GOIORANI, Ciro
Nacque a Pescia, presso Pistoia, il 21 genn. 1834 da Domenico e da Giustina Tognini, e fece gli studi superiori nel seminario vescovile di Pistoia; qui condivise il fermento nazionale delle studentesche. Per volere del padre - uomo di sentimenti patriottici - lasciò il seminario subito dopo l'allocuzione di Pio IX del 29 apr. 1848 che segnò il distacco del pontefice dalla causa italiana e, tornato a Pescia, prese parte al movimento nazionale della sua cittadina, redigendo fra l'altro per conto del Circolo popolare pesciatino un Addio ai volontari livornesi impegnati nei primi mesi del 1849 nella difesa della libera Toscana dalle truppe austriache.
Soffocata la rivoluzione del 1848-49, il G. si trasferì a Pistoia, dove riprese gli studi nel liceo Forteguerri e li proseguì a Firenze presso gli scolopi, alternandoli alla collaborazione con i gruppi democratici toscani ormai ridotti alla clandestinità. Costretto a lasciare il Granducato l'8 sett. 1851, si fermò prima a La Spezia e poi, dopo circa un anno, a Torino, dove frequentò i corsi di giurisprudenza della locale università. Anche in Piemonte il G. non dismise la sua attività politica in senso repubblicano, collaborando ad alcuni fogli democratici torinesi (fra cui il Goffredo Mameli) e scrivendo poesie civilmente impegnate. Proprio la pubblicazione di una di queste composizioni, un carme in memoria del patriota Augusto Bertoni (morto suicida nelle carceri pontificie) portò il 15 maggio 1854 al suo arresto e alla sua espulsione dal Regno di Sardegna.
Riparato in Svizzera il G., che per vivere dava lezioni di italiano, seguitò a scrivere per i fogli della Sinistra subalpina (dal Diritto alla Speranza) e nel 1855 pubblicò a Ginevra i versi Il legato di un proscritto, un carme composto nel 1854 durante la detenzione a Torino. A Ginevra entrò in relazione con gli emigrati italiani direttamente legati a G. Mazzini, il quale da parte sua mostrò di avere grande fiducia nel G., tanto che alla metà del 1856 pensò di potersene valere per una delicata missione cospirativa in Liguria e in Toscana.
Nel periodo trascorso a Ginevra il G. acquisì un ruolo di spicco nella comunità italiana, che lo elesse presidente della Società italiana di mutuo soccorso lì costituitasi a fine aprile 1856 con l'assorbimento di una preesistente Società filantropica sorta nel 1851. Sempre negli anni ginevrini si situa l'accostamento del G. alle dottrine del socialista utopista francese Ch. Fourier, di cui è testimonianza significativa il poemetto La terra promessa, composto nel 1857 ma rimasto inedito fino al 1914.
Il "poema sociale" (nel quale nonostante i chiari calchi da Fourier questi non viene mai nominato esplicitamente) aveva la forma di una visione del poeta che, sfuggendo ai mali dell'esilio, entrava in una comunità - in sostanza un falansterio - in cui la "falange" dei lavoratori, animati da un'emulazione fondata sul carattere "attraente" delle mansioni svolte in gradevole alternanza fra le attività agricole e quelle industriali, viveva felice grazie alla moltiplicazione dei prodotti e all'eliminazione della povertà in virtù di un meccanismo distributivo che premiava soprattutto il "lavoro". Nel poemetto il G. auspicava l'estensione del nuovo ordine all'intera umanità; la transizione a una rinnovata età dell'oro si sarebbe realizzata - e anche qui è evidente la derivazione da Fourier - attraverso il libero dispiegamento del gioco combinatorio delle "passioni", largite agli uomini quale "suggello / all'indole d'ognuno" per ritemprarli "al lume / della ragion che il ciel provvido impose / sorella e non tiranna al vostro istinto".
