Citta e formazioni statali nel resto del Vicino Oriente
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’urbanizzazione fiorisce anche nelle zone periferiche rispetto alla Babilonia centro-meridionale, assumendo tratti caratteristici a seconda del contesto ambientale nel quale si sviluppa. In Siria, l’economia di Ebla si incentra sulla pastorizia e sul traffico di tessuti, in alterni rapporti con Mari, culturalmete legata ai centri dell’antica Sumer, ma sede di una importante dinastia semitica. Sull’alto Khabur si stanziano i Khurriti, con capitale Urkesh, mentre a ovest dell’Eufrate si affacciano sulla storia le prime popolazioni nomadi. Sulla costa del Mediterraneo, Tiro, Sidone e Biblo sembrano da subito attratte nella sfera dei commerci con l’Egitto. In Iran e nella valle dell’Indo sorgono invece grandi confederazioni di città-stato.
L’espansione di Uruk produce poco dopo la metà del IV millennio a.C. una serie di centri di nuova fondazione, che in Siria si dispongono soprattutto lungo il medio Eufrate. L’erezione di mura in alcuni di questi centri, tra cui il meglio conosciuto resta Habuba Kabira, testimonia di rapporti non sempre facili con la popolazione indigena. A seguito del crollo di Uruk all’inizio del III millennio a.C. le colonie verranno semplicemente abbandonate, e spetterà ai centri preesistenti, che si sono contraddistinti come punti di interfaccia tra i due mondi, continuare la cultura urbana del sud. Tra essi si distingue Nagar (Tell Brak), che è l’unico sito che sembra mantenere contatti diretti e continuativi con la Mesopotamia, documentabili su base ceramica prima ed epigrafica poi, come testimonia il ritrovamento di una lista di professioni risalente al protodinastico IIIa.
Durante la prima metà del III millennio a.C. l’architettura monumentale sembra subire un brusco arresto, e anzi in tutta la regione sembra predominare una diffusa ruralizzazione. Il fenomeno colpisce non solo i grandi centri, quali ad esempio Chagar Bazar, ma anche gli insediamenti ad essi subordinati, che nell’alto Khabur arrivano quasi a dimezzarsi. Di contro, i piccoli villaggi aumentano progressivamente in numero, fino a quadruplicarsi. Il quadro muta radicalmente poco prima della metà del III millennio a.C., quando fioriscono in tutta la Siria un gran numero di siti: Mari (Tell Hariri), Terqa (Tell Ashara), Tuttul (Tell Bi’a) e Karkemish sul medio Eufrate; Ebla (Tell Mardikh) nella zona di Aleppo; Shekhna (nota nel II millennio a.C. come Shubat-Enlil, capitale di Samsi-Addu, moderna Tell Leilan), Nabada (Tell Beidar), Taidum (forse moderna Tell Hamidiya) e Urkesh (Tell Mozan) sull’alto Khabur; Tell Khuera poco più a ovest, tra il Khabur e il Balikh. Verso la metà del III millennio a.C. viene fondata anche Assur sul Tigri, alla confluenza con lo Zab superiore. Nel complesso, tale fenomeno, noto come “seconda urbanizzazione”, vede il sorgere di entità statali che espandono talvolta la loro influenza a livello regionale. Il processo deve essere stato favorito dalla progressiva stabilizzazione del regime delle precipitazioni, come attestano i dati paleoclimatici da Shekhna.
Questi organismi statali mutuano gli elementi costitutivi del “sistema” Uruk, arricchendoli di caratteristiche proprie, dovute sia al diverso assetto idrogeologico, che determina una varietà di nicchie ecologiche, che alla presenza di elementi etnici indigeni. Nelle regioni semiaride siriane si afferma un’economia basata su pastoralismo e seminomadismo, fenomeni senz’altro presenti anche nella Babilonia, ma che qui si relazionano al sistema urbano stanziale in rapporti di integrazione e reciproco scambio più intensi che altrove. A Ebla gli scavi hanno portato alla luce un grande archivio palatino, del quale sono state attualmente pubblicate circa 7 mila tra tavolette integre e frammenti. I documenti, scritti nel dialetto locale, detto appunto eblaita, di ceppo semitico, sono databili tra la fine del periodo protodinastico e l’inizio di quello paleoaccadico. La maggior parte di essi riguarda l’amministrazione della capitale siriana, ma non mancano resoconti di viaggi, testi letterari e liste lessicali monolingui in sumerico e vocabolari bilingui sumerico-eblaita. Dai rendiconti amministrativi, che coprono una quarantina di anni, apprendiamo come l’economia fosse gestita dal palazzo, nel quale al sovrano, denotato dal sumerogramma en (che in eblaita si legge malkum), si affianca un gruppo di una ventina di personaggi di alto rango, denominati lugal-lugal, e alcuni dignitari di altissimo rango, di cui conosciamo i nomi (ricordiamo qui Tir, Ebrium e Ibbi-Zikir) ma non il titolo. Un importante testo di offerte ai re defunti stabilisce l’ordine di dieci sovrani, permettendo l’aggancio con i re citati nei testi economici: Igrish-Khalam, che deve essere stato contemporaneo di Iblul-Il di Mari, Irkab-Damu e Ishar-Damu, sotto il quale Ebla raggiunge il culmine della potenza prima del rapido declino. Essi perseguono una politica di alleanze matrimoniali sia con centri vicini, come ad esempio Emar e Nagar, che lontani, tra cui Kish, che sembra il referente unico per la bassa Mesopotamia, a testimonianza del ruolo chiave per il controllo delle vie commerciali verso il sud. Le terre vengono sfruttate con meccanismi simili a quelli in uso nella Babilonia, utilizzando il sistema delle razioni per mantenere la forza-lavoro. I rendimenti sono però molto più bassi, come ci si aspetta in un’area ad agricoltura secca. Il rapporto tra semente e prodotto fluttua infatti tra uno a tre e uno a quattro, quasi dieci volte in meno che al sud. La cerealicoltura a Ebla rappresenta quindi una parte piuttosto modesta dell’economia, che gira intorno all’industria di trasformazione della lana. Questa produce ingenti quantità di ricchezza, tesaurizzate nelle casse statali sotto forma di lingotti d’oro e d’argento, o come oggetti preziosi di peso standardizzato. In questa pratica si nota un altro tratto distintivo rispetto alle economie del basso alluvio, che si basano sullo sfruttamento intensivo tramite opere di canalizzazione, e tendono al procacciamento di beni di provenienza estera piuttosto che alla tesaurizzazione. Un singolo testo di Ebla registra ad esempio l’uscita di 45,6 kg d’oro e 702,2 kg d’argento come “dono” in connessione al re e agli anziani di Mari. Si potrebbe trattare di un tributo, mascherato sotto l’artificio retorico del dono, che testimonierebbe del rapporto di sudditanza con il principale centro sul medio Eufrate nella fase iniziale degli archivi. In questo senso potrebbe essere interpretata la lettera di Enna-Dagan, re di Mari, a un re eblaita di cui non viene menzionato il nome, nella quale il primo ricorda al secondo una lunga serie di vittorie da parte sua e dei suoi predecessori. I rapporti di forza si sarebbero invertiti solo verso gli ultimi anni coperti dalla documentazione, a seguito dell’assorbimento di Mari nei territori dell’impero di Sargon di Akkad. Da un trattato internazionale tra Ebla e Abarsal, per la quale l’identificazione con Assur sembra da escludere, apprendiamo i dettagli sulla rete commerciale eblaita, che ingloba Karchemish sull’Eufrate a nord di Mari. Si tratta di una serie di postazioni lungo i principali corsi d’acqua e le vie carovaniere, parte delle quali nel territorio di Abarsal, che si impegna a garantire viveri e protezione ai mercanti eblaiti di passaggio. Il sistema ricorda da vicino gli schemi commerciali dei mercanti paleoassiri di inizio II millennio, che fonderanno la loro fortuna sul commercio dei tessuti in Anatolia. Il circuito degli scambi eblaiti doveva raggiungere Biblo sulla costa del Mediterraneo, già centro fiorente nel III millennio a.C., anche se poco indagato per questo periodo. Da qui devono essere passati i vasi in alabastro e diorite con i cartigli dei faraoni Chefren e Pepi I, ritrovati nel palazzo reale. Il regno di Khamazi a est, di non chiara ubicazione, deve invece aver fatto da intermediario per il lapislazzuli semilavorato di provenienza afghana, di cui sono stati ritrovati una ventina di chili, e per gli onagri destinati alle scuderie reali, come apprendiamo da una lettera del sovrano.
