Vedi VILLANOVIANA, Civilta dell'anno: 1966 - 1973
VILLANOVIANA, Civiltà
A) I precedenti. - B) Formazione della civiltà v. - C) Fasi cronologiche. - D) Cronologia assoluta. - E) Interpretazioni storiche.
Si suole designare con questo nome una tra le più rappresentative culture della I Età del Ferro italiana, contraddistinta dal rito dell'incinerazione prevalente e dall'uso di un particolare ossuario d'impasto di forma biconica e del rasoio lunato ad un solo taglio.
Il nome deriva da quello di un piccolo centro a 8 km da Bologna, dove G. Gozzadini, negli anni intorno al 1850, scoprì il primo gruppo di tombe di questa cultura. La denominazione, più strettamente legata agli studî sull'Età del Ferro bolognese è usata in quell'ambito a comprendere genericaunente tutte le fasi del Ferro, fino al suborientalizzante. E tuttavia, come cultura generalizzata ed omogenea, quella v. ha i suoi limiti nella prima Età del Ferro.
A) I precedenti. - Il problema delle origini della civiltà v. affonda le radici nella complessa problematica del passaggio dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro in Italia. L'area peninsulare, nel sec. XIII a. C., era in possesso della cultura appenninica (v.) inumatrice, con economia pastorale. Questa cultura, con forte potere espansivo, aveva fortemente influenzato anche la cultura delle terramare (v.) diffusa in Emilia. Il rito dell'incinerazione, documentato in Ungheria ed in Baviera fino dal Bronzo Antico, appare per la prima volta in Italia in ambiente terramaricolo. All'incirca nella medesima epoca esso fa la sua comparsa nella Lombardia occidentale, nel Canton Ticino e nel Novarese, con la cultura di Canegrate. Ma solo in un terzo gruppo culturale, riferibile al Bronzo finale (XII-X sec. a. C.) il rito si unisce ad un ossuario biconico di forma assai variabile, tuttavia imparentato con quello villanoviano. È questo il gruppo delle necropoli proto-villanoviane, o di transizione (riconosciuto per la prima volta dal Colini).
Ad esso possono riferirsi le necropoli di Vidolasco, Fontanella Mantovana, Bismantova, Monteleone di Spoleto, Pianello di Genga, Ponte S. Pietro, Sticciano Scalo, Tolfa, Allumiere, Timmari, Tropea, Torre Castelluccia e Milazzo, ed alcuni ripostigli di bronzi, il più importante dei quali proviene da Coste del Marano (Tolfa). Un caso particolare è costituito dalla necropoli di Piazza Monfalcone a Lipari, dove manca l'ossuario biconico, e tuttavia il rito, i bronzi e la stessa ceramica indicano una stretta affinità con la cultura protovillanoviana. Ai dolî di Lipari sono affini i cosiddetti vasi a bombarda di Torre del Mordillo. Senz'altro protovillanoviano sembra inoltre un ossuario da questa stessa necropoli. Ad una discreta conoscenza delle necropoli non corrisponde un'adeguata conoscenza degli abitati. Tre soli se ne conoscono finora di facies chiaramente protovillanoviana, di cui due nelle Marche, a Monte la Rossa e sul Colle dei Cappuccini (Ancona), ed un terzo in Abruzzo, presso Collelungo del Fucino, esistente già in età subappenninica.
La cultura di transizione, diffusa in un'area larghissima, è tutt'altro che rigidamente unitaria. Elementi fondamentali comuni sono, oltre al rito ed all'ossuario biconico, la scodella a orlo rientrante, i dolî con ornati a cordone, la decorazione a fasci di solcature e cuppelle, a solcature oblique, a protuberanze inquadrate da solcature concentriche. Le necropoli hanno l'aspetto di veri campi d'urne, con gli ossuarî senza alcuna custodia, o entro pozzetto rivestito di ciottoli o di lastre, o ancora racchiusi in una custodia di tufo. A Timmari è infine documentata l'esistenza di rozze stele in funzione di sèma.