Dopo l'attentato di F. Orsini contro Napoleone III (14 genn. 1858), il G. fu incluso nella lista dei rifugiati italiani che il Consiglio federale elvetico, su pressione francese, avrebbe voluto espellere dal Cantone di Ginevra e internare in un Cantone più remoto. Se attuate, queste misure avrebbero costretto l'esule a rinunciare alle lezioni che erano la sua fonte di sostentamento; per questo il G. si risolse verso la fine del marzo 1858 a chiedere al Cavour, tramite il console piemontese a Ginevra, l'autorizzazione a tornare negli Stati sardi. Ottenuto il permesso, nell'agosto 1858 il G. si recò a Torino per intraprendere di lì a poco la carriera dell'insegnamento letterario nelle scuole superiori pubbliche del Regno sardo e poi in quello d'Italia (dapprima ad Aosta, Annecy e Ivrea, nel 1861 nel liceo di San Remo e dalla fine del 1862 in quello di Cremona).
In quegli stessi anni il G. abbandonò il mazzinianesimo in favore della soluzione sabauda della questione italiana. A testimoniare questo suo più temperato orientamento politico resta un componimento poetico dai risentiti toni anticlericali, Il clero e il popolo romano, dato alle stampe a Pistoia nel 1861 per il genetliaco di Vittorio Emanuele II che vi era esortato a completare l'Unità abbattendo il potere temporale dei papi.
L'attenuarsi dell'iniziale fervore repubblicano non indusse però il G. a rinunziare al suo utopismo sociale espresso sempre nei modi fourieristi. E il richiamo ai motivi centrali della dottrina di Fourier (libera estrinsecazione delle inclinazioni naturali dell'individuo; condanna della "concorrenza" e del "monopolio" commerciale e industriale; moltiplicazione dei beni da dividere più equamente fra i fattori produttivi: capitale, lavoro e "talento"; realizzazione di una società "armonica") appare evidente nelle "annotazioni" in prosa al poemetto sopra ricordato dove si legge: "Fra la concorrenza sfrenata e il monopolio omicida havvi un giusto mezzo […]. All'anarchia mercantile e al feudalismo industriale mal si dà il nome di libertà […]. L'incremento massimo della produzione e il suo equo riparto fra i produttori, non a stregua di un'eguaglianza tirannica, ma giusta le norme della giustizia distributiva, sono condizioni indispensabili a conciliare l'interesse individuale coll'interesse collettivo. Da siffatta conciliazione dipende l'armonia sociale, oggetto della vera scienza economica".
La musa del G. - talora impacciata da "viete forme classicistiche" (B. Croce) e da un'ispirazione non sempre spontanea, ma particolarmente feconda in questo volger di tempo - si espresse in un nuovo saggio di poesia civile, il carme Martirio e speranza, edito a Cremona all'inizio del 1863 e dedicato a V. Hugo. Questi versi confermavano l'impegno sociale e gli intenti riformatori del G. che batteva con forza l'accento sul contrasto fra i ricchi oziosi e i poveri costretti a un lavoro servile e remunerato con salari di fame: un'umanità misera e dolente qui personificata in un operaio ginevrino, dal nome significativo di Spasimo, che denunciava l'"orrida piaga / del vasto corpo socïal" ormai estesasi a un punto tale da richiedere rimedi eroici come quelli suggeriti anni prima nella Terra promessa.
Dal 1862 in avanti il G. continuò a lavorare nell'ambito della scuola pubblica prima come insegnante liceale a Firenze, Cagliari e nel 1867 a Treviso (dopo la breve parentesi del 1866 in cui fu segretario di gabinetto di A. Mordini, commissario regio a Venezia). A Ravenna il G., razionalista e anticlericale, si pronunziò a favore dell'eliminazione del catechismo e della storia sacra dall'istruzione elementare: una scelta che provocò aspre polemiche che lo spinsero a dimettersi dall'ufficio (La mia dimissione, ossia l'abolizione dell'insegnamento religioso dogmatico e catechistico nelle scuole elementari pubbliche e la libertà delle opinioni nei consigli provinciali scolastici. Lettera a s.e. il ministro della Pubblica Istruzione, Roma 1870). Ma, nonostante gli impegni didattici e amministrativi, non interruppe la sua attività di verseggiatore e di pubblicista, stampando fra l'altro un discorso sulla Letteratura educatrice (Torino 1864) e un Appelloagli elettori liberali del collegio di Pescia (Lucca 1865) in cui si chiedeva la "soppressione assoluta" delle corporazioni religiose e "la conversione e il riordinamento" dell'asse ecclesiastico.
Dopo le dimissioni, il G. (che talora si firmò con lo pseudonimo di Arrigo Jonico) tentò la strada del giornalismo, dirigendo fra il 1871 e il 1872 la fiorentina Piccola Stampa, foglio di opposizione alla Destra storica, e il pesciatino Lume a gas, un vivace giornaletto popolare. Ben presto però tornò agli incarichi di provveditore in varie città, da Perugia a Pavia, e da allora la sua presenza sulla scena letteraria divenne saltuaria, con lunghi periodi di silenzio, a eccezione degli anni 1879-82, in cui pubblicò volumetti di odi e versi e si cimentò con la satira politica (Il nuovo gingillino, Milano 1882).
In questa produzione merita un richiamo più ampio il discorso pronunciato dal G. in memoria di N. Fabrizi, suo amico dei tempi risorgimentali (Inaugurandosi in Castelnuovo di Garfagnana il busto di Nicola Fabrizi, Pisa 1888). Qui l'oratore parlava di se stesso come di un "vecchio poeta civile", fedele agli ideali della libertà e del progresso e, con un riferimento alle dichiarate simpatie fourieriste, come di un "cultore sincero del problema sociale, e credente nella possibilità organica dell'Armonia economica", capace di far convivere pacificamente capitale e lavoro. Sul piano politico il G. rinnovava la dichiarazione di fede nella monarchia sabauda che, fattasi nazionale, popolare e rivoluzionaria, aveva saputo conciliarsi con la democrazia. E per cercare di mantenere una qualche coerenza con il suo passato democratico e cospiratorio degli anni dell'esilio, egli giustificava e valutava positivamente l'azione delle società segrete e della Giovine Italia, assertrice dell'idea unitaria e della mazziniana "religione del martirio".
Gli ultimi anni del G. trascorsero nella solitudine e nel silenzio, fino alla morte, che lo colse a Roma il 30 apr. 1908.
Altri scritti del G.: Il 2 giugno. Carme latino, liberamente tradotto, Firenze 1861; Il cigno morente, ossia l'ultimo canto di Arturo, San Remo 1862; Il primo giugno 1862, Pistoia 1862; "Post tenebras lux", Cremona 1863 (con S. Mercantini); La Chiesa di tutti. Inno razionale dedicato ai liberi pensatori d'Italia, Firenze 1865; Nelle austere fidizie di Dante che la nuova Italia celebra degnamente in Firenze…, Pistoia 1865; La trilogia di Dante. Tre sonetti, Firenze 1865; Il deputato ventricolo, Cagliari 1866; Roma. Ode, Rieti 1879; La tragedia del 30 giugno nella birreria Morteo in Roma (versi), Pavia 1882; Resurrectio, Rieti 1883.
Fonti e Bibl.: Alcune lettere del G. sono conservate nell'archivio del Museo centr. del Risorgimento di Roma (b. 498). Tra gli scarsissimi scritti sul G. si ricordano: G. Stiavelli, Un dimenticato (C. G.). Note critico biografiche, Perugia 1909; G. Rabizzani, Arrigo Jonico, in Id., Ritratti letterari, Firenze 1921, pp. 61 ss.; e il profilo dedicatogli in Diz. del Risorgimento naz., III, s.v.; si vedano anche la prefazione di E. Cecchi a C. Goiorani (Arrigo Jonico), Opere scelte, Milano 1914, e B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1939, p. 226. Cfr. infine Diz. biogr. degli scrittori contemporanei, s.v.; per i rapporti con Mazzini v. G. Mazzini, Scritti editi ed inediti (per la consultazione cfr. Indici, II, ad nomen). Sul soggiorno in Svizzera cfr. M. Mauerhofer, La société de secours-mutuels à Genève pendant les années 1856-1858 et les réfugiés italiens à Genève pendant la même période, in Rass. stor. del Risorgimento, XXVI (1939), pp. 121 s.