Vedi VILLANOVIANA, Civilta dell'anno: 1966 - 1973
VILLANOVIANA, Civiltà (v. vol. vii, p. 1173)
F) Villanoviano tosco-laziale - G) Villanoviano meridionale - H) Villanoviano settentrionale.
F) Il Villanoviano tosco-laziale. - 1) Gruppo costiero del Lazio. - Per la loro stessa posizione geografica, i grandi centri villanoviani del Lazio settentrionale prossimi alla costa assunsero naturalmente un ruolo centrale nel mondo culturale e politico caratterizzato dalla civiltà villanoviana. Affacciati sul Tirreno, ed aperti perciò al contatto con le numerose e varie rotte commerciali che vi giungevano dal Mediterraneo, essi si trovavano d'altro canto in immediato contatto con la cultura meridionale delle tombe a fossa, formatasi anche essa nei primi secoli del millennio sulla base del sostrato appenninico sotto la spinta di correnti balcano-danubiane. Immediato era poi il contatto con l'ambiente falisco capenate a SE, che almeno nel corso della II fase venne a livellarsi in una cultura di tipo villanoviano, ed a S con la cultura laziale (v. laziale, civiltà, vol. iv, pag. 511) con la quale anche lo scambio appare intenso e continuo. Da un lato Tarquinia, forse anche Cerveteri, intrattengono stretti rapporti con l'ambiente villanoviano del Salernitano, forse attraverso rotte di cabotaggio costiero, assicurandosi così lo sfruttamento dei mercati interni (per il tramite di Sala Consilina) e costieri (attraverso Pontecagnano) dell'Italia meridionale; dall'altro Vulci controlla l'ampio retroterra visentino, esercitando qui la funzione che Veio dovette assumersi nei confronti dell'ampio retroterra falisco e dell'area laziale a S del Tevere.
A Veio l'insediamento comincia già durante l'Età del Bronzo finale: un'ansa cornuta fu rinvenuta sull'acropoli di Piazza d'Armi, e il corredo di una tomba a pozzetto, comprendente vasi e bronzi protovillanoviani, è stato riconosciuto e ricomposto da A. P. Vianello tra il materiale di Casale del Fosso, necropoli delle fasi II B e III di Veio, scavata dal Colini. Il corredo è coevo ad un momento molto avanzato della facies di Tolfa-Allumiere, e faceva forse parte di un piccolo nucleo sepolcrale protovillanoviano.
A Veio il momento iniziale della I Età del Ferro (fase I A Close-Brooks) presenta corredi molto semplici, composti dall'ossuario biconico, dal coperchio e, al più, da qualche scodella o coppetta. L'ossuario e decorato con ornati incisi; il coperchio può essere uno scodellone monoansato o un elmo apicato, anch'esso ornato. Appare anche un tipo di elmo crestato diverso dal tipo più recente, perché in questo la cresta è percorsa da una solcatura longitudinale. Le fibule sono a disco intagliato, dei tipi ad arco serpeggiante, ad arco sottile ornato da solcature trasversali o ad arco rivestito di lamelle di bronzo.
Nella fase I B (Vianello, II A iniziale: Close-Brooks) l'elmo e l'ossuario sono per lo più inornati. L'elmo è del tipo con cresta a doppia guancia. Appare il rasoio lunato ad arco interrotto. Le fibule sono ad arco serpeggiante, dei tipi "siciliano", o con unico occhiello nelle due versioni a staffa o a disco.
La fase II A è caratterizzata dalla comparsa delle fibule a sanguisuga con staffa simmetrica. Sono frequenti ora le tazze con ansa ad apici molto pronunciati, le anforette a ventre globoso e basso colletto di un tipo frequente a Cuma e nel Lazio. In questa fase appaiono nei contesti indigeni coppe d'argilla figulina di tipo greco, con decorazione à chevrons, riferibili al geometrico medio. Ciò fornisce un sicuro caposaldo cronologico per le sequenze villanoviane (800 circa a. C.). Il rasoio è ora del tipo ad arco continuo.