In mancanza di elementi di cronologia esterna, quali erano per alcune stazioni meridionali dell'orizzonte di Peschiera i frammenti di ceramica micenea, si è tentato di chiarire la posizione cronologica e la successione di aspetti di questa cultura soprattutto attraverso l'esame delle fibule, i cui tipi trovano stretti confronti in ambiente egeo tra il Miceneo-Tardo III C 1 ed il Protogeometrico. I risultati in tal modo conseguiti sembrano ora trovar conferma negli scarsi dati di stratigrafia orizzontale noti per il Pianello di Genga. Si è potuto in tale modo confermare che le poche fibule ad arco di violino sono non soltanto tipologicamente più antiche, ma appaiono realmente soltanto nel momento iniziale di questa cultura, mentre nel momento finale appaiono accanto alle fibule ad arco semplice tipiche del Protovillanoviano quelle ad arco serpeggiante con contorno quadrangolare, che già preludono ai tipi dell'Età del Ferro. Tenendo conto che le fibule ad arco di violino del tipo più recente, in uso nel Protovillanoviano, appaiono in Grecia nel Miceneo-Tardo III C 1 e sono già scomparse in età submicenea, si può porre l'inizio delle necropoli di transizione intorno al XII sec., e tale cronologia trova conferma nelle sequenze stratigrafiche di Lipari. La fibula ad arco di violino è presente solo a Torre Castelluccia, Pianello e Timmari. Tra queste, Torre Castelluccia rappresenta esclusivamente il momento iniziale, mentre Pianello e Timmari spettano già in massima parte al periodo in cui prevale la fibula ad arco semplice, cui sono riferibili anche Fontanella e Bismantova. Ad un momento seriore (1050-950) è databile la necropoli di Milazzo, coeva al ripostiglio di Coste del Marano. Al momento finale, rappresentato peraltro anche a Pianello, si devono riferire infine i sepolcreti del massiccio della Tolfa, già ormai alle soglie dell'Età del Ferro.
Alcune divergenze, specialmente nelle fogge vascolari, fra le varie necropoli di transizione, si spiegano qualora queste necropoli non si considerino esponenti parallele di un breve momento culturale, bensì scarse testimonianze di un fenomeno che interessa circa tre secoli. Rimane peraltro una fondamentale differenza tra le necropoli settentrionali (Fontanella Mantovana, Bismantova) e quelle poste più a S: le prime presentano infatti il rasoio lunato ad un sol taglio, mentre le altre conoscono il tipo rettangolare a lama più o meno allungata, a doppio taglio.
Nella ceramica sono innegabili le analogie tra il repertorio protovillanoviano e quello subappenninico, tali da indurre alcuni studiosi (Bemabò Brea, Cavalier, Trump, Hawkes) ad affermare anche recentemente che la cultura protovillanoviana si distingue da quella subappenninica solo per l'innovazione del rito funerario. Per il Bernabò Brea la ceramica protovillanoviana sarebbe esclusivamente funeraria, mentre i coevi abitati presenterebbero facies tardo-appenninica. Ciò appare contraddetto dalle recenti scoperte di abitati di facies protovillanoviana. Il fenomeno di attardamento della cultura appenninica, segnalato dal Trump, dallo Scarani, dal Biancofiore e da altri per zone diverse, come ad esempio l'Emilia e la Puglia, sembra del tutto indipendente dal fiorire della cultura di transizione, che probabilmente non permeò tutta l'area compresa fra i suoi estremi di diffusione.
L'origine del Protovillanoviano è probabilmente dovuta alla commistione di diverse componenti, fra le quali spiccano il sostrato appenninico ed una corrente culturale proveniente da un'area imprecisabile delle Alpi orientali. Alla prima si devono fra l'altro i grandi doli con cordoni sul bordo, le tazze carenate, molti elementi decorativi; alla seconda va attribuita l'introduzione del rito incineratorio, documentato nell'ambiente delle Alpi orientali fin dal Bronzo Antico, e dell'urna biconica. Più complesso è il problema per i bronzi. Per questi infatti, oltre che con l'area sopra indicata, sussistono notevoli affinità con l'ambiente egeo, specialmente cretese, ed i confronti con quest'area vanno sempre aumentando, con il procedere degli scavi nelle necropoli submicenee e protogeometriche. La critica anche recente si trova divisa sulla interpretazione di questo fenomeno che investe la protostoria europea dal Bronzo Recente alla prima Età del Ferro.
