CIRCIGNANI (Cincignani, Cercignani, Cirgnani), Nicolò, detto il Pomarancio
Il soprannome gli deriva dal paese di Pomarance, vicino Volterra (Pisa), dove nacque. Incerta è la data della sua nascita, che deve essere fissata intorno al 1530, dal momento che il Vasari, nella edizione definitiva delle sue Vite (1568), ricordandolo attivo nel duomo di Orvieto, lo chiama "pittore giovane".
Poche sono le notizie sicure sulla sua giovinezza e sulla sua educazione artistica: lo si vuole dapprima allievo del pittore suo conterraneo Daniele da Volterra e poi, a Firenze, di Santi di Tito. Sicuramente al seguito di quest'ultimo venne a Roma, dove lo vediamo attivo nella maggior sala del Belvedere, in Vaticano, mtorno al 1562-63. Vi dipinse, con G. De Vecchi e con lo stesso Santi di Tito, due delle storie riguardanti Episodi della vita di Nabucodonosor. Ma il suo primo periodo romano fu breve se il C. è subito dopo documentato in Umbria, a Città della Pieve, dove è indicato, nel luglio 1564, come "habitator ad praesens terrae Castri Plebis" (Canuti, 1952, pp. 185, 197).
Nel dicembre dello stesso anno, a Orvieto, costituisce con il pittore, fiammingo Hendrich van den Broeck una società "per l'esercizio della pittura e scultura ed ogni altro lavoro per lo spazio di un anno" (ibid., p. 196). Nel 1565 sostituisce il van den Broeck, impegnato a Mongiovino (Panicale), nella decorazione a fresco di una cappella del duomo di Orvieto (perduta per i rimaneggiamenti ottocenteschi), e per l'altare della stessa cappella dipinge una tavola con la Guarigione del gottoso, conservata nel Museo dell'Opera del duomo. Nel 1566 dipinge un'altra cappella del duomo di Orvieto, quella di S. Nicola, e l'anno successivo, a Città della Pieve, dove risiedeva abitualmente, sposa Teodora, figlia di ser Girolamo Catalucci. Dei sei figli avuti da Teodora, il primogenito, Antonio, sarà anche lui pittore.
L'attività del C. in questo periodo fu certamente intensa. Molte opere sono perdute, ma alcune altre rimangono, e documentate, a Città della Pieve, a Perugia e in altri luoghi dell'Umbria. Nel 1568 firma a Perugig, nella chiesa della Maestà delle Volte, la decorazione del soffitto, della cupola e dei peducci e a Mongiovino (Panicale), nel 1569, lavora in tre cappelle e dipinge una Resurrezione a fresco. Nell'agosto del 1570 si lega ad un certo maestro Battista di maestro Vincenzo in una società per l'esercizio dell'oreficeria a Città di Castello, dove risulta soprattutto attivo in questo periodo. Di quello stesso anno è un Martiriodi s. Stefano, oranella Pinacoteca di Città di Castello, ma proveniente dalla chiesa di S. Francesco. Nel 1570 firma una tavola con la Deposizione dalla croce per la chiesa degli osservanti di Citerna. Dell'anno successivo è una Strage degli innocenti perS. Agostino, che trovò però difficoltà ad essere esposta per l'opposizione di un visitatore apostolico che vi notava eccessive nudità.
Posteriori sono una Immacolata concezione e una Annunciazione (1577), conservate nella Pinacoteca di Città di Castello, che testimoniano di una più vasta attività, ricordata dalle fonti ma ora in parte dispersa o gravemente. danneggiata, che gli valse nel 1577 la cittadinanza onoraria di Città di Castello. In questo stesso periodo dipinse per la chiesa di S. Francesco a Umbertide una tela con la Vergine, angeli e santi ricevette un compenso di 15 fiorini (Canuti, 1952, p. 208) per il restauro della già menzionata Guarigione del gottoso dipinta per il duomo di Orvieto, e ritornò spesso a Città della Pieve cui lo legavano interessi familiari, economici e di lavoro artistico.