Spettano ancora alla I Età del Ferro le fasi II B 1-2 Close-Brooks, caratterizzate soprattutto dalle anforette, dalle brocche a ventre lenticolare e dalla precoce comparsa di fibule ad arco serpeggiante con apofisi e staffa lunga (fibule a drago). Nella fase II B 1 continua la ceramica di tipo greco, si tratta per lo più di coppe d'imitazione, o di esemplari di tipo tardo-geometrico. Nel corso della fase II B cominciano ad apparire, soprattutto a Veio ed a Vulci, alcuni tipi d'impasto comuni anche all'agro falisco-capenate, come la coppa su alto piede con bordo scanalato; decorata spesso con borchiette e catenelle pendule di bronzo, reca a volte un'ansa verticale sormontata da una protome di ariete, a volte invece l'ansa si fonde con il motivo plastico di due cavallini schematici affrontati, ai lati di una figuretta centrale. A questa tradizione è da ricondurre la numerosa serie dei kàntharoi falisci con le anse intrecciate sormontate da protomi di ariete.
Le armi non sono frequenti prima della fase II: l'elmo crestato di bronzo è riccamente decorato nello stile a borchiette e puntini a sbalzo: i motivi più complessi si riconducono alla simbologia della barca solare con gli uccelli. Il tipo di schinieri nella tradizlone del Tardo Bronzo, a contorno ovale e sezione orizzontale convessa, è rappresentato finora soltanto a Veio, in un corredo della II fase finale. Il tipo, noto nell'Egeo e nell'area danubiana almeno a partire dal 1200 a. C., appare in Italia in corredi di I fase a Pontecagnano ed a Torre Galli. Sembra probabile che esso sia giunto a Veio per questo tramite, mentre sembra più difficile supporre qualche rapporto con gli esemplari "protovillanoviani" di Pergine. Non si può peraltro escludere che il tipo si sia diffuso già nell'ambito del Protovillanoviano, per quanto manchino documenti al riguardo. Gli schinieri, gli umboni di scudo e le falere sono in genere riccamente decorati nello stile a borchiette e puntini: frequente è il motivo delle borchiette congiunte da motivi a S.
A Veio, come a Tarquinia, le spade sono di due tipi, ad antenne e a lingua di presa con impugnatura lunata. La spada ad antenne, di probabile estrazione danubiana, appare solo in un caso a S del Tevere (a Torano in Calabria); la spada a lingua di presa di tipo italico è invece largamente diffusa, oltre che in ambiente villanoviano, nel gruppo di Terni e nelle culture inumatrici della Campania e della Calabria. Nonostante alcune differenze di forma, è probabile che il tipo derivi dall'ambiente egeo, dove un tipo affine, a spalla però angolosa, è frequente nel Miceneo Tardo III B-C.
Per quanto riguarda la suddivisione in fasi, lo schema veiente sembra adattarsi bene anche alle necropoli di Tarquinia. Lo schema proposto recentemente dallo Hencken sembra avere il difetto di non evidenziare, con la suddivisione in fasi, gli scarti salienti della sequenza dei corredi, e cioè quei momenti in cui elementi salienti di un repertorio vengono obliterati ed un complesso di nuovi elementi coerenti vengono acquisiti.
Nella fase I A si incontrano a Tarquinia elementi molto antichi, come lo specchio, di tradizione micenea, che trova il riscontro più prossimo a Pantalica N, in una fase quindi del Bronzo recente, il rasoio lunato a lama allungata, l'urna a capanna. L'urna biconica è prevalentemente del tipo slanciato, con collo fortemente bombato, ventre alto e spalla arcuata: il labbro è incurvato e fortemente sporgente. Accanto a questo non è però raro il tipo, affine a quello prevalente nel Bolognese, con ventre basso ed espanso e collo a profilo più o meno ripido. Un tipo analogo, con ventre massiccio e profilo meno articolato, s'incontra frequentemente a Cerveteri dove l'ossuario ha a volte l'ansa verticale come nel Villanoviano della Campania. Fin dalla I fase appaiono a Tarquinia i tre tipi di elmo in uso nel Villanoviano: quello bivalve a calotta, il tipo apicato e quello crestato, sia in lamina di bronzo che in imitazioni d'impasto; da Cerveteri si conosce invece solo quello apicato, ed anche questo non è molto frequente, prevalendo come coperchio dell'ossuario il semplice scodellone. Poco si può dire di Vulci, dove il materiale più antico finora edito è, esiguo. Vi è comunque documentato sia l'elmo apicato, con apice a pileo, sia un tipo con apice di capanna, una variante che ritorna nel gruppo di Bisenzio e a Vetulonia. Singolare è un corredo rinvenuto recentemente in contrada Cavalupo e databile alla fine del IX sec.: un ossuario e scodellone-coperchio, entrambi decorati, erano contenuti in una custodia di tufo. Nell'ossuario, oltre a numerose fibule dei tipi con disco intagliato ad arco uniformemente ingrossato, ad arco rivestito di lamelle di bronzo, e a disco solido, erano un bronzetto nuragico, un carrello e un'olletta di bronzo, anch'essi importati dalla Sardegna. Sono questi gli unici oggetti esportati dalla Sardegna in questo periodo, se si trascura il caso incerto di un bronzetto sardo rinvenuto in Sicilia orientale. La tomba conteneva anche uno dei più antichi cinturoni ad estremità rastremate, che sono tipici della fase II.