Da un lato la scuola tedesca, con cautela peraltro sempre crescente, attribuisce la simultanea apparizione di molti tipi di bronzi (coltello a lama curva, pugnale tipo Peschiera, spada a lingua di presa, fibule ad arco di violino e ad arco semplice, spilloni) nell'Egeo e in Italia ad una comune derivazione dall'Europa centrale. Tale derivazione si connetterebbe con un ampio movimento di popoli, nell'ambito del quale andrebbe inquadrata, per l'area egea, la migrazione dorica. A ciò sembra contrastare l'apparizione di alcuni di questi tipi a Creta nella fase del Miceneo-Tardo III B, cioè almeno un secolo prima che tramontasse per sempre la potenza micenea. Altri invece, soprattutto studiosi italiani, inglesi e greci, credono ad una priorietà dell'area egea, ed alla possibilità di una derivazione dei bronzi italiani e, almeno in parte, di quelli centro-europei, da prototipi egei. Elemento di particolare suggestione al riguardo è la consistenza di importazioni egee in Italia meridionale a partire già dal Medio Elladico II-III, fino al Miceneo-Tardo III C 1. Questa ceramica d'importazione è a volte concomitante con i più antichi esempî dei tipi di bronzi in esame (Scoglio del Tonno, Torre Castelluccia). Una simile interpretazione avrebbe il vantaggio di spiegare tra l'altro il brusco cessare del parallelismo nei bronzi tra l'Italia e l'Egeo poco dopo il crollo della talassocrazia micenea.
Negli ultimi studî si osserva la tendenza a denominare protovillanoviani tutti gli aspetti di transizione al Ferro, anche se non chiaramente riconducibili a quell'orizzonte culturale individuato, per le necropoli protovillanoviane e per i due stanziamenti connessi, dal rito funerario, dalla foggia dell'urna e dall'uso di alcuni tipi di ornato caratteristici (per esempio le cuppelle impresse). È chiaro che, in questo senso, il termine viene ad assurnere un valore meramente cronologico, senza più alcuna possibilità di utilizzazione in senso storico-culturale.
B) La formazione della civiltà v. -Numerosi sono gli elementi che indicano l'esistenza di una stretta parentela tra il Villanoviano e la cultura protovillanoviana: oltre all'identità del rito, l'affinità di foggia dell'ossuario e del rasoio lunato ad un sol taglio, ereditato dai Campi d'Urne di Fontanella e Bismantova, e le stesse fibule ad arco semplice e ad arco serpeggiante con contorno quadrangolare. L'ossuario villanoviano, nonostante le affinità morfologiche, è in genere più alto e presenta un maggiore sviluppo del collo. Esso è peraltro simile ad un tipo d'uso prevalentemente non funerario, che appare nel periodo di transizione dal Bronzo al Ferro.
Tuttavia un'assoluta continuità culturale tra il Protovillanoviano ed il Villanoviano non appare ancora del tutto accertata. Basta osservare in proposito che l'area di diffusione delle due culture è alquanto diversa, e che nessuno stanziamento protovillanoviano sembra continuare a vivere nella fase seguente. È stato pertanto supposto che, nella formazione del Villanoviano, abbia avuto un ruolo determinante un rinnovato afflusso di apporti culturali dall'ambiente delle Alpi orientali. La fisionomia e l'entità di questi apporti non risultano peraltro ancora ben definiti.
Allo stato delle ricerche è difficile determinare con sicurezza l'area di diffusione della civiltà villanoviana. Rimangono chiari i due raggruppamenti tradizionali, comprendenti, l'uno il territono bolognese, tra l'Appennino, il Panaro ed il Foglia, l'altro l'area tosco-laziale tra l'Arno ed il Tevere. A questi si devono peraltro aggiungere ora le necropoli campane e quella, per il momento isolata, di Fermo, nel cuore del territorio piceno.
La distinzione, nell'ambito tradizionale della civiltà v. di un'area settentrionale (bolognese) da una meridionale (tosco-laziale), non è meramente geografica. La diversità fra i corredi tombali delle due aree è già scnsibile nella I fase di questa civiltà. In ambiente tosco-laziale si osserva infatti già nel corso di essa una maggiore ricchezza nel repertorio dei bronzi: appaiono presto le spade ad antenne e quella a lingua di presa, le cuspidi di lancia, gli elmi apicati, crestati o a calotta, alcuni rari vasi di bronzo laminato. Leggermente più vario è anche il repertorio dei tipi e delle decorazioni dei vasi: è ad esempio diffusa in tutta l'area l'urna a capanna, forse derivata dalla Cultura del Ferro laziale. A ciò fa contrasto nel Bolognese una totale assenza di armi di bronzo ed una estrema scarsità, durante la I fase, di vasi in bronzo laminato. Sono inoltre del tutto assenti le urne a capanna. Simili constatazioni hanno suggerito al Pallottino l'ipotesi che la cultura v. si sia formata nei grandi centri dell'area laziale costiera, Tarquinia, Caere e Vulci, e sia stata da questi trasmessa in forma provinciale ed impoverita all'area emiliana. A proposito delle differenze esistenti fra i due aspetti del Villanoviano è stato osservato che, qualora si sottraggano dal repertorio delle più antiche necropoli v. tosco-laziali quegli elementi derivanti dalla cultura delle tombe a fossa, tale repertorio si rivela in tutto analogo a quello delle più antiche necropoli bolognesi. Ciò appare particolarmente evidente ora, dopo la pubblicazione della necropoli "alle Rose" di Tarquinia, e di quella del Sorbo di Cerveteri. Esse sembrano documentare un momento particolarmente antico della I fase, in cui il repertorio si riduce, come nel Bolognese, al cinerario con scodellone e pochi bronzi di abbigliamento personale del defunto. Ciò non toglie valore alle osservazioni del Pallottino: già nel corso della I fase la cultura v. tosco-laziale si giovò, rispetto a quella settentrionale, di un ulteriore apporto, quello appunto della confinante cultura delle tombe a fossa, ed ereditò forse anche la tecnica del bronzo laminato dai gruppi protovillanoviani del massiccio della Tolfa (v.).