Alla fine dell'ottavo decennio del Cinquecento deve porsi la data del suo secondo, e più lungo, periodo di attività romana. Il nome del C. è legato ad una produzione abbondantissima e ad alcuni dei cicli e delle commissioni ufficiali più importanti e indicativi delle tendenze culturali, artistiche, e religiose della Roma contro riformistica della seconda metà del secolo. Qualificata e con un ruolo rilevante fu.la sua bartecipazione ai lavori programmati in Vaticano durante il pontificato di Gregorio XIII: dipinse nella sala della Meridiana nella torre dei Venti; gli è attribuito dallo Hess (1936) un Tributo a Cesare nelle logge del secondo piano ed è documentata (De Campos, 1967, pp. 177 s.) tutta una serie di affreschi col Paradiso e le corti celesti nelle logge del terzo piano, per le quali ebbe anche l'incarico di sovrintendere ai lavori complessivi della decorazione (1580-83).
Dal Baglione (1642) è affermata la sua partecipazione nelle pitture della volta della galleria delle Carte geografiche. Dal 1581 membro dell'Accademia di S. Luca, il C. fu attivo anche in importanti decorazioni per chiese e istituzioni religiose romane. Intorno al 1582 dipinse la complessa serie di affreschi nella chiesa di S. Stefano Rotondo, aiutato nelle prospettive e nei paesaggi, secondo il Baglione, da Matteo da Siena, con scene del Martiriodi vari santi: analitiche e accurate descrizioni delle efferate crudeltà cui erano stati sottoposti i difensori della fede, testo offerto alla riflessione dei novizi gesuiti e momento tra i più significativi della religiosità e della moralità controriformistica di immediata ispirazione gesuitica (Roettgen, 1975). Del 1582 sono i pagamenti per gli affreschi con le Storiedella Croce, dipinti, con G. De' Vecchi, C. Nebbia, P. Nogari, C. Roncalli, nell'oratorio del Crocifisso di S. Marcello (Henneberg, 1974). Nel 1585 furono conclusi i lavori a fresco nella cappella di S. Francesco in S. Giovanni dei Fiorentini (L. Salerno, in Via Giulia, Roma 1973, p. 232) e nello stesso anno, secondo documenti d'archivio, furono completati gli affreschi, oggi molto rovinati, nella cappella dei Magi in S. Maria di Loreto (S. Benedetti, S. Maria di Loreto, Roma 1968, pp. 114, 116). Di poco posteriori sono le decorazioni a fresco delle volte, dei peducci e delle lunette nelle prime due cappelle a sinistra della chiesa del Gesù. Una attività così intensa deve averlo persuaso dell'opportunità di trasferire tutta la famiglia a Roma e un documento del 1586 (Canuti, 1952, p. 215) lo indica come "habitator olim Castri Plebis, et in praesentiarum degens Romae".
È questo il momento più ricco e qualitativamente migliore dell'attività del Circignani. Al generico michelangiolismo della sua formazione, cui si era via via aggiunta una facile ed eclettica capacità di assimilazione delle tendenze più importanti del tardo manierismo romano, dal Muziano agli Zuccari e, sia pure limitatamente, anche al Barocci, succede la tendenza ad una più chiara semplificazione dell'artificiosa e frammentaria figurazione del codice manieristico e la ricerca di una composizione più unitaria e monumentale. Ci si riferisce, oltre che agli affreschi del Gesù, soprattutto al Cristo benedicente e angeli nel catino absidale della chiesa dei ss. Giovanni e Paolo, parte superstite di una più vasta decorazione, e alla serie di affreschi del coro, della facciata e della cupola di S. Pudenziana, di, cui però si è conservato solo il Cristo in gloria con angeli della cupola. È abbandonata la tradizione manieristica degli scomparti e dei riquadri per arrivare ad una decorazione che occupa pei intero la superficie della cupola con lo scopo, forse, di aumentarne le dimensioni e il volume; le false architetture del tamburo e personaggi posati sulle cornici ai lati degli "occhi" non mancano di ricordare l'esempio del Correggio. Ma il composto risalto plastico e volumetrico delle figure individua più un'originale variante dalla tradizione manieristica che un suo superamento.
Nel 1589 il C. lavorava nell'abbazia di Valvisciolo (Sermoneta), dove affrescò con scene di martirio e di miracoli di vari santi la cappella di S. Lorenzo. Una singolare iscrizione ricorda sia la data sia i nomi dei suoi collaboratori: il figlio Antonio, Francesco Fazzuoli, Camillo Campani che si lamentano per il fatto che durante il lavoro rimasero "tutti secchi da lo stento" (O. Nardini, in L'Arte, III [1900], pp. 411 s.). Nel 1590 circa, commissionati dal cardinale Alberto arciduca d'Austria, che vi lasciò a ricordo una lapide datata 1593, eseguì a Roma gli affreschi, di recente restaurati, nella cappella di S. Elena in S. Croce in Gerusalemme con Storie della s. Croce. Un altro importante ciclo di affreschi dipinto a Roma, ma ora in parte perduto, è quello per la chiesa di S. Antonio Abate all'Esquilino con vari episodi della vita del santo titolare; rimangono quattro riquadri nel tamburo della cappella grande (Enking, 1964).