Fin dal Protovillanoviano è nota in Italia la tecnica del bronzo laminato, che proprio nel Lazio settentrionale aveva dato le celebri tazze di Coste del Marano. Non è forse un caso, pertanto, se proprio a Tarquinia appaiono, fin dalla I fase, tazze in questa tecnica, anche se di forma ormai diversa. Probabilmente l'esemplare isolato dal sepolcreto Osta di Cuma è stato importato appunto da Tarquinia. Durante la II fase il repertorio dei vasi di bronzo laminato si allarga: appaiono ora nuovi tipi di tazze, l'incensiere e, più tardi, l'ossuario biconico, la situla, l'anfora a collo breve. Anche nella ceramica si riscontrano innovazioni notevoli: sono frequenti ora a Tarquinia e nel territorio falisco le olle panciute d'impasto a superficie rossa, ricoperte a volte da una ingubbiatura chiara e ornate con motivi geometrici. Diviene frequente la ceramica d'argilla figulina a fondo bianco con ornati geometrici in bruno, diffusa soprattutto a Vulci.
2) Gruppo di Bisenzio. - Comprende numerosi centri: Bisenzio, Volsini, Vetralla, Pitigliano, Saturnia, Sovana, al limite N del Lazio, al confine con la Toscana, nel retroterra vulcente intorno ai monti Volsini, tra il Marta e il Fiora. Attraverso la valle del Tevere quest'area comunica con l'ambiente falisco, con Veio e con Roma; di qui poi, attraverso le vallate interne del Sacco, del Liri e del Volturno, con i centri della Campania interna, siano essi della cultura a fossa (Caudium) o di una facies villanoviana anche questa marginale e riflessa (Cales e Capua). Ciò spiega la notevole importanza di questo gruppo, sia come tramite culturale sia come probabile luogo di sedimentazione di fermenti culturali e religiosi, che trovano sbocco in qualche raro e tuttavia significativo documento.
In un simile ambiente non sorprende la rarità del vaso biconico in funzione di ossuario già nella I fase, né per contro la presenza di numerose urne a capanna. Se infatti queste ultime sono abbastanza diffuse nell'area villanoviana tosco-laziale, esse sembrano peraltro rappresentarvi un elemento allogeno e primario della cultura laziale meridionale. Ne fa prova la loro assenza nel Bolognese e nel Salernitano. Le affinità di fondo con la cultura di Roma e del Lazio meridionale si manifestano del resto in varî altri elementi: nella frequenza dei calefattoi, del vaso a barchetta con attributi zoomorfi, dei tipi di anfore con collo troncoconico. Le affinità con la cultura a fossa sono ancor più ampiamente documentate, dalle anforette a ventre basso e collo largo, decorate con solcature e bugne, e dalle grosse olle panciute, usate spesso come cinerarî, che hanno il ventre decorato col motivo della grossa bugna circondata da larghe solcature concentriche. Questi ultimi elementi sembrano indicare rapporti diretti del gruppo visentino con la cultura a fossa della Campania. A questo proposito conviene ricordare alcuni documenti eccezionali, cui già si accennava, rinvenuti nella necropoli visentina dell'Olmo Bello, come il carrello bronzeo con scene di caccia, aratura, lotta ed animali varî, o l'ossuario di bronzo laminato recante sul coperchio e sulle spalle una scena di danza rituale intorno ad una scimmia incatenata. Nella costruzione e nella concezione religiosa che s'intuisce al loro fondo, questi oggetti sembrano affini ad alcuni singolari bronzi, ornati anch'essi con figurine componenti scene a sfondo religioso, che si dicono provenienti dalla Campania e dalla Lucania. Le affinità di facies tra l'area visentina e quella campana, motivate probabilmente dalla sostanziale affinità