CIONI FORTUNA, Giovanni Battista
Nacque a Buti (Pisa) il 5 giugno 1802 da Sebastiano, ricco proprietario terriero, e da Elisabetta Frullani, appartenente a una famiglia della nobiltà. Alla morte del padre la sua educazione fu affidata allo zio don Giuseppe; passò quindi all'università di Pisa, dove studiò alla facoltà di giurisprudenza, seguendo la tradizione della famiglia materna (un suo prozio, Bartolomeo Frullani, aveva anch'egli seguito studi giuridici ed era poi divenuto consigliere del granduca Pietro Leopoldo). Dopo i moti del 1821 il C., ritenendosi compromesso dal suo atteggiamento, fuggì da Pisa a Bologna, dove continuò i suoi studi. Passati, però, i momenti più pericolosi, tornò di. nuovo a Pisa, restandovi sino alla lauxea. Al termine degli studi, si ritirò a Buti; ma, poi, nonostante le pressioni della madre e dello zio affinché vi si stabilisse definitivamente per amministrare il suo ricco patrimonio, preferì trasferirsi a Firenze; e qui, alla morte dello zio, lo raggiunse anche la madre. Nella capitale del granducato si dedicò alla professione di avvocaio, a lui scarsamente congeniale.
Fin da giovane il C. si rivelò temperamento irrequieto, desideroso di nuove esperienze e ricco d'interessi letterari e politici; e, già nel '34, l'amico Guerrazzi gli scriveva che "i travagli dell'animo" di cui si mostrava "pietosamente curioso" erano da attribuire all'assoluta mancanza di scopo nella vita, comune, del resto, alla maggior parte degli uomini del tempo. Proprio questi sentimenti e lleiridente influenza di atteggiamenti e modelli letterari tipici della sua generazione dovevano portarlo, nel corso della sua vita, a impegnarsi, più che nella sua professione, nell'attività letteraria, pubblicistica. e politica. La forma letteraria in cui si cimentò per prima fu la commedia e, nel corso degli anni Trenta, realizzò una copiosa produzione: Amore e dovere, Un esempio ai padri e alle madri, Un esempio ai mariti, Un esempio alle mogli, La smania della celebrità, Un piccolo quadro levato da Parigi, opere che furono, in parte, edite a Firenze nel 1837, sotto il titolo di Saggiodi produzioni comiche e precedute da un Discorso sul teatro italiano. Si tratta di componimenti a sfondo per lo più moralistico e di scarso valore letterario che, se pure non hanno resistito aftempo, sono però indicativi dei gusto medio dell'epoca. Ma l'aspetto più impegnato della sua attività pubblicistica fu la collaborazione alla Rivista musicale di Firenze, fondata, nel 1840, da A. L. Mazzini, divenuta, nel '43, La Rivista. Giornale artistico - letterario, - drammatico - musicale e, nel '47, La Rivista di Firenze. Ilperiodico fu, nonostante i limiti ancora posti alla libertà di parola, la prima e più qualificata espressione delle tendenze democratiche fiorentine; infatti, sin dai primi numeri (che per ragioni evidenti trattavano solo temi di critica musicale e letteraria), sono già individuabili le posizioni ideologiche che saranno proprie degli intellettuali democratici di Firenze negli anni '48 e '49, Ma, soprattutto, i collaboratori dimostrano un'indubbia consapevolezza della crisi che investe la letteratura del tempo, nel momento in cui l'impeto rinnovatore della prima generazione romantica si va dissolvendo nelle forme convenzionali del romanzo storico o nella maniera degli epigoni manzoniani. Richiamandosi alle posizioni già assunte da Giuseppe Mazzini, gli scrittori della rivista rivendicano la necessità dell'impegno sociale e politico dell'artista; in particolare il C., nel 1842, dà già forma organica ai suoi pensieri, teorizzando più compiutamente intorno all'arte nell'operetta Sull'indole, sui destini e sui bisogni dell'arte drammatica in Italia, stampata a Firenze.