Nell'ultimo decennio del secolo il lavoro a Roma dovette diventare più rado per poi concludersi ben presto, se i documenti (tutti pubblicati in Canuti, 1952) c'informano della sua presenza sempre più continua a Città della Pieve, dove permanevano importanti interessi economici e la cura delle sue numerose proprietà, oltre che di lavori per Volterra e Pomarance. Nel 1590 firmava e datava nella chiesa dei ss. Giusto e Clemente a Volterra una Deposizione dalla croce e l'anno seguente, sempre a Volterra, una Ascensione di Cristo, ora nel battistero di S. Giovanni. Nel 1594 era sicuramente tornato a Città della Pieve dove comprava un terreno e, nel documento relativo, veniva chiamato "continuo habitatore terrae Castri plebis". Ed è proprio in quest'anno che la cittadina umbra, con solenne riconoscimento dei suoi reggitori, lo nominava cittadino onorario (Giornale di erudizione artistica, I[1872], pp. 85 s.). Trovava tuttavia la possibilità di un viaggio a Roma e F. Zuccari, nella sua storia dell'Accademia di. S. Luca, lo ricorda nella terza domenica di giugno del 1594 come relatore di una tornata accademica sulle pitture a soggetto storico.
Le sue ultime opere sicure portano la data del 1596: una Annunziata per il duomo di Città di Castello, ricordata dal Titi ma rubata nel 1809, e un'Ascensione, firmata e datata, per la chiesa di S. Francesco a Cascia (Pittura del '600 e '700. Ricerche in Umbria, I, Treviso 1976, n. 23, p. 244).
L'anno della morte del C. non e sicuro: è citato come presente a Città della Pieve in un documento del novembre 1597 (Canuti, 1952, p. 224); ma nel marzo del 1599 la vedova Teodora e i figli stipulano atti di compra e vendita.
Oltre a quelle già indicate, molte altre sono le opere attribuite al Circignani. Ma occorre ricordare che, soprattutto per i dipinti dell'Umbria, delle Marche e della Toscana, è notevole la confusione attributiva tra quelli del C., del figlio Antonio e di Cristofaro Roncalli, tutt'e tre indicati dalle fonti e dalle guide antiche con il soprannome comune di "Pomarancio". Un'attenta e capillare ricognizione che tenga conto dei documenti, dei disegni, dei dati dello stile deve essere ancora tentata, anche se ulteriori precisazioni sono venute dopo le pagine che il Venturi ha dedicato, nella sua Storia, al C. e al Roncalli. Tra le opere attribuite con maggiore verosimiglianza ricordiamo gli affreschi con gli Evangelisti nella chiesa dei cappuccini a Frascati e quattro "storiette" agiografiche, databili intorno al 1578, e una Madonna della lettera nel secondo altare a destra di S. Pietro in Montorio a Roma, affresco staccato, in origine posto su un muro che fiancheggiava la strada che porta al Gianicolo.
Altre opere sono documentate e perdute. Sono tutte, o quasi, del periodo romano, ricordate dalle guide o testimoniate da disegni e incisioni: a Roma, in S. Cecilia, affreschi nel coro dietro l'altar maggiore con scene di martiri (1584: Archivio storico... della città... di Rorna, IV[1880], pp. 116 s.); in S. Lorenzo in Damaso, affreschi nella controfacciata; in S. Pietro in Montorio, affireschi nel chiostro; nella chiesa di S. Tommaso degli Inglesi, affreschì con storie di martiri cattolici (1583 circa; riprodotti sulle pareti del coro e dei matronei della chiesa in occasione dei rifacimenti ottocenteschi: W. Stechow, in Old Master Drawings, X[1935], pp. 13 s.); e in quella di S. Apollinare: questi due ultimi cicli sono noti per le incisioni che G. B. de' Cavalieri ne trasse nel 1584 (Ecclesiae anglicane Trophea ... ) e nel 1586 (Beati Apollinaris martyris ...).
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