città (cittade)
In prosa ricorre sempre ‛ cittade ', mentre in poesia prevale la forma apocopata; ma non mancano esempi di ‛ cittade ' in poesia, dovuti a ragioni metriche (e cfr. Petrocchi, Introduzione 413 ss.); una sola volta in rima. Cosa D. intendesse propriamente per " città ", si deduce dal passo di Cv IV IV 2 però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene... essere la cittade; la c. è dunque considerata prima da un punto di vista sociale, come " convivenza di persone " che si uniscono a formare un organismo politico ben individuato; e che D. veda nella c. più gli abitanti che l'agglomerato urbano, si constata in luoghi come Cv IV IV 11 (2 volte) o II VI 8, in cui addirittura s'identifica la c. con il governo di essa: chiamare solemo la cittade quelli che la tengono; essa viene sconvolta da discordie e guerre (Cv IV IV 3, due volte) mentre in pace prospera e ‛ si posa ' (IV 4).
In tre luoghi del Convivio c. assume il valore di " sede naturale ", " patria ", " luogo d'origine ": IV XXVIII 7 e 12, XXIX 3; si tratta sempre, cioè, di c. vista come civitas, addirittura come stato o nazione, non come urbs.
C. in senso materiale è il valore del termine in espressioni come la porta de la... cittade (Cv IV XXVIII 5), o quello che mai non fosse stato in una cittade, non saprebbe tenere le vie (XXIV 12); e così in XII 18 e 19. Non sempre tuttavia la distinzione è possibile, e c. ha un senso spesso generico: cfr. ad esempio Cv I V 9 (tre volte), IV XII 9 e XXVII 10.
In altri passi la c. di cui D. parla è una " città immaginaria ", come la cittade del bene vivere (Cv IV XXIV 11) o le due cittadi imaginate (III V 20) di nome Maria e Lucia (§§ 10 e 11) che servono a D. per semplificare ragionamenti di geografia e di astronomia.
Le occorrenze del Convivio si esauriscono con i luoghi in cui c. si riferisce a Roma, la gloriosa Roma (IV V 4), la cittade romana (§ 6), la santa cittade (§ 20). Al contrario, nella Vita Nuova, la c. per antonomasia è Firenze (XL 4), ove nacque e vivette e morio la gentilissima donna (§ 1), ove la mia donna fue posta da l'Altissimo sire (VI 2); essa, dopo la morte di Beatrice, è desolata (XXX 1), dolorosa (XLI 3), dolente (XLI 9 6).. In altre sette occorrenze Firenze è chiamata semplicemente sopradetta cittade (VII 1, VIII 1, IX 1, XIV 3, XIX 3, XXII 3, XXX 1).
Anche nella Commedia la c. è spesso Firenze, ma qui la patria di D. è vista non più con l'occhio affettuoso e commosso della Vita Nuova, bensì in modo assai critico e spesso sdegnato. La nostra città (If XVI 68) è piena d'invidia (VI 49), è partita (v. 61), ossia dilaniata dalle lotte intestine, schiava di Marte, che fu suo primo padrone (XIII 143: ma in Pd IX 127 Firenze è detta addirittura ‛ c. di Lucifero ': La tua città... di colui è pianta / che pria volse le spalle al suo fattore); e, dice l'aristocratico Cacciaguida, la confusion de le persone/ principio fu del mal de la cittade (XVI 68). Anche in Pd XVI 144 la c. è Firenze, ma il luogo ci presenta la locuzione a città venisti, che vale " venisti in c. ", cioè non solo " venisti a Direnze " ma anche " ti trasferisti dal contado in c. ", " ti inurbasti ".
Talvolta D. nomina la città c'ha nome Dite (VIII 68), cioè il basso Inferno (v. DITE), chiamato altrove (IX 32) la città dolente o la città roggia (XI 73), mentre la città del foco (X 22) designa più propriamente il cerchio sesto. Ma si noti che in If III 1 la città dolente è, più in generale, tutto l'Inferno, così come il Paradiso (o meglio l'Empireo) è la c. di Dio (If I 126 non vuol che 'n sua città per me si vegna, e 128 quivi è la sua città e l'alto seggio), la c. dei beati: Vedi nostra città quant'ella gira (Pd XXX 130), la vera città (Pg XIII 95; e cfr. XVI 96, in cui la vera cittade è la c. di Dio vista come origine di ogni giustizia: " nota la maestà dell'immagine, espressione della religiosa convinzione di Dante ", Momigliano).
In altre occorrenze della Commedia si nominano c. particolari, come le città di Lamone e di Santerno (If XXVII 49: per il testo cfr. Petrocchi, ad l., che rimanda alla nota del Foscolo), la città di Baco (cioè Tebe, XX 59), Lucca, di cui Buonagiunta dice: Femmina è nata... che ti farà piacere / la mia città, come ch'om la riprenda (Pg XXIV 45), o Mantova, costruita sopra le ossa morte di Manto (If XX 91); oppure, collettivamente, le città d'Italia che tutte piene / son di tiranni (Pg VI 124; per il testo cfr. Petrocchi, ad l.). Assai più generico, invece, l'uso del termine in luoghi come Pd XVI 78 e XVIII 84.
Tre volte, infine, il sostantivo compare nel Fiore. In CXXI 5 e CXXIV 1 l'espressione In cittadi e 'n castella (in cittade o in castello) vale " in qualunque centro abitato "; in XCVIII 3 si parla della c. della Santa Chiesa, che è assalita / per questi apostoli, ch'or son, novelli. V. anche CIVITADE.