Qui, come in alcuni articoli apparsi sulla rivista, egli sostiene che la nuova arte deve essere lontana sia dalle teorie dei classicisti sia da quelle dei romantici, non soloper farsi banditrice di una nuova fede, di "un'idea eminentemente sociale" ma per fondarsi sulla forza del "vero", escludendo ogni espressione falsa o romanzesca. E, in questo, le sue idee coincidevano, in gran parte, con quelle di Giovambattista Niccolini, da lui considerato come la più compiuta espressione di questa nuova arte. Sicché non meraviglia che si facesse difensore del Niccolini, in occasione delle polemiche suscitate dal dramma Arnaldo da Brescia, pubblicandone una calorosa apologia ne La Gazzetta italiana che si stampava a Parigi.
Sotto l'influenza del drammaturgo toscano il C. tentò egli stesso il dramma storico, con Ilduca d'Atene (Firenze 1844), rappresentato con discreto successo al teatro Nuovo di Firenze; e a questo tipo di rappresentazione teatrale continuòa interessarsi, sino alla fine della sua vita, anche con altre opere di minor successo, prive di valore artistico, ma che valgono piuttostocome documento del gusto del tempo e dell'entusiasmo politico del loro autore e del pubblico al quale erano rivolte.
Un altro genere da lui coltivato fu la poesia. Risale infatti al 1840 una raccolta di Fantasie in versi (La fanciulla, L'artista drammatica, La donna, La cupola di S. Maria del Fiore);ma egli scrisse anche altre liriche, per lo più di occasione, e di carattere politico, come l'Apparizione di Bruto in porto d'Ostia (duro attacco contro il governo papale, stampato alla macchia ma che circolò in tutta Italia), versi in onore di Carlo Alberto, componimenti in ricordo di fatti e personalità della Rivoluzione francese e dell'Impero. Alcune di esse furono raccolte nel volumetto saggio di lirica storica preceduto da un discorso sulla nostra politica ricostituzione, pubblicato a Firenze nel 1848.
Talune di queste operette poetiche sarebbero state edite a Parigi, a cura di un Istituto storico di Francia di cui il C. era divenuto membro corrispondente. E la notizia è confermata da una lettera che l'amico A. L. Mazzini (con il quale era rimasto in stretti rapporti epistolari anche dopo la sua partenza per Parigi) gli inviava il 26 giugno 1849, mettendolo però in guardia contro la scarsa serietà e la, venalità di quella istituzione (cfr. Boccara, p. 26). Oltre ai legami con A. L. Mazzini, il C. manteneva relazioni epistolari con diversi uomini rappresentativi delle correnti democratiche, come A. Saffi, F. D. Guerrazzi e A. Brofferio.
Gli eventi più interessanti della biogrgfia del C. hanno inizio con il 1848 e con il susseguirsi di avvenimenti politici che gli permisero di assumere una posizione non secondaria nella complessa vicenda del movimento democratico toscano. Fece parte del "comitato di compilazione" de L'Inflessibile, giornale diretto dal Guerrazzi, che, pur nella sua breve vita (8 luglio 6 ag. 1848), fu il portavoce dei rapresentanti più influenti della democrazia, anche se distinti tra loro da diverse sfumature politiche (G. Mazzini, A. Vannucci, C. Marmocchi, T. Corsi).
A questi stessi collaboratori si deve anche la fondazione del Circolo del popolo che, sorto dapprima come associazione privata, si trasformò, tra il luglio e l'agosto, in un circolo pubblico, con l'intenzione di costituire un fronte di opposizione democratica e promuovere, con ogni mezzo, "l'indipendenza e la libertà d'Italia". Nonostante la genericità del progranuna, approvato il 24 agosto, deliberatamente voluta per ottenere l'adesione dei più vasti strati possibili dell'opposizione, il Circolo cercava tuttavia di crearsi una base popolare, anche se il regolamento era stilato in modo tale da evitare che vi si infiltrassero elementi troppo radicali. Il Circolo raggiunse una notevole popolarità, nel periodo che precedette la formazione del governo democratico e fu assai attivo anche in seguito, organizzando manifestazioni e presentando numerose, petizioni all'Assemblea toscana. Il C. ne fu presidente, per il periodo statutario di un mese.