Tutto ciò, peraltro, non implica in alcun modo una recenziorità delle più antiche necropoli emiliane, che anzi si rivelano all'analisi strettamente coeve alle più antiche tosco-laziali (Vetulonia, Populonia).
Nell'ambito di questa prima sommaria distinzione fra una cerchia bolognese ed una toscolaziale, altre più sottili sono possibili e necessarie, specialmente nell'ambito di quest'ultima. È questo l'ambiente propulsore della civiltà v. e, più tardi, di quella etrusca; è in rapporto con quest'ambiente che, nella seconda metà dell'VIII sec., si verificherà, come ha visto il Dunbabin, il fenomeno della colonizzazione ellenica in Magna Grecia. E, come tutti gli ambienti attivi e vitali, in cui le manifestazioni di civiltà sono sorrette da funzioni economiche intense e determinate, quest'area si rivela chiaramente differenziata a seconda delle caratteristiche economiche ed ecologiche dei varî gruppi di centri.
Si distingue così il distretto minerario di Populonia, Vetulonia e Volterra, tra il Fiora, il Cecina ed il Monte Amiata, ad economia industriale, dal gruppo delle città costiere o prossime alla costa che si susseguono dal Fiora al Tevere, con economia prevalentemente commerciale: Vulci, Tarquinia e Cerveteri. Come sempre per le popolazioni preistoriche e protostoriche, le valli fluviali sono l'elemento essenziale della viabilità tra l'interno e la costa, e l'area tosco-laziale è in ciò favorita, dalla presenza di una serie di corsi trasversali che scendono dallo spartiacque appenninico: e così, mentre Volterra può mantenere notevoli rapporti col lontano retroterra chiusino, d'altra parte Tarquinia, e soprattutto Vulci, esercitano una notevole influenza sul retroterra volsiniese, ricco di centri come Bisenzio, Volsinî, Vetralla, Pitigliano, Sovana, Saturnia, ecc., dando a questi centri una coloritura villanoviana che rimane peraltro sempre di carattere riflesso. Così, almeno per il momento, sembra rimanere ai margini del fenomeno villanoviano, durante la I fase, l'area falisca (v. falisca, civiltà), che ha rivelato un'unica necropoli villanoviana di I fase, a Monte S. Angelo, a breve distanza da Veio cui vanno aggiunti i pochi trovamenti di Narce e dell'agro capenate. Se d'altra parte i centri villanoviani del Lazio costiero esercitano una notevole influenza sul retroterra, non meno importante sembra il contributo culturale che proviene loro da quest'ultimo. Se Veio, specie nella II fase avanzata, si differenzia nella ceramica da Cerveteri e Tarquinia, mostrando una esuberanza di motivi decorativi plastici che colà manca, non sarà a ciò estranea l'area falisca, che doveva in quel tempo intrattenere cospicui rapporti con la Campania e in specie col Salernitano. Né d'altra parte sarà estranea l'area visentina alla fioritura della ceramica geometrica vulcente.
C) Fasi cronologiche. - Le classificazioni del Villanoviano elaborate a partire dalle prime scoperte di Bologna e Tarquinia possono raggrupparsi in due filoni principali, l'uno comprendente O. Montelius, D. Randall Mc Iver, N. Åberg, G. von Merhart come principali esponenti, pone l'inizio delle tombe a pozzo, il tipo più antico di sepoltura villanoviana intorno all'XI-X sec. a. C. (cosiddetta cronologia lunga); l'altro, che ha i suoi massimi esponenti in J. Sundwall, F. Messerschmidt, G. Säflund, C. T. Hawkes, H. Hencken, M. Pallottino, data invece gli inizî di questa civiltà al IX-VIII sec. a. C. (cosiddetta cronologia corta). Una soluzione intermedia è stata sostenuta da P. Ducati, F. Matz, G. Kaschnitz Weinberg, G. Kossack.