di fondo culturale, furono peraltro ravvivate e rinforzate da rapporti diretti. Questi appaiono chiari con il centro villanoviano di Capua: ad esempio il tipo della capeduncola carenata, con ansa sopraelevata complessa e spesso del tipo a ponticello, come a Bisenzio e a Vetralla, è lo stesso che predomina a Capua; nelle due aree è abbastanza diffuso il tipo della tomba a ziro, e l'uso dell'olla panciuta in funzione di ossuario. Fin dalla prima fase appare inoltre a Capua la ceramica italo-geometrica di tipo Bisenzio. Tali rapporti si intensificano durante la II fase, estendendosi anche al centro di Cales, con l'abbondante esportazione della ceramica geometrica.
Questa classe ceramica costituisce la caratteristica principale del gruppo. Le sue forme sono in parte riconducibili alla tradizione locale dell'impasto (anfore, olle, vasi biconici, coppe su alto piede traforato), a volte sono invece chiaramente ispirate a prototipi ellenici da ricercare in una larga area tra Creta, le isole e la Ionia (kỳlikes, brocche, dèinoi su alto piede, anfore su alto piede, ecc.). Nella sintassi decorativa spiccano ampie fasce con motivi di cerchi concentrici. Eccezionale è, per il momento, la presenza di un fregio con figurette umane di stile geometrico su di un'olla dalle Buccacce (Bisenzio). Mentre i prodotti del primo gruppo, in argilla grossolana a pareti spesse, sono largamente diffusi, oltre che a Bisenzio ed a Vulci, anche nell'area falisca, a Veio ed a Roma, quelli del secondo gruppo, in argilla fine a pareti sottili, sono tipici del gruppo visentino e di Vulci, e sono presenti in minore misura a Tarquinia. Per la chiara ispirazione ellenica delle forme e dei motivi decorativi, pur se Bisenzio ha restituito il maggior gruppo di questa ceramica, essa non può tuttavia ritenersi originaria di questo ambiente, ma piuttosto di un centro prossimo alla costa, forse Vulci, che del resto ne ha restituiti alcuni degli esemplari più fini (materiali al museo di Berlino). Fu probabilmente invece dall'ambiente di Bisenzio che questa ceramica fu esportata nei centri villanoviani della Campania (Capua e Cales). In quanto alla sua cronologia, come anche gli scavi delle necropoli campane hanno confermato, questa classe appare già nel momento finale della I fase, ha la sua fioritura nella II ed agli inizî dell'Orientalizzante.
3) Distretto minerario toscano. - È attualmente il meno noto per il periodo che qui interessa. Esiguo è infatti il numero dei corredi editi.
A Vetulonia è documentata la I fase, con fibule del tipo ad arco serpeggiante a gomito con occhiello e staffa simmetrica. Prevale l'ossuario biconico con collo alto e ventre basso ed espanso. Il coperchio è una ciotola, o un elmo con apice testudinato. Frequenti sono le urne a capanna, mentre gli ossuarî ad olla sono per ora scarsi. Significativa è la presenza della fibula a foglia larga, ovale, recante anellini inseriti lungo il margine; oltre che a Vetulonia e a Populonia, questo tipo è frequente a Terni e nel Piceno. Ancora durante la I fase appaiono, come a Terni, i circoli sepolcrali. Essi sono delimitati da pietre fitte intervallate. Le sepolture sono a pozzetto e il rito è ancora la cremazione. Questa classe di sepolture continua durante la fase successiva, nella quale è però frequente la sepoltura ad inumazione del tipo a fossa. Al periodo orientalizzante, o tutt'al più al momento finale della II fase va datato l'inizio delle tombe a circolo continuo con fosse d'inumati. A questo tipo spettano le celebri tombe vetuloniesi del Duce, del Littore, ecc.