Quando, dopo la caduta del ministero Capponi e la formazione del governo Montanelli-Guerrazzi, furono indette nuove elezioni Per il Consiglio generale toscano, la commissione elettorale dei Circolo del popolo presentò anche il C. tra i suoi candidati, per il collegio fiorentino di San Frediano, ove ebbe la meglio sul moderato Busacca (20 nov. 1848). D'altronde, egli fu il solo esponente del Circolo eletto, anche se la sua elezione venne attribuita alla suggestione dell'ambiente (in San Frediano era appunto la sede del Circolo) e alle pressioni rsercitate sugli elettori da alcuni membri della stessa associazione. Il 10 gennaio si aprì la nuova sessione del Consiglio, in un clima sempre più acceso; e il Circolo, che aveva provvisoriamente accantonato il programma dei suffragio universale, tornò sull'argomento sollecitando i deputati ad accettare questo principio per le elezioni alla progettata Costituente itafiana. In tale occasione il C. richiese la formazione immediata di commissioni apposite per studiare il progetto di legge relativo; e, allorché si giunse alla discussione (23 genn. 1849), intervenne in relazione all'art. 5 sull'indennità dei deputati, proponendo che venisse dichiarata irrinunciabile, proprio per evitare disparità tra gli eletti di diverse condizioni sociali.
Altri suoi successivi interventi sollecitavano di abbreviare il più possibile i tempi per l'approvazione della legge; partecipò, inoltre, attivamente alla discussione dei diversi paragrafi dell'indirizzo in risposta al discorso della Corona; ed è interessante rilevare la sua preoccupazione aflinché l'educazione venisse sancita come un "diritto del popolo". La sua animosità nei confronti del governo pontificio lo fece poi intervenire, con un lungo discorso, per sostenere l'incompatibilità della nazionalità italiana e del Papato, per lui contraddittorie, e, per chiedere ai deputati di esprimersi contro il potere temporale. Favorevole, naturalmente, alla Costituente italiana, vedeva in essa la possibilità di porre fine al dominio papale e di gettare le basi per l'indipendenza italiana. Ma l'Assemblea respinse la sua proposta (Le Assemblee del Risorgimento... Toscana, II-III, passim).
Intanto la situazione politica precipitava. L'8 febbraio Montanelli esponeva alla Camera i fatti che avevano determinato la fuga del granduca; nel frattempo giungeva in Assemblea una deputazione del Circolo del popolo, per reclamare un governo provvisorio nelle persone di Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni. Dopo i tumulti scoppiati in aula il C. dichiarò che, venuto a mancare il potere granducale, tutti gli altri poteri erano decaduti e che, pertanto, si riteneva "un semplice cittadino", sino a quando nuove consultazioni a suffragio universale non lo avessero eventualmente riportato in aula; anch'egli sollecitava la formazione di un governo provvisorio.
Sulla giornata dell'8 febbraio il C. dette un preciso giudizio politico nell'opuscolo Liotto febbraio a proposito della causa nazionale. Considerazioni di G. B. Cioni Fortuna deputato di San Frediano al Consiglio generale (Firenze 1849). Amaramente, ma non di meno lucidamente, il C. criticava l'operato del Montanelli e del Guerrazzi, i quali, non conoscendo affatto le condizioni d'Italia, avevano tenuto una duplice politica: da un lato, tentando un apparente accordo con i moderati e, dall'altro, mostrando di essere trascinati dagli elementi più radicali; ma, in tal modo, essi non erano riusciti a coalizzare tutte .le forze della democrazia, per contenere la "sommossa popolare" che, in breve tempo, li aveva travolti.
Il C. era convinto che gli stessi democratici "non avevano avuto, non volevano e non erano preparati ad una Rivoluzione" e che, del resto, mancando in Italia "quelle numerose classi di operai che vivono nel vanabili casi delle industrie, e tanto influiscono sui mutamenti interni degli ordini politici", mancava anche la possibilità di una rivoluzione "ideale-sociale". Vista ipattuabile l'istaurazione di un governo repubblicano, ritenuto pur sempre la forma migliore di regime, l'unico mezzo per affrettare l'unità d'Italia' era una "pronta, piena e libera unificazione al Piemonte". Ma, al contrario, i democratici toscani, nonostante. le dure necessità della guerra, avevano piuttosto "questionato di forme politiche" e, "mettendo sempre innanzi la libertà avevano fatto degenerare la libertà in licenza e ritardato così il trionfo della causa nazionale".
Alle successive elezioni per la Costituente toscana il C. fu nuovamente eletto, sia per il compartimento di Firenze sia per quello di Pisa, ma optò per il primo. Si mantenne sempre attivo in seno all'Assemblea e al Circolo del popolo; pure il suo nