CISTA (κίστη, cista)
Recipiente di uso assai comune nell'antichità, in origine soltanto di vimini intessuti, più tardi di legno, cuoio e metallo, di forma quasi sempre cilindrica, più raramente ovale o prismatica. Si distinguono le c. di uso rituale (cista mystica) da quelle destinate a contenere oggetti inerenti all'abbigliamento personale dell'uomo e della donna. Soltanto di queste ultime possediamo esemplari. In relazione al suo uso la c. compare spesso nelle figurazioni vascolari e nei rilievi che rappresentano scene di abbigliamento ed è costantemente associata allo specchio, o all'alabastro, allo strigile, all'ago crinale. Anche dai dati di scavo le c. risultano sempre accompagnate, nelle tombe della cui suppellettile facevano parte, da uno o più di questi oggetti.
Le c., in origine canestri cilindrici con coperchio, in Grecia erano fabbricate con vimini intrecciati, legno, cuoio, metallo e generalmente decorate a fasce parallele, come appare dalle figurazioni vascolari e dai cistofori (v.), con motivi ornamentali, raramente figurati. L'uso della c. era diffusissimo, ma talora essa fu sostituita dal cesto conico (kàlathos) o dal cofano con coperchio a cerniera. Stando alla documentazione archeologica, le dimensioni risultano non molto grandi e l'altezza dell'oggetto è spesso minore del suo diametro.
Nella valle Padana orientale (Veneto ed Emilia) è noto fin dalla tarda Età del Bronzo (Fontanella di Casal Romano) un tipo di c. cilindrica, con coperchio piatto, di estrema semplicità, la c. a cordoni, che assume uno sviluppo e una diffusione eccezionali nell'Età del Ferro (II e III periodo di Este, I e II Benacci e Arnoaldi a Bologna). La c. a cordoni è costituita da una piastra di bronzo laminato e ondulato, le cui estremità sono unite con chiodi. Con chiodi è pure fissato il fondo. I cordoni sono dapprima intervallati da larghe gole decorate con motivi geometrici in puntinato. Le dimensioni delle c. più antiche sono piccole, l'altezza supera in genere il diametro. Nel pieno sviluppo, durante l'Età del Ferro, le dimensioni crescono e i cordoni s'infittiscono; la decorazione, a sbalzo, è ora limitata al coperchio. Queste c. hanno manici di semplice verga e mancano di piedi. A Bologna la c. a cordoni continua invariata per tutta l'età etrusca. Nel 1949 se ne è trovata una accompagnata da un molto tardo vaso campano con sovrapittura in bianco. Esistono anche imitazioni di piccola c. a cordoni in terracotta. La frequenza delle c. a cordoni nella valle Padana orientale ha fatto localizzare qui, con buone probabilità, i centri di produzione delle medesime. La diffusione commerciale comprende un'area vastissima: si sono trovate c. di questo tipo non solo nel Piemonte e nel Piceno, ma oltr'Alpe, nel Norico, nell'Ungheria e fino sul Baltico (Palsdorf presso Lubecca) e in Scandinavia. Assenti sono invece le c. a cordoni nell'Etruria e nel Lazio, mentre sono abbastanza diffuse nel resto d'Italia e presenti pure in Sicilia (Leontini). Si è ritenuto per molto tempo che questi esemplari provenissero dall'Oriente ellenico, per il tramite di Cuma. Si ritiene oggi più comunemente che il luogo di provenienza sia anche per esse la valle Padana.
La c. a cordoni, nata e sviluppata nell'ambiente della decorazione geometrica, è strettamente funzionale, giacché i cordoni hanno lo scopo di rinforzare le pareti e le proporzioni sono suggerite da motivi pratici, e trae dalla sua funzionalità stessa l'effetto decorativo. Nelle tarde c. villanoviane e in quelle della Civiltà della Certosa, i manici sono ornati con anelletti e pendagli a traforo. Nel coperchio si svolge una decorazione a sbalzo sempre a motivi strettamente geometrici. Nell'Etruria propria e nel Lazio sono in uso c. decorate a traforo, a rilievo o a incisione. L'esemplare più antico è a traforo, con la lamina applicata su di un fusto di legno. La superficie è spartita in quattro zone: quelle mediane a traforo, con figure di felini, le altre due a sbalzo e incisione. Questo recipiente, che per la forma del manico richiama le situle (v.), è del periodo orientalizzante. Non è escluso che fra situle e c. vi fosse un certo scambio di forme esterne: comunque, la c. è distinta dallo scheletro ligneo, che la situla non ha.
La c. etrusca di età classica è ovale, l'altezza è minore rispetto alla larghezza della base, poggia su quattro piedi applicati per mezzo di una placchetta ed ha il coperchio a cerniera, con manico configurato. Il coperchio e il corpo della c. sono decorati a sbalzo: la parete reca una fascia figurata compresa fra due altre fasce adorne di fregi vegetali (palmette, fiori di loto) o altro. A due terzi dell'altezza sono applicati degli anelli che servivano ad appendere il recipiente mediante cordoni o cinghie. Per l'intera serie delle c. ovali già il Della Seta aveva riconosciuto la persistenza di forme arcaiche nelle figurine costituenti i manici e decoranti le placchette di attacco ai piedi, e perciò stabiliva l'inizio della produzione di esse almeno alla fine del sec. V a. C. Ma tali tratti di arcaismo si mantengono anche quando nella decorazione del corpo e del coperchio si riscontrano una libertà e scioltezza di schemi e di scorci che presuppongono esperienze più tarde. Un esempio assai noto è una c. vulcente in cui la scena figurata è un'amazzonomachia, con schemi che ricordano da vicino quelli delle lastre del Mausoleo, sicché essa deve datarsi almeno alla seconda metà del sec. IV a. C. Contemporanee o quasi a quelle ovali a rilievo sono le c. cilindriche a traforo, come risulta dalle figure a rilievo o a tutto tondo ad esse applicate. La lamina metallica è intagliata a motivi floreali, e l'intaglio risaltava su di una superficie di cuoio interposta fra la lamina esterna e lo scheletro ligneo. Le proporzioni sono massicce, perché di rado l'altezza supera il diametro. Il manico del coperchio è costituito o da coppie di lottatori o da figure di guerrieri che trasportano un compagno caduto, espressi nelle forme correnti della plastica etrusca del sec. IV a. C. Un esemplare di Palestrina, nel Museo di Villa Giulia a Roma (Della Seta, Mus. di Villa Giulia, p. 468), ha nel gruppo una rigidezza quasi architettonica; un altro esemplare, nello stesso museo (op. cit., p. 477), un più accentuato plasticismo. Sul coperchio, attorno al manico, si svolgono decorazioni graffite.
A partire dalla fine del sec. IV a. C. comincia la produzione delle c. cilindriche con decorazione unicamente graffita. La produzione di tali c. è localizzata a Preneste (Palestrina, v.) - sicché vige il nome convenzionale di c. prenestine - o, in ogni modo, nel Lazio.
Il capolavoro della serie, la c. Ficoroni, è stata fabbricata a Roma (v. novios plautios). Tale produzione si esaurisce non prima della fine del sec. II. L'altezza supera sempre il diametro (proporzione usuale 1 diam. e 1/2). La tripartizione della decorazione, già osservata nella c. a sbalzo di Vulci, continua e diventa un motivo fisso, mentre varia l'altezza delle singole fasce. È stato rilevato (Della Seta), a proposito di tali c., un processo meccanico di lavorazione in serie, poiché varie volte le placchette d'attacco dei piedi e le borchie degli anelli vengono a coprire parti importanti della decorazione o del fregio, presupponendo una indipendenza fra incisione, fusione delle parti plastiche e montaggio. Questa osservazione è convalidata dal fatto che di rado vi è coerenza stilistica e qualitativa fra incisione e parti applicate. Uno dei motivi dell'incoerenza è che le parti fuse si eseguivano in serie con delle forme, mentre l'incisione doveva essere ogni volta eseguita ex novo.