Il momento iniziale del Villanoviano è documentato anche a Populonia, da fibule ad arco serpeggiante a gomito, da fibule a disco intagliato dei tipi foliato e ad arco uniformemente ingrossato. Manca finora l'elmo come coperchio di cinerario, e l'urna a capanna è scarsamente rappresentata. S'incontrano invece la spada a lingua di presa ed il balteo con estremità rastremate, tipico questo del gruppo laziale costiero. Già durante la I fase, oltre alle tombe a pozzo, s'incontrano tombe a camera con dròmos coperte da una pseudocupola, con sepolture ad inumazione entro loculi. I due tipi continuano nella II fase.
Il tipo della tomba a ziro, frequente a Volterra fin dalla I fase, accomuna questo centro a quelli del territorio di Chiusi. Lo ziro è deposto in tombe a pozzo, e contiene l'ossuario biconico e la suppellettile di corredo. Anche a Volterra, come a Populonia, sembrano mancare il coperchio ad elmo e l'urna a capanna. Le tombe a fossa edite in maniera esauriente non sembrano anteriori alla transizione dalla II alla III fase. In esse non è rara la ceramica a fondo chiaro con ornati geometrici.
4) Gruppo di Chiusi. - Quasi nulla si conosce, per l'età villanoviana, di centri come Perugia, Cortona e Arezzo, che insieme a Chiusi rientrano in un distretto collinare interno limitato a E dall'alto corso del Tevere. Appena migliore è la situazione per Chiusi, le cui necropoli sono state largamente depredate nel corso dell'ultimo secolo.
Tombe a pozzetto si conoscono da varie località del territorio (Poggio Renzo, Sarteano, Marcianella, Castelluccio di Pienza). L'ossuario biconico reca come coperchio lo scodellone, o un elmo con grosso apice sagomato o, in un caso, uno strano elmo crestato. Non manca l'olla panciuta, in funzione di ossuario. Il rito dell'incinerazione continua, quasi esclusivo, fino alla fase dell'Orientalizzante avanzato, con le caratteristiche tombe "a ziro". All'Orientalizzante spetta la produzione dei "canopi".
G) Il Villanoviano meridionale. - Rappresentato in Campania settentrionale, a Capua, nel Salernitano e, nel Vallo di Diano, dalla necropoli di Sala Consilina.
La Campania. - Non sembra possibile, allo stato delle ricerche, considerare i centri villanoviani della Campania come un gruppo culturale omogeneo. È necessario infatti distinguere un gruppo settentrionale, comprendente Capua e Cales, da uno meridionale, comprendente Pontecagnano, Capodifiume, Arenosola e Sala Consilina. A sua volta quest'ultimo centro si distingue per la presenza di una classe di ceramica d'argilla figulina, che nelle prime fasi presenta una decorazione con motivi "a tenda". Tale ceramica, imparentata con quella geometrica lucana e tarentina, è del tutto estranea all'ambiente villanoviano, anche a quello campano meridionale, essendovi rappresentata da soli cinque o sei esemplari di Pontecagnano (v. vallo di diano).
Da S. Angelo in Formis, a 5 km da S. Maria Capua Vetere (l'antica Capua) proviene un piccolo gruppo di bronzi e di vasi protovillanoviani: i pezzi più significativi sono una fibula ad arco ogivale con disco a spirale minuscola, ed una con arco sottile segnato da due noduli.
I due gruppi campani, divisi da una vasta zona di terra incognita, dove peraltro abbondano le testimonianze della cultura a fossa diffuse sia sulla costa che nell'interno, manifestano orientamenti culturali abbastanza diversi. Mentre infatti il gruppo di Capua appare strettamente legato all'ambiente visentino, quello di Pontecagnano è invece orientato verso i centri del Lazio costiero durante tutta la I fase, e solo nel corso della II sembra entrare m contatti piuttosto stretti con l'entroterra falisco.
