GETO-DACICA, civiltà
Sull'attuale territorio della Romania e su una notevole parte dei paesi vicini, cioè su tutta l'area carpato-danubiana che va dai Balcani fino in Galizia e dal Ponto Eusino sino ai monti della Slovacchia, vivevano nell'antichità genti nord-traciche che gli autori greci denominano Geti e gli scrittori Romani Daci. Queste popolazioni nel corso della seconda Età del Ferro hanno sviluppato una cultura con caratteri proprî.
La cultura geto-dacica è stata identificata su tutta l'area menzionata, grazie alle ricerche archeologiche eseguite negli importanti centri di Poiana (sul fiume Siret, in Moldavia), Zimnicea, Piscul Crǎsanilor e Popeşti in Muntenia, Grǎdiştea Muncelului in Transilvania.
La prima menzione letteraria delle popolazioni geto-daciche si trova in Erodoto e si riferisce alle tribù della Dobrugia che si opposero a Dario nell'anno 514 a. C. Sempre al VI sec. a. C. ci riportano i più antichi documenti della penetrazione di elementi di civiltà greca nell'interno dei paesi geto-dacici: si tratta di ceramica arcaica, di vasi bronzei, di pesanti monete olbiane, elementi che appaiono con particolare frequenza in Dobrugia, in prossimità delle città pontiche (ad esempio a Tariverdi, presso Histria), ma non mancano neppure a sinistra del Danubio. L'irradiazione della cultura ellenica dalle città pontiche (Histria, Tomis, Callatis) verso le regioni geto-daciche aumenterà nei secoli seguenti tanto in estensione che in intensità. Per lungo tempo, la penetrazione ellenica s'è limitata a una semplice attività commerciale, senza effetto sulla cultura locale, che ha continuato a sussistere nelle sue forme tradizionali di carattere hallstattiano (v. danubiana, civiltà; hallstatt, civiltà di) con sporadiche infiltrazioni scitiche. E verso la fine del sec. IV a. C. che si osserva un cambiamento nel mondo getico. Si formano imponenti gruppi tribali, organizzati secondo una democrazia militare, che fanno la loro apparizione nella storia, lottando, contro Alessandro Magno e contro Lisimaco. Gli stessi avvenimenti che marcano l'affermarsi della dominazione macedone sino alle bocche del Danubio, mettono i Geto-Daci in stretto contatto con la civiltà ellenistica, rappresentata questa volta non soltanto dal commercio delle città pontiche, ma anche dalle popolazioni balcaniche ellenizzate. Le superiori forme di vita dell'ellenismo cominciano ad essere gustate e adottate dagli abitanti del Danubio, che non si limitano più a comprare i prodotti dell'industria artistica greca, ma cominciano ad imitarli nelle loro officine. È ora che si forma la cultura g.-d. con gli aspetti che, sino alla fine, le saranno peculiari. I vecchi elementi di cultura hallstattiana si limitano a poche e semplici forme mentre quelle nuove, d'influenza greca, sempre più numerose e variate, tendono a divenire predominanti.
All'influenza ellenistica, si sono aggiunti apporti della cultura occidentale La Tène (v.), dovuti all'espansione verso l'oriente delle tribù celtiche, nel sec. III a. C. Queste penetrazioni però sono state limitate e, dopo un periodo di massimo sviluppo nei sec. III-II a. C., sono scomparse. Un reale e continuo orientamento dei paesi geto-dacici verso l'occidente è cominciato soltanto con lo stabilirsi dell'autorità romana nei Balcani, nel sec. II a. C. Tuttavia questo nuovo orientamento non ha fatto che allargare l'orizzonte della cultura g.-d., senza indebolire i vecchi legami coi paesi di cultura ellenistica i quali, divenuti province romane, hanno conservato il loro potere d'irradiazione.