Dal punto di vista tecnico, la produzione delle c. incise è strettamente collegata alla secolare esperienza conseguita dagli Etruschi nella fabbricazione degli specchi, e in essa trova il suo necessario presupposto. Ma, sotto il rispetto stilistico, le c. e gli specchi prenestini, usciti dalle stesse botteghe artigiane, discordano molto dalle coeve manifestazioni dell'arte etrusca. La vasta superficie offerta dal corpo della c. permetteva di svolgere ampie composizioni, senza quelle preoccupazioni compositive, che sono il vincolo costante degli incisori etruschi di specchi. Anzi qui nasceva il problema opposto: come riempire adeguatamente lo spazio a disposizione. Perciò il più delle volte gli incisori, che materialmente derivavano le loro composizioni da modelli greci, univano insieme più scene senza alcun rapporto reciproco o aggiungevano personaggi a scene di genere per completare il fregio.
Il problema decorativo consisteva infatti nel rispettare la continuità del fregio figurato e, nello stesso tempo, disporre i gruppi in modo che potessero essere compresi da un solo sguardo, poiché, naturalmente, la forma dell'oggetto impediva la veduta intera in una sola volta. In ciò poteva essere utilizzata l'antica esperienza dei pittori di vasi. Nel complesso, fregio figurato e fregi ornamentali erano sentiti, per il comune fine decorativo, allo stesso modo.
La più antica fra le c. è anche - come comunemente si ritiene - quella di più elevata qualità artistica: la c. Ficoroni che, per le proporzioni e la distribuzione degli elementi decorativi, costituisce quasi il modello di tutta la produzione posteriore. La c. Ficoroni è l'unica fra le più antiche c. incise che presenti un fregio unitario quanto al contenuto, con un coordinamento dei gruppi ad esso intonato. Ma è anche un fatto isolato per quanto riguarda la qualità artistica, nelle altre c. generalmente abbastanza mediocre. Gli esemplari che più si distinguono sono di poco posteriori alla c. Ficoroni, come la c. Barberini con il ratto di Crisippo, Edipo a Delfi e il giudizio di Paride, il cui disegno richiama la ceramica falisca, l'altra c., pure Barberini, con Perseo e Atena che presentano a Zeus la testa della gorgone, notevole per il largo impianto delle figure. In queste ed in numerose altre c. è vivo il ricordo dell'opera di Novios Plautios, per quanto riguarda l'ambientazione paesistica. In seguito anche questa diventa una formula convenzionale, ripetuta senza tener conto del vero rapporto fra figure e sfondo. In generale si nota come le figurazioni delle c. dipendano più o meno mediatamente dalla pittura ellenistica: e per la linea talora discontinua, e per il moltiplicarsi di elementi cromatici, e per l'insistenza sullo sfondo paesistico. Elementi tutti che mostrano come, mentre l'arte incisoria dell'Etruria si esauriva, gli artigiani laziali cercassero coi loro mezzi, sempre unicamente disegnativi, di adeguarsi alle forme pittoriche contemporanee. Ma questa tendenza determinò presto uno scadimento formale e un'esecuzione frettolosa e incoerente, talora meccanica, sempre impersonale. La produzione continuò così, sempre più industrializzata, fino al tardo ellenismo. Una c. del Museo del Louvre riproduce un tiaso bacchico di forme classicistiche, analoghe a quelle dei grandi crateri marmorei del I sec. a. C. I soggetti, come già si è accennato, appartengono tutti al mondo mitologico greco, quando non siano gruppi di genere. Ma talora gli incisori latini introdussero soggetti nazionali: valga ad esempio la c. di Berlino, con rappresentazione trionfale.
Bibl.: Sulle c. a cordoni: A. Grenier, Bologne villanoviènne et étrusque, Parigi 1912, p. 336; P. Ducati, Storia di Bologna, I, 1928; F. v. Duhn, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, XIV, p. 540 e ss. (ivi bibl. completa). Sulle ciste figurate: F. Gerhard, Etruskische Spiegel, I; E. Fernique, Étude sur Praeneste, Parigi 1880; E. Fernique, in Dict. Ant., s. v. Cista; A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918, pp. 448 e ss.