Il diverso orientamento dei due gruppi campani si rivela, durante la I fase, soprattutto nei tipi della capeduncola: a Capua prevale il tipo di Bisenzio e di Vetralla, carenato, con alto bordo leggermente concavo ed ansa sopraelevata che gradualmente viene ad assumere una forma a lyra. Questo tipo è pressocché sconosciuto al gruppo meridionale dove prevale la capeduncola ombelicata con orlo basso ed ansa a nastro semplice od a posapollice o ancora ad apici liberi. A Capua è finora raro l'ossuario biconico, sono infatti frequentemente impiegati in funzione di ossuario varî tipi di olle; mancano del tutto i coperchi ad elmo e rasoi lunati, mentre s'incontra il rasoio a paletta. Pertanto anche qui, come a Bisenzio, l'impronta culturale villanoviana non sembra, almeno nelle prime fasi, prevalente. Del tutto diverso è il quadro a Pontecagnano, dove l'urna biconica è la forma quasi esclusiva dell'ossuario. Nei corredi di I fase avanzata e di II fase non è rara, nella necropoli del fondo Stanzione, la grossa olla panciuta d'impasto a superficie rossa con prese sulla spalla, comune a Tarquinia e nell'ambiente falisco: essa non ha tuttavia in nessun caso funzione di urna. Come coperchio è frequentemente impiegato l'elmo, sia apicato che crestato, sempre in imitazioni fittili, e sul rasoio rettangolare prevale quello lunato a curva interrotta.
La necropoli di Capua è d'importanza fondamentale per lo studio della cronologia dell'Età del Ferro. Infatti, nella fase I B vengono importate dall'Attica dalle Cicladi alcune tazze di tipo medio-geometrico, recanti nella zona delle anse una decorazione à chevrons. Queste tazze, analoghe agli esemplari delle tombe Osta 3 e 29 di Cuma, consentono di datare alla fine del IX sec. a. C. il momento terminale della I fase. Nella successiva fase II A s'incontra ancora qualche coppa medio-geometrica, più frequenti sono tuttavia gli esemplari tardo-geometrici. Secondo lo Johannowsky, cui si deve l'esplorazione della necropoli, la fase II B sarebbe priva d'importazioni greche. La fase II C presenta le più antiche importazioni di ceramica corinzia d'Occidente, parallele ai tipi più antichi di Ischia e di Megara Hiblaea: kotỳlai del tipo detto di Aetòs 666, coppe del tipo di Thapsos recanti tra le anse un motivo metopale. Infine durante la fase III le importazioni greche sono ormai divenute un fatto comune. Questa sequenza quasi ininterrotta d'importazioni dall'ambiente greco permette di confermare ulteriormente, in linea di massima, la cronologia dell'Età del Ferro stabilita dal Müller Karpe. Inoltre, la presenza delle coppe à chevrons a Veio, a Cuma, a Capua, a Pontecagnano (solo in imitazioni) e allo Scoglio del Tonno (Taranto) in un momento anteriore agli inizî della colonizzazione greca in Occidente, consente di ipotizzare una frequentazione greca, di matrice diversa da quella che creò le colonie, con fini esclusivamente di traffico.
A Pontecagnano le importazioni di ceramica greca sono frequenti solo dall'Orientalizzante in poi. Tuttavia, intorno alla fine del IX sec., appaiono in tre corredi di fase I B vasi con decorazione piumata nello stile di Cassibile: dei quattro esemplari, almeno tre sono sicuramente importati dalla Sicilia. Ciò corregge l'idea corrente che le culture indigene siano sostanzialmente statiche e sempre confinate in una economia esclusivamente agricola.