Sull’altra grande capitale siriana di III millennio, ovvero Mari (Tell Hariri) siamo invece meno informati. Per il protodinastico IIIb sono noti una trentina di testi di contenuto amministrativo, solo parzialmente editi, e una quarantina di iscrizioni reali, tra cui quelle sulle statue ritrovate nel tempio di Ishtar, appartenenti a Ishqi-Mari, oggi al Metropolitan Museum, che si definisce “grande ensi”, o a Ebih-Il, in gesso, con dettagli degli occhi in corniola e lapis, oggi al Louvre, titolato “capitano” (in sumerico nubanda). Risale approssimativamente a questo periodo la costruzione del palazzo reale che sarà la sede di Zimri-Lim nei primi secoli del II millennio a.C. Mari sembra decisamente più coinvolta di Ebla nelle vicende del paese di Sumer, la cui vicinanza culturale si esprime non solo nei tratti formali della statuaria regale e nella pratica dell’agricoltura irrigua (che qui è necessaria trovandosi Mari sulla linea dei 150 mm di precipitazioni annue), ma anche nelle vicende politiche. A Mari è stato infatti rinvenuto un “tesoretto” di Mesanepada, re della I Dinastia di Ur, che fa uso del titolo lugal Kish. A ciò si aggiunge la notizia di una sconfitta di Mari da parte di Eannatum di Lagash. Questa partecipazione alla politica del sud risulta significativa anche alla luce dei forti tratti culturali indigeni, quali la presenza di un’etnia semitica, parlante una lingua del tutto affine all’eblaita, come attesta l’antroponimia, il culto delle divinità locali, e l’uso dell’antico calendario semitico. Lo sviluppo politico più significativo avviene con la caduta di Akkad, che lascia qui dei governatori militari (shakkanakku in accadico), che si fanno indipendenti, mantenendo tuttavia questa titolatura, fin dopo il crollo della III Dinastia di Ur. Di essi ci restano numerose impressioni di sigilli, oltre che la menzione nei testi amministrativi dalla Babilonia meridionale, anche in termini di politica matrimoniale. Nell’entroterra di Mari si fanno sempre più pressanti in questo periodo i nomadi Amorrei (o Martu), già sporadicamente attestati nei testi di Ebla, che con diverse modalità si sedentarizzano progressivamente in tutta la Mesopotamia centrale di II millennio. La tradizione letteraria mesopotamica assegnerà loro un ruolo assai importante nel crollo dell’impero della III Dinastia di Ur.
Nella zona del Khabur le precipitazioni superano il limite dei 200 mm annui, permettendo di praticare forme di agricoltura che non richiedano l’impiego di opere di canalizzazzione, con ovvie implicazioni in termini di organizzazione sociale. Gli archivi di Nabada (Tell Beydar) hanno restituito circa 250 testi amministrativi, dai quali si evince una gestione centralizzata delle mandrie di caprovini. Queste venivano affidate a individui esperti nella pastorizia probabilmente per la durata di un anno, fatto questo che suggerisce una situazione di pastoralismo su lunga distanza. In quest’area è documentata la presenza khurrita già dal III millennio a.C. I Khurriti sono un popolo dai connotati sfuggenti, parlante una lingua di ceppo urarteo, stanziato lungo le montagne del Tauro, ancora scarsamente indagate a livello archeologico. La capitale Urkesh (Tell Mozan) giace tuttavia nella zona pedemontana, in un contesto ambientale del tutto simile a quello di altri importanti siti nella regione, come Nagar (Tell Brak) e Nabada, che sono invece di chiara matrice semitica. Le peculiarità del sito vanno quindi ascritte alla diversa presenza etnica. Urkesh ha restituito infatti un tempio alla sommità di una terrazza circondata da un muro monumentale in pietra, a cui si accede tramite un’alta scalinata, e una fossa necromantica (Abi) di cui si trova forse eco nella Bibbia. A ciò si aggiunge un palazzo reale dell’epoca di Naram-Sin, che intraprende col regno khurrita una politica di alleanze matrimoniali. L’approccio diplomatico deve essere stato motivato dall’impossibilità di imporre qui la forza delle armi, ben documentata invece nella vicina Nagar, dove Naram-Sin costruisce un palazzo fortificato. Le prime tracce epigrafiche (iscrizioni di Tish-Atal e Tupkish, a cui si aggiungono i sigilli della famiglia reale e un testo amministrativo in lingua khurrita) datano proprio all’epoca accadica, ma dagli elementi della cultura materiale risulta chiaro come l’occupazione dell’alto Khabur da parte di questa popolazione debba risalire molto più indietro nel tempo.
Sebbene l’area della mezzaluna fertile si evidenzi per la quantità di materiale documentario disponibile, risulta chiaro che la Mesopotamia non sia circondata da un vuoto politico, ma sia invece relazionata a una serie di regni, anche di grandi dimensioni, che tuttavia restano poco indagati a livello archeologico per il III millennio a.C. Ne rimane tuttavia traccia nella documentazione disponibile proveniente sia dall’alta che dalla bassa Mesopotamia.Tra essi spicca l’Elam, nell’attuale Iran occidentale, che si configura come una confederazione di città con capitali Susa e Awan.
Abbiamo visto come a cavallo tra il IV e il III millennio a.C. Susa risenta dell’influenza di Uruk. Per il III millennio a.C. siamo in possesso di circa 14 mila tavolette provenienti dall’acropoli di questa città, a cui si sommano altre da siti sparsi in tutto l’Iran, quali Tepe Yahya, Tell-y-Malyan, e Shahr-i-Sokhta. Esse sono redatte in scrittura protoelamica, solo parzialmente decifrata, che fa probabilmente la sua comparsa poco più tardi delle prime tavolette di Uruk, introdotta forse da popolazioni provenienti dall’est. A partire dal periodo di Ur III, è documentato anche l’elamico lineare, introdotto forse sotto il regno di Puzur-Inshushinak, ultimo re della dinastia di Awan, probabilmente contemporaneo a Ur-Namma. La lingua elamica sembra al momento una lingua isolata, al pari del sumerico. Durante tutto il corso della storia del Vicino Oriente antico, questo regno mantiene una politica ambigua nei confronti della Mesopotamia propria. Numerose incursioni a scopo di saccheggio sono testimoniate già dal periodo protodinastico, a cui fanno da contraltare le spedizioni militari dei re mesopotamici in territorio straniero, a cominciare forse da Enmebaragesi, seguito da Eannatum di Lagash, Lugalanemundu di Adab (ma la notizia è incerta), dai re sargonici e da quelli di Ur III.
Affini al regno elamita e spesso ad esso alleati in chiave antimesopotamica sono i regni di Shimashki e Markhashi (o Barkhashi). Il primo si doveva estendere per buona parte della catena montuosa degli Zagros, nell’Iran occidentale, ed è noto soprattutto da alcuni testi cuneiformi di periodo Ur III. Di particolare interesse risulta la cosiddetta Lista reale shimashkea da Susa, databile al periodo paleobabilonese, che elenca 12 sovrani in tutto. Sotto a Yabrat (scritto Ebarat o Ebarti), attestato per una ventina di anni a cavallo tra Shulgi e Shu-Sin, il regno di Shimashki si espande fino a lambire i territori di Anshan. Spetta invece a Kindattu conquistare Ur negli ultimi anni del millennio, ponendo così fine all’impero della terza dinastia di questa città.
Il regno di Markhashi si pone invece a est di Anshan, nell’Iran centrale. La regione, oggetto di una recente ricognizione di superficie, ha rivelato la presenza di circa 300 siti, molti dei quali di grandi dimensioni, tutti inesplorati. I contatti con la Babilonia sono di natura commerciale, visto che da qui passano i traffici di pietre dure provenienti da est. Manishtushu e Rimush, re della dinastia di Akkad nel XXIII secolo a.C., si rendono protagonisti di spedizioni in tutta l’area. Il regno intrattiene stretti rapporti con i re di Ur III, almeno dalla metà di Shulgi a Ibbi-Sin, ma seguirà il destino dell’Impero mesopotamico, il cui crollo farà uscire Markhashi dal circuito commerciale della Babilonia. Ancora più a est le culture della Valle dell’Indo, nell’attuale Pakistan e India occidentale, appaiono pienamente sviluppate già verso il 2600 a.C., nella cosiddetta fase matura. I siti meglio indagati sono Mohenjo-Daro, Harappa, e Kalibagan.
L’influsso di Uruk sullo sviluppo di questi centri è difficile da valutare. Certo la scrittura – ancora non decifrata – è di matrice locale, e si diffonde tardi rispetto alla Mesopotamia, insieme all’uso dei sigilli. Quando la documentazione diviene sufficiente per un’analisi storica, sembra che questi centri costituiscano una cultura unitaria fortemente centralizzata, come suggerisce ad esempio il sistema di pesi e misure condiviso su un’area molto vasta. Tuttavia, forse è meglio parlare di una rete coordinata di città, analoga per certi versi alla confederazione elamita, e di politiche comuni su scala regionale. Sul versante opposto del Mediterraneo, nel III millennio a.C. sono già fiorenti le città-stato di Tiro, Sidone e Biblo, attirate quasi da subito nell’orbita degli scambi con l’Egitto.