Alle lunghe e profonde discussioni sulla questione cronologica, non corrisponde una adeguata pubblicazione degli abbondanti reperti di scavo, nella gran parte inediti o pubblicati solo in minima percentuale. Un fruttuoso tentativo di sistemazione dei materiali, al fine di stabilire una loro cronologia relativa, è stato recentemente compiuto dal Müller Karpe. Secondo la sua classificazione, che sembra attualmente la più soddisfacente, l'Età del Ferro fino alla colonizzazione greca, risulta suddivisa per l'ambiente v., in due periodi. Il primo è caratterizzato dal rito dell'incinerazione prevalente, dal tipo di tomba a pozzo, con o senza rivestimento e copertura di ciottoli. Il corredo è di solito molto semplice, costituito dal cinerario biconico, con coperchio a ciotola o ad elmo fittile, apicato o crestato, e da pochi vasetti d'accompagno. Le fibule sono dei tipi ad arco semplice con staffa simmetrica, ad arco serpeggiante con staffa breve o con disco, a volte con ardiglione mobile, ad arco leggermente ingrossato con staffa simmetrica o con disco e, nel momento finale, ad arco rivestito con dischetti di osso o di ambra, con staffa simmetrica o disco. Nei corredi maschili di questa I fase, oltre alle armi, presenti solo in ambiente tosco-laziale e campano, compare in genere soltanto il rasoio, lunato, ad un sol taglio, del tipo con lingua prominente nel dosso al disopra della impugnatura. Raro è il tipo a curva continua anche nel dosso, che sarà frequente nella II fase. Nei corredi femminili, oltre alle fibule ed alla fusaiola d'impasto, appare a volte la coppia di orecchini in filo di bronzo con estremità ad onda, tipo che perdura nella fase seguente. Sono anche abbastanza frequenti i pendagli costituiti da gruppi di anellini di bronzo eseguiti a doppia matrice. Rari sono nella I fase i vasi di bronzo laminato.
Il passaggio dalla I alla II fase è tutt'altro che brusco. Le fibule ad arco rivestito di dischetti d'osso o d'ambra s'incontrano ancora, associate con le nuove fibule a sanguisuga, ad arco rigonfio e leggermente ogivale, massiccio o in lamina ribattuta intorno a un nucleo d'argilla. Esse hanno staffa simmetrica o mediana, meno frequentemente il disco. Appaiono già durante questo periodo, in ambiente tosco-laziale, alcuni tipi ad arco serpeggiante con piccole apofisi laterali. Nelle tombe maschili il repertorio delle armi diviene più vasto, con l'aggiunta di cinturoni, schinieri e scudi con umbone eneo. Il rasoio è ora prevalentemente del tipo che presenta anche nel dosso un andamento lunato continuo. Nei corredi femminili, accanto alle fusaiole d'impasto, appaiono ora i fusi di bronzo, le collane con vaghi di cristallo e d'ambra, i ricchi pendagli di anellini a doppia matrice che dovevano in molti casi ricoprire tutto il vestito. Inoltre le fibule sono spesso molto numerose, divenendo elemento di decorazione. Anche nella ceramica il repertorio si allarga, specie in ambiente meridionale, con l'immissione di nuovi tipi derivanti dalla contigua cultura delle tombe a fossa: l'anforetta di tipo Cuma, tazze ed attingitoi ad ansa bifora. Divengono ora frequenti i vasi di bronzo laminato, decorati nella tecnica a linee incise e cuppelle, o in quella a puntolini e cuppelle. Oltre alle tazze, s'incontrano ossuarî biconici con anse orizzontali a maniglia e basso piede tronco-conico; olle a collo sub-cilindrico, spalla fortemente inclinata e nettamente distinta ed alto piede; fiasche a ventre circolare appiattito; situle con basso colletto e corta spalla inclinata, a spigolo col ventre; incensieri di forma globulare con breve catenella di sospensione e, raramente, presentatoi. Questi ultimi divengono frequenti nel periodo orientalizzante. Le tazze si possono raggruppare in tre tipi. L'uno, di dimensioni maggiori, s'avvicina per la forma della vasca alle tazze di tipo Stilfried-Hostomice, presenta però un alto piede sub-conico. I due tipi minori presentano sostanziali analogie con le tazze dei tipi Friedrichsruhe e Fuchsstadt, a differenza di queste hanno però sempre l'ansa fortemente sormontante. Esse si arricchiscono a volte di complesse anse lavorate a giorno.