A Capua è frequente già dalla fine della I fase la ceramica italo-geometrica del tipo di Bisenzio, che a Pontecagnano appare più raramente, e solo in un momento finale della fase II. A Capua, in un corredo di II fase, sono state rinvenute due grosse fibule a quattro spirali sormontate da un disco: questo reca una complessa serie di figurine a tutto tondo che ripetono i motivi della barca solare. A Pontecagnano resta da osservare la relativa scarsità di armi. Appaiono la spada a lingua di presa, le cuspidi di lancia e di giavellotto, una freccia di bronzo, qualche rara ascia di ferro. Mancano invece del tutto le asce di bronzo. Notevoli un cinturone con estremità a disco, del tipo di Sala Consilina e Torre del Mordillo, e soprattutto una coppia di schinieri del tipo di Torre Galli e di Pergine. Mancano del tutto i vasi di bronzo, se si eccettuano una coppa con ansa traforata ed un incensiere globulare. Unico documento significativo della plastica locale, è il symplegma in cima ad un coperchio di cinerario di I fase, che rivela, nella struttura, la ispirazione egea. Esso raffigura probabilmente la dea ctonia mediterranea che si accompagna col defunto. Notevole è invece, dalla necropoli presso il Picentino, l'esuberanza di semplici motivi decorativi plastici che appaiono nel corso della II fase. Essa si esplica soprattutto nella forma delle anse, che spesso terminano con protomi di animali. Un simile fenomeno, che non resta senza riflessi nella cultura delle tombe a fossa del retroterra picentino e dell'alta valle del Sele (S. Maria a Vico e, più tardi, Oliveto Citra), è da mettersi in connessione, per motivi cronologici e stilistici, con fatti analoghi di Veio, Vulci e del territorio falisco. Indice di rapporti con l'area falisca sono le coppe carenate a bordo scanalato con ansa sormontata da due cavalli, frequenti nei corredi di III fase iniziale. Come a Tarquinia, nella III fase appare in massa a Pontecagnano la ceramica italo-geometrica del gruppo Ischia-Cuma.
Direttamente alla cultura di Pontecagnano si riconnettono Capodifiume ed Arenosola. Il primo dei due centri, di cui si conoscono soltanto corredi di I fase, riflette in forme provinciali e trascurate un repertorio analogo a quello di Pontecagnano. La II e la III fase sono invece rappresentate all'Arenosola che, nel periodo orientalizzante, dovette essere un centro fiorente, a giudicare dalla finezza della ceramica d'importazione.
H) Villanoviano settentrionale. - Rappresentato soprattutto dalle grandi necropoli di Bologna, sembra riconnettersi al gruppo protovillanoviano settentrionale (Fontanella Mantovana, Bismantova). Come è stato osservato, infatti, i corredi più antichi di Bologna presentano caratteri di particolare arcaicità, recando fibule del tipo ad arco serpeggiante a contorno quadrangolare. Ciò sembra suggerire che esse risalgono forse addirittura oltre gli inizî del IX sec., rappresentando in tal modo un trait d'union cronologico tra il Protovillanoviano e la I fase del Ferro.
Oltre alle necropoli di Bologna, sono particolarmente rappresentativi di questo gruppo il sepolcreto eponimo di Villanova e quello di Verucchio presso Rimini.
1) Bologna. - Numerosi fondi di capanna furono identificati dallo Zannoni nell'area della città moderna, ciò che indusse il Grenier a supporre che lo stanziamento villanoviano avesse un'estensione notevolissima, occupando all'incirca il terzo sud-occidentale della città moderna (v. bologna, vol. ii, pag. 125; Suppl. 1970, pag. 154). Simile ipotesi ha tuttavia suscitato larghi dissensi, sembrando più verisimile supporre anche per Bologna l'esistenza di varî pagi dislocati nelle adiacenze delle singole necropoli.
Le principali necropoli villanoviane sono state rinvenute ad E e ad O della città moderna. Ad occidente, fuori porta S. Isaia, sono quelle dei fondi Benacci, Benacci Caprara e De Luca, scavate dallo Zannoni, dal Gozzadini e dal Brizio. Esse sono contigue alle più recenti, del predio Arnoaldi e della Certosa. Ad E, fuori porta S. Vitale, sono la necropoli detta di S. Vitale (tra le vie Regnoli, Palmieri e Derna) e quella presso il fiumicello Savena, esplorate dal Ghirardini nel primo decennio del secolo.