Lo sviluppo di una vera e propria cultura g.-d. in epoca ellenistica s'è limitato, all'inizio, alle contrade piane ad E dei Carpazi. Nell'interno della Transilvania s'è manifestata più lentamente e più tardi. Soltanto verso la metà del I sec. a. C. questa cultura si è uniformemente diffusa su tutto il territorio abitato da popolazioni geto-daciche, grazie al vasto raggruppamento di tribù dalla Pannonia sino ai Balcani e al Mar Nero, creato da Burebista. Questo capo geta scelse come centro della sua autorità la regione montuosa della Transilvania sud-occidentale, ove costruì poderose fortezze e i santuari della comunità geto-dacica. Sebbene dopo la morte di Burebista il raggruppamento di tribù da lui condotto si sia suddiviso, la cultura g.-d. ha continuato a svilupparsi in modo unitario. Il suo principale centro continuerà a essere la Transilvania, donde, nel I sec. d. C., sorgerà il re Decebalo (v.), riorganizzatore dello stato dacico e tenace nemico di Domiziano e di Traiano ma, nello stesso tempo, attivo sostenitore delle influenze romane nel mondo geto-dacico. Quando Traiano distruggerà definitivamente le forze di Decebalo e trasformerà la Dacia in provincia romana nell'anno 1o6 d. C. la cultura g.-d. avrà raggiunto la sua acme. Dopo la caduta della Dacia, questa cultura si perpetuerà modestamente, sino all'epoca delle migrazioni, nelle regioni periferiche della Moldavia e della Transilvania settentrionale, rimaste oltre i confini dell'Impero romano.
L'aspetto archeologico della cultura g.-d. è analogo - quale grado di sviluppo e quale composizione di elementi - all'aspetto della cultura celtica di La Tène, con le inevitabili differenze dovute a situazioni geografiche, origini etniche e condizioni storiche diverse. Nella cultura g.-d., in confronto con la cultura di La Tène, le influenze italiche preromane sono più ridotte e indirette, mentre sono senz'altro predominanti le influenze greche dirette.
I Geto-Daci si occupavano di agricoltura e di pastorizia. Avevano un'organizzazione gentilizia tribale ed erano eminentemente guerrieri. Essi abitavano in regioni boscose, lungo le valli di grandi fiumi, ma non evitavano i margini della steppa. I loro abitati sorgevano su posizioni dominanti, di preferenza su alture scoscese, circondate da un fossato con un vallo e una palizzata. Le case erano di legno e fango, con una pianta semplicissima. Ma nella stessa tecnica primitiva i Daci sapevano costruire per i loro capi anche case più complesse, con una pianta complicata ispirata a palazzi ellenistici (esempio il "palazzo" scoperto a Popesti, presso Bucarest). In simili casi adoperavano per il tetto tegole di fabbricazione locale, invece della paglia usata nelle case correnti.
Di un singolare interesse sono le costruzioni daciche dei monti d'OrǎŞtie, nella Transilvania sud-occidentale: a Grǎdistea Muncelului, la Sarmizegetusa di Decebalo, ultimo ridotto della sua resistenza contro i Romani, erano state elevate, già ai tempi di Burebista, potenti fortificazioni e grandiosi santuari con vie d'accesso accuratamente lastricate (v. sarmizegetusa).
Del materiale archeologico venuto in luce a Grădiştea e nelle fortezze vicine (Costeşti, Piatra Roşie, Blidarul) sono degni di nota numerosi utensili di ferro di provenienza e d'influenza romana, ceramica di una tecnica superiore e di un originale stile pittorico, uno scudo di ferro con ornamenti a sbalzo, un idolo bronzeo femminile di fattura barbarica, pietre distinte da iniziali greche, resti di grandi doli e un grande vaso conico con stampiglia in lettere latine, ma in lingua dacica, con il nome dell'ultimo re dace.
Notevoli, per materiali rinvenuti, sono le stazioni di Poiana sul Siret (v. piroboridava), o di Popeşti sull'Argeş, grandi centri tribali, politici, militari ed economici. A Popeşti, già dalla fine del III sec. a. C., predominano i prodotti locali che cercano d'imitare fedelmente i modelli ellenistici.