Si diffonde in questa fase la ceramica d'argilla figulina a fondo chiaro, con ornati geometrici in bruno, caratteristica soprattutto dell'area visentina e vulcente. La ceramica greca d'importazione è quasi del tutto assente: qualche raro esemplare di kỳlikes ioniche ed insulari s'incontra nelle necropoli campane.
Gli inizi della III fase (primo orientalizzante) sono caratterizzati dall'apparire di ceramica protocorinzia. Con questa appaiono in massa in tutta l'Italia peninsulare molti nuovi tipi di fibule, spesso associati, nei corredi più antichi, con le vecchie fibule a sanguisuga a staffa corta o media. Essi si possono raggruppare in sei classi principali: a sanguisuga e a navicella con staffa lunga, con o senza apofisi; ad arco rivestito di elementi d'osso conici e cilindrici con inserti d'ambra; ad antenne; ad arco serpeggiante con apofisi e globuli; fibule con arco a forma di animale.
Accanto alla ceramica italo-geometrica di tipo Bisenzio, d'ispirazione cicladica, appare ora quella di tipo Ischia-Cuma-Tarquinia, chiaramente ispirata a prototipi protocorinzî (oinochòai trilobate, kỳhkes ad orlo rientrante e kotỳlai) e ionici (oinochòai a bocca rotonda e più raramente trilobata, con ventre sub-cilindrico). Ad ambiente orientale s'ispirano invece gli avorî e le oreficerie a sbalzo, a bulino e nella tecnica della granulazione.
Le stesse forme della ceramica d'impasto, all'inizio di questa fase ancora chiaramente connesse con quelle della fase precedente, subiscono una graduale trasformazione: il repertorio si semplifica e si vengono selezionando quelle forme, più vicine ad un gusto ellenizzato, che sfoceranno ben presto, attraverso un affinarsi della tecnica, nella produzione del bucchero sottile (v. bucchero). A questa progressiva ellenizzazione rimane estranea l'area bolognese, che subirà un fenomeno analogo solo agli inizî del VI sec. a. C. Per tutto il VII essa, con un fenomeno che chiaramente riflette la sua condizione di area marginale nell'ambito del Villanoviano, continua la tradizione della fase precedente senza sostanziali mutamenti, salvo che nel repertorio delle fibule. Si diffondono ora le imitazioni in impasto dei vasi di bronzo laminato (cinerarî, situle, ecc.).
Diviene ora pressocché esclusivo il rito dell'inumazione, salvo che in alcune zone (soprattutto nel territorio di Chiusi), dove la tradizione dell'incinerazione continua nelle cosiddette tombe a ziro (v. canopi).
È durante questa III fase che, nell'area tosco-laziale, è storicamente dimostrabile l'identificazione delle popolazioni di cultura orientalizzante con l'èthnos degli Etruschi. L'assenza di una cesura tra la cultura di questa fase e quella del periodo precedente è ormai ammessa dalla maggior parte degli studiosi (v. etrusca, arte).
D) La cronologia assoluta. - La fase cronologica rappresentata dalle più antiche tombe di Terni (Acciaierie) e del Foro Romano, nonché dalle necropoli laziali di Boschetto, Campofattore e Palombara Sabina, è anteriore alla I fase villanoviana. Mancano infatti quasi del tutto, nelle necropoli v., le fibule ad arco serpeggiante a contorno quadrangolare, con staffa simmetrica o disco piccolo a spirale, come pure i tipi di fibule ad arco serpeggiante a gomito derivanti dal tipo più antico di Megiddo-Cassibile. Queste manifestazioni concordano invece, per i tipi dei bronzi, con la fase finale della cultura protovillanoviana (necropoli e ripostiglio del massiccio della Tolfa) e dell'Ausonio B di Lipari. Quest'orizzonte costituisce quindi per ora il terminus post quem per la I fase v., i cui inizî non sono pertanto anteriori al principio del IX sec. a. C. Manca purtroppo per il momento un preciso terminus ante quem al riguardo, né si possiede alcun elemento esterno per la cronologia del passaggio dalla I alla II fase. Con maggiore approssimazione può stabilirsi invece il termine di quest'ultima, in rapporto agli inizî della III fase, l'orientalizzante.