Come già riconobbero il Brizio, il Grenier ed il Montelius subito dopo la scoperta delle necropoli occidentali, la stratigrafia orizzontale di queste permetteva di riconoscere in linea di massima tre gruppi cronologicamente distinti, che vennero denominati: Benacci I (parte E del fondo), Benacci II (parte O, coi predî De Luca e Benacci Caprara), Arnoaldi. Ma alla scoperta delle necropoli ad oriente della città ci si accorse che esse costituivano un nucleo abbastanza omogeneo e molto antico; al Benacci I si prepose pertanto un periodo detto "di S. Vitale" (o, da alcuni, Benacci I; in tal caso i periodi detti in precedenza Benacci I e II divenivano Benacci II e III). Una simile suddivisione divenne paradigmatica per tutto il Villanoviano. Essa tuttavia non era esente da difetti: se infatti la stratigrafia orizzontale rifletteva in linea di massima una sequenza cronologica, non le poteva peraltro aderire in maniera assoluta. Inoltre le necropoli orientali, pur essendo nei loro inizî più antiche di quelle occidentali, erano tuttavia in gran parte parallele a quelle dei fondi Benacci, Benacci-Caprara e De Luca.
Ciò fu avvertito dal Ducati e dallo Aberg che, pur conservando la vecchia terminologia, le attribuirono un valore puramente indicativo. Ad essa ha invece ora definitivamente rinunciato il Müller-Karpe che, attraverso una completa analisi delle frequenze dei tipi nelle necropoli orientali è giunto a proporre una classificazione analoga a quella da lui adottata per gli altri centri dell'Età del Ferro. Oltre che nei sepolcreti di S. Vitale e Savena, la I fase è rappresentata nel fondo Benacci, mentre la II comprende la maggior parte delle tombe dei fondi Benacci e Benacci-Caprara, ed inoltre la massima parte dei bronzi dall'enorme ripostiglio rinvenuto dallo Zannoni davanti alla Basilica di S. Francesco. La suddivisione in fasi risulta chiaramente dall'esame dei bronzi, meno dalla ceramica, sia per fenomeni di attardamento di parecchi tipi, sia per probabili confusioni e dispersioni avvenute nei corredi.
Le tombe di S. Vitale e del fondo Benacci sono del tipo a pozzetto privo di rivestimento, o coperto da un lastrone, o anche rivestito di rozze lastre o da ciottoli. Molte delle tombe di II fase del fondo Benacci-Caprara erano, secondo il Brizio, fosse quadrate o rettangolari, a volte prive di rivestimento, a volte rivestite e coperte da ciottoli o da lastre. A S. Vitale alcune tombe sono contrassegnate da rozze stele. Alcune altre stele di forma rettangolare allungata rastremate verso il basso e desinenti superiormente in un disco erano reimpiegate come materiale da costruzione in una tomba del fondo Benacci-Caprara. È chiaro in esse il tentativo di una rappresentazione antropomorfa schematica. La presenza di stele, specialmente nelle più antiche tombe di S. Vitale, richiama alla mente l'analogo uso riscontrato a Timmari.
Nella I fase, dopo il gruppo di corredi contraddistinto dalla fibula ad arco serpeggiante a contorno quadrangolare e da un tipo di rasoio molto arcaico, sembrano prevalere le fibule ad arco semplice con staffa simmetrica e i tipi a staffa simmetrica o a disco con arco rivestito di perline. Più rare sono le fibule ad arco serpeggiante con ardiglione mobile, frequenti a Tarquinia, che si ritengono primarie della cultura delle tombe a fossa. Significativa testimonianza di rapporti, probabilmente indiretti, con questa cultura, è la presenza di un rasoio rettangolare. Caratteristici della I fase sono alcuni tipi di spilloni a testa piccola e piatta, ad uncino con riccioletto terminale o a coppia di spiralette contrapposte. Unico vaso di bronzo laminato è una tazza del tipo di quelle di Tarquinia. Come si è accennato, il cinerario ha di solito ventre basso e molto espanso, con spalla generalmente sfuggente; esso reca come coperchio esclusivamente lo scodellone, mancano invece del tutto i coperchi ad elmo. Sono inoltre del tutto assenti le armi.
Tipici della II fase bolognese rispetto alla rimanente area villanoviana, sono gli spilloni con testa "a vaso", o conica od a globuletto inserito; le spade ad antenne di tipo settentrionale con elsa desinente in due spirali contrapposte o con elsa tricuspidata; le spade ad elsa tricostolata con estremità discoidale sagomata; i varî tipi di morso di cavallo, comuni all'area toscana settentrionale. Frequenti sono i vasi di bronzo dei tipi comuni anche a Tarquinia: caratteristica è la tazza a bocca larga con orlo rientrante ed ansa sormontata da un globulo.
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