La ceramica g.-d. si può suddividere, in linee generali, in quattro categorie: due di fattura tradizionale, lavorate a mano e due di tecnica superiore, fabbricate alla ruota. Delle due prime categorie una è costituita da vasi bruni-grigiastri, d'una pasta grossolana, porosa, con forme poco variate decorate da fasce a rilievo alveoli, incisioni sommarie; l'altra comprende vasi lavorati con una certa cura, d'una pasta epurata nera, lucida con rari ornamenti - prominenze o semplici motivi a rilievo - e una serie di forme preferite quali grandi fruttiere ad alto piede, vasi a un solo manico, vasi bitroncoconici con o senza manici, fedeli a prototipi della prima Età del Ferro. Questo tipo di ceramica cessa alla fine del I sec. a. C. mentre quello poroso, ridotto al tipo della banale pentola da cucina, e a quello della lucerna troncoconica a larga imboccatura e a un solo manico, continua sino alle ultime manifestazioni della cultura g.-d. del sec. IV d. C. Delle due categorie di tecnica superiore una è quella dei vasi ellenistici o ellenistico-romani importati, specialmente anfore; l'altra invece comprende la produzione con tipi assai numerosi che si ricollegano sia a modelli d'importo, sia a tipi primitivi tradizionali, specialmente fruttiere a piede. La decorazione è lineare - linee semplici o ondulate - eseguita alla ruota. Raramente le linee sono dipinte in rosso. Nel sec. I a. C., sono frequenti le coppe con decorazione a rilievo derivate da matrici locali ispirate alle cosiddette coppe "delie". A Popeşti, i vasi imitavano le anfore rodie, applicando stampiglie anepigrafi, con semplici motivi geometrici, su anfore di produzione locale. Si fabbricavano anche grandi dolî d'imitazione greca.
I Geto-Daci hanno fatto largo uso di utensili di ferro, tanto nei loro mestieri quanto per l'agricoltura. Ma sempre dai Greci hanno attinto l'abilità di lavorare oggetti d'ornamento e di battere monete d'argento che imitavano gli stateri macedoni, i tetradracmi tasî, i denarî repubblicani romani. L'oro si trova raramente nei loro corredi. In cambio, l'argento è molto frequente e il bronzo addirittura comune. Nei tesori geto-dacici sono notevoli le fibule d'argento, specialmente la varietà del tipo La Tène II, con grandi nodi sull'arco e una peculiare variante del I sec. a. C.-I sec. d. C. con un lungo arco rettilineo, a forma di cucchiaino. Nei secoli V-II a. C. sono caratteristiche in Dacia le fibule dette di "tipo trace", variante traco-dacica del tipo italico della Certosa. Nei tesori geto-dacici sono caratteristiche anche le falere d'argento o d'argento dorato, decorate da un busto virile imberbe, avvolto in vesti di moda scitica. Nei tesori di Sîncrǎieni (v. tesori) e di Surcea nella Transilvania orientale, sono degni di nota i vasi di argento dorato derivati da modelli ellenistici, con i varî elementi decorativi greci trattati in modo originale.
L'arte g.-d. s'è manifestata solo nel dominio ornamentale applicato alla ceramica, agli utensili di osso o ai sontuosi vasi metallici e anche a tutta una serie di oggetti di materiale deperibile quale il legno e le stoffe. Nella loro industria artistica i Geto-Daci hanno manifestato un raffinato senso decorativo, una speciale inclinazione per i motivi vegetali, una certa abilità nello schizzare figure animali, ma per quanto riguarda il rendimento della figura umana si sono limitati a rari tentativi, sempre di carattere primitivo.
Bibl.: V. Pârvan, La pénétration hellénique et hellénistique dans la vallée du Danube, in Académie Roumaine: Bulletin de la Section historique, X, 1923, pp. 23-47; id., Getica, Bucarest 1926; id., Dacia: an Outline of the Ancient Civilizations of the Carpatho-Danubian Countries, Cambridge 1928; I. Nestor, Der Stand der Vorgeschichtsforschung in Rumänien, Francoforte s. Meno 1933, pp. 141-175; id., Keltische Gräber bei Mediasch, in Dacia, VII-VIII, 1937-40, pp. 159-182; B. Mitrea, Penetrazione commerciale e circolazione monetaria nella Dacia prima della conquista, in Ephemeris Dacoromana, X, 1945, pp. 3-154. D. Popescu, Exploatarea şi prelucrarea metalelor in Transilvania pînă la cucerirea romană, in Studii şi carcetări de istirie ceche, II, 1951, 2, pp. 27-44; id., Noi consideraţii asupra prelucrării argintului în Dacia, in Studii şi referate privind istoia României, I, 1954, pp. 89-104; C. Daicoviciu, Cetatea dacică de la Piatra Roşie, Bucarest 1954; id., Le problème de l'État et de la culture des Daces à la lumière des nouvelles fouilles, in Nouvelles études d'histoire, 1955, pp. 121-137; R. Vulpe, La civilisation dace et ses problèmes à la lumière des dernières fouilles à Poiana en Basse Moldavie, in Dacia, n. s., I, 1957, pp. 143-164; D. Berciu, À popos de la civilisation Latène chez les Geto-Daces, in Dacia, n. 3, I, 1957, pp. 133-141.
)