Come si è detto, agli inizi di questa si affermano in tutta l'Italia peninsulare nuovi tipi di fibule, tra i quali solo quello ad arco serpeggiante con piccole coppie di apofisi sembra rappresentato già in un momento avanzato della fase precedente. Sull'origine di questi tipi si è molto discusso. Ritenuti dal Blinkenberg di origine italica, poiché erano scarsamente rappresentati in suolo greco, col progredire degli scavi soprattutto nei grandi santuarî peloponnesiaci (Perachora, Artemide Orthìa) si va facendo sempre più strada l'ipotesi che almeno alcuni di essi possano essere d'origine ellenica. Anche a prescindere dal tanto dibattuto problema genetico, rimane il fatto che questi tipi di fibule appaiono, ad Ischia, a Cuma ed a Siracusa, subito dopo la fondazione della colonia, in concomitanza con le prime importazioni di ceramica protocorinzia (arỳballoi globulari). La presenza predominante di questi nell'orientalizzante etrusco più antico stabilisce per questa facies un terminus post quem entro la seconda metà dell'VIII sec. a. C. Il concomitante apparire di queste fibule con le più antiche importazioni protocorinzie è un fenomeno che si ripete puntualmente nella necropoli campana di Pontecagnano. Qui, come era del resto prevedibile, la ceramica protocorinzia appare più tardi che nelle più antiche colonie di Magna Grecia: del tutto assente quella coeva all'arỳballos globulare, le più antiche importazioni si riferiscono alla fase dell'arỳballos ovoide; quest'ultimo inoltre non sembra apparire mai nelle sue forme più arcaiche. Ciò induce a stabilire, per l'apparire della più antica ceramica protocorinzia e delle fibule in esame, una data non anteriore agli inizî del VII secolo. Poiché anche in Etruria l'arỳballos globulare è assente, salvo che per qualche esemplare d'imitazione, sembra legittimo chiedersi se anche lì la data d'inizio dell'orientalizzante non sia alquanto posteriore al terminus post quem indicato da Ischia e da Cuma. Appare tuttavia probabile che il mutamento non sia avvenuto simultaneamente in tutti i centri dell'Etruria e della Campania, e che la nuova facies si sia formata con un certo anticipo nei grandi centri dell'Etruria costiera, a più immediato contatto con le colonie della Magna Grecia. Appare a tal proposito significativo che a Capua, dove le fibule ad apofisi appaiono, come in alcune altre località dell'Etruria, già durante la II fase, in un corredo di questo periodo recante fibule di quel tipo, figurano tra l'altro un arỳballos globulare ed una oinochòe trilobata del Protocorinzio antico. Ciò sembra confermare da un lato la concomitanza di queste fibule con il più antico materiale protocorinzio d'importazione, dall'altro la cronologia del trapasso all'Orientalizzante nella fase del Protocorinzio medio.
Una simile cronologia trova del resto piena conferma nel dato esterno fornito dalla tomba tarquiniese detta di Bokkoris. In questa tomba, riferibile agli inizi dell'orientalizzante, fu rinvenuto un vaso fenicio d'imitazione egizia recante il cartiglio del faraone Bokkoris (715-709 a. C.) e la rappresentazione delle sue campagne d'Etiopia; la tomba può pertanto datarsi al primo decennio del VII sec. a. C.
Stabiliti dunque i limiti cronologici delle prime due fasi villanoviane tra gli inizi del IX sec. e la fine dell'VIII sec., resterebbe da precisare la datazione del passaggio dall'una all'altra, ma ciò non sembra per ora possibile. Secondo il Müller-Karpe la I fase andrebbe riferita al IX sec., mentre la II occuperebbe il secolo seguente. A ciò egli giunge attraverso il confronto con la necropoli preellenica di Cuma, ma la sua ricostruzione non sembra in ciò del tutto convincente.
E) Interpretazioni storiche. - Sin dalla scoperta delle prime necropoli villanoviane si accese la polemica sulle origini di questa nuova civiltà e del popolo che l'avrebbe importata nel Bolognese e nell'area tosco-laziale. Era recente la scoperta delle terramare, l'unica grande civiltà del Bronzo allora nota in Italia, e riferibile ad un popolo d'incineratori stanziato appunto in Emilia. Ciò mosse il Pigorini, che pur riconosceva le grandi diversità tra le manifestazioni culturali terramaricole e quelle villanoviane, a ritenere le due culture dovute ad un unico èthnos che, in seguito, spostandosi verso S, avrebbe dato origine alla civiltà latina. Lo seguirono, nell'ammettere la dipendenza di Villanova dalle Terramare, il Chierici, l'Undset, lo Helbig e, più tardi, fra gli altri, G. De Sanctis, F. von Duhn, D. Randall-Mac Iver, il Sundwall, il Devoto ed il Pareti. Per quest'ultimo la civiltà v. deriverebbe da quella delle terramare e, come aveva già compreso il De Sanctis, avrebbe dato origine alla civiltà etrusca. Negli incineratori di Pianello di Genga il Pareti riconosce invece una ondata di Italici che avrebbe dato origine alle civiltà picena e laziale (v. terramaricola, civiltà).
