate con rilievi raffiguranti la cacciata dei Galli dal Parnaso (Prop., 28, 17).
Una collazione tra i frammenti superstiti del fregio e il racconto di Pausania (X, 23), che costituisce la principale fonte sull'episodio, ci consente di circoscrivere i momenti salienti della rappresentazione: alcune figure rappresentano le divinità partecipanti allo scontro (Artemide, Latona ?), mentre in un guerriero con berretto frigio è forse da riconoscere uno degli eroi delfici usciti dalla terra a soccorso dei Greci (Neottolemo ? Paus., χ, ι,4). La concitata fuga degli assalitori, il loro disordinato cozzare gli uni contro gli altri, l'espressione di profondo terrore che ne pervade i volti costituiscono inoltre un'eloquente traduzione visiva del panico che si sarebbe impadronito nottetempo dei Galli, ispirato dall'omonima divinità del Parnaso (Paus., X, 23, 7-8).
Il frontone è formato da una serie di lastre combacianti tra loro, dalle quali si stacca ad altorilievo la decorazione figurata disposta su vari livelli; costituisce, insieme a quello di Talamone, uno dei rarissimi esemplari superstiti di frontone interamente chiuso in ambito etrusco-italico. Assai incerte sono però tanto la disposizione dei singoli personaggi quanto l'esegesi complessiva, soprattutto per la presenza dei due personaggi femminili antitetici, dormienti, visti rispettivamente di fronte e di spalle. M. Zuffa, a seguito di un restauro effettuato nel corso degli anni '50, optava, sulla scorta di precedenti ipotesi del Brizio e dell'Andrén, per un'attribuzione dei frammenti a due diversi frontoni, entrambi dotati di una pendenza piuttosto accentuata, e rappresentanti la medesima scena, il ritrovamento di Arianna a Nasso. In favore di un frontone unico, costruito sulla giustapposizione dei due gruppi antitetici, raffiguranti Arianna ed Ermafrodito è F. Massa-Pairault. Il tema è stato comunque concordemente interpretato in chiave dionisiaca: al centro, dove si registra una grande lacuna, la maggior parte degli studiosi ipotizza la presenza di un'iconografia legata all'apoteosi di Dioniso o alla sua teogamia con Arianna, esaltata dalla presenza, sul fondo, del grande velo sollevato da demonii femminili alati, mentre altri personaggi, satiri, tedofori e figure femminili interpretate come menadi, fanno da contorno agli episodi laterali dove compare, in forma ribaltata, il ritrovamento dell'eroina dormiente.
Le diverse interpretazioni proposte non risolvono in maniera esauriente il problema posto da questa iconografia nel quadro della complessa situazione politica venutasi a creare in Italia a seguito dell'affare dei Baccanali, verificatosi nel 186 a.C. e di fatto tradottosi in una vera e propria messa al bando della religione dionisiaca, almeno nei suoi risvolti misterici, che il frontone sembra in qualche misura riflettere. Anche le proposte relative alla sua cronologia ne risultano influenzate: si è, p.es., pensato (Verzar, 1976) che la data più probabile per la costruzione del tempio, inteso come monumento commemorativo della vittoria conseguita sui Galli nella zona, fosse quella immediatamente successiva al 191 a.C., anno del trionfo sui Boi di P. Cornelio Scipione Nasica. Altri (Massa-Pairault, 1985), sottolineando il carattere pittorico di gusto tipicamente orientale del frontone, ritengono che la sua cronologia non possa scendere oltre la metà del secolo. In ogni caso il complesso costituisce un prezioso esempio dell'assorbimento, da parte dei coroplasti locali, di un vastissimo repertorio figurativo di matrice ellenistica. Nel frontone, oltre ai già ricordati schemi dell'Arianna dormiente e dell'Ermafrodito, a loro volta ricorrenti in un noto gruppo ellenistico di Magnesia al Meandro, si riscontra la ripresa, nella figura isolata di tedoforo, del noto tipo del Satiro di Lamia; nel fregio, a una variante assai libera del tipo del Pasquino si affianca lo schema statuario dell'Artemide derivato dal fregio del grande altare pergameno. È dunque evidente come non sia possibile ricercare il modello ispiratore di queste terrecotte, così come di molti altri complessi coevi, quali Talamone o Luni, in schemi iconografici ben definiti. Al contrario, loro caratteristica peculiare appare l'eclettismo, non soltanto stilistico, ma anche tematico, ben evidente nell'accostamento di modelli diversi, utilizzati con estrema disinvoltura per una narrazione dotata di una sua logica interna, della quale non ci è sempre dato di cogliere il significato.
Bibl.: E. Brizio, in NSc, 1897, pp. 283-304; 1903, pp. 175-185; id., Il sepolcreto gallico di Montefortino, in MonAnt, XIX, 1899, c. 617 ss.; P. Bienkowsky, Die Darstellungen der Gallier in der hellenistischen Kunst, Vienna 1908, pp. 93-104; L. Laurinsich, Il frontone e il fregio di Civitalba, in BdA, XXI, 1927-28, pp. 259-279; M. Segre, Il sacco di Delfi e la leggenda dell'«aurum Tolosanum», in Historia, III, 1929, p. 592 ss.; id., Sulle urne etrusche con figurazioni di Galli saccheggiami, in StEtr, Vili, 1934, p. 137 ss.; A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italie Temples, Lund 1939-40, pp. 297-308; M. Zuffa, I frontoni e il fregio di Civitalba nel Museo Civico di Bologna, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, III, Milano 1956, p. 267 ss.; B. Andreae, Archäologische Funde und Grabungen im Bereich der Soprintendenzen von Nord- und Mittelitalien. 1949-1959, in AA, 1959, p. 183 s., flg. 52 (statuetta di satiro in terracotta); C. Peyre, Tite Live et la «férocité» gauloise, in REL, XLVII, 1970, pp. 288-296; M. Verzar, Archäologische Zeugnisse aus Umbrien, in P. Zanker (ed.), Hellenismus in Mittelitalien, Göttingen 1974, Gottinga 1976, pp. 121-125; G. Nachtergael, Les Galates en Grèce et la Seteria de Delphes (Académie Royale Belge, VIII, s. II, t. 63, 1), Bruxelles 1977, pp. 112-125; F. H. Pairault-Massa, Il fregio fittile: problemi iconografici e stilistici, in I Galli e l'Italia (cat.), Roma 1978, pp. 197-203; G. Bartoloni, M. Sprenger, Ν. Hirmer, Etruschi. L'arte, Milano 1981, p. 161, figg. 280-283; A. Nitsche, Zur Datierung der Originals der Pasquinogruppe, in AA, 1981, pp. 76-85; F. H. Massa-Pairault, Recherches sur l'art et l'artisanat étrusco-italiques à l'époque hellénistique (BEFAR, 257), Roma 1985, pp. 143-146; S. Mc Nally, Ariadne and Others: Images of Sleep in Greek and Early Roman Art, in ClAnt, IV, 1985, p. 152 ss.