Alla teoria del Pigorini si oppose il Brizio, che vide nei villanoviani una nuova ondata migratoria, di provenienza transadriatica, indipendente dalle terramare. Nelle popolazioni apportatrici di questa nuova civiltà il Brizio riconosceva gli Umbri. Alle sue teorie aderirono, fra gli altri, il Sergi, il Modestov ed il Patroni. Isolato rimase invece il Pinza, che riteneva i villanoviani discendenti dalle popolazioni italiche eneolitiche.
Per il Grenier, il Ghirardini ed il Ducati, seguiti poi in linea di massima dallo Åberg e dallo Åkeström, la civiltà v. si sarebbe invece formàta su suolo italico, nella Toscana e nel Lazio. È certamente una interpretazione più realistica del fenomeno storico, che ha avuto la formulazione più completa negli scritti del Pallottino. Un simile ridimensionamento del problema non esclude naturalmente la possibilità che alla genesi della nuova cultura abbiano contribuito notevolmente una o due correnti culturali, provenienti dai campi d'urne dell'Europa centrale, come sostiene la scuola tedesca (v. urne, campi di).
Una più complessa spiegazione della genesi del Villanoviano in Italia venne elaborata dalla Laviosa Zambotti. Ella sosteneva che alla formazione di questa cultura abbiano contribuito gli elementi del sostrato dall'Eneolitico al Bronzo (identificati con i Tirreni ed i Protolatini di estrazione pannonica) e le correnti innovatrici di Pianello-Tolfa, della cultura delle tombe a fossa e dei circoli di Terni (identificate con i Paleoveneti, provenienti anch'essi dalla Pannonia, gli Iapodi di Donja Dolina e Trebenişte, e con altre popolazioni illiriche). Elemento catalizzatore di queste componenti sarebbero stati peraltro gli Etruschi, apportatori della civiltà urbana orientale.
Solo una migliore conoscenza delle civiltà del Bronzo e del Ferro potrà apportare un contributo chiarificatore al problema. È comunque ormai acquisita l'idea che la formazione del Protovillanoviano e del Villanoviano è avvenuta in Italia, a seguito di un processo storico di assimilazione e di amalgama tra il sostrato dell'Età del Bronzo e le correnti culturali sopraggiunte verso la fine del II millennio. Le più stringenti formulazioni del problema in questo senso sono ora quelle del Pallottino e del Pittioni. Tra gli elementi di sostrato, appare ormai preponderante la cultura appenninica, che già per la sua generalizzazione a tutta l'Italia peninsulare e per la sua vitalità fino alle soglie del I millennio, è l'unica cui si possa attribuire un concreto contributo ad un fenomeno di sì larga portata. Tra le correnti sopraggiunte predomina quella proveniente dai Campi d'Urne dell'Europa centrale e apportatrice del rito e dell'ossuario biconico.
Una simile interpretazione rende superflue le ipotesi di invasioni "etrusche" in Campania nel IX-VIII sec., formulate per giustificare la presenza di culture v. in Italia meridionale. L'origine di queste è da riportare invece al momento formativo della civiltà v., e si deve inquadrare nello stesso fenomeno di convergenze culturali che presiedettero alla formazione di questa civiltà nel Lazio settentrionale, in Toscana e in Emilia. Ciò appare confermato dalla ineguale coloritura villanoviana dei centri campani, determinata dal vario comportamento del sostrato appenninico di fronte alle correnti innovatrici. Da tali fenomeni vanno naturalmente scisse le acquisizioni ulteriori, dovute a rapporti tra la Campania e le aree villanoviane dell'Italia centrale.
Resta ancora da specificare l'entità dell'apporto fornito dalla cultura egea di fase micenea-recente, né è da escludere che sia stata proprio l'attrazione verso il mondo egeo, già noto attraverso l'area danubiana e civilmente più evoluto, a indurre le popolazioni dei Campi d'Urne a spingere il loro sguardo verso il S e verso l'Italia, facendo risentire la propria eco fino alla punta estrema della Calabria, alle Lipari ed all'angolo N-O della Sicilia.
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(B. D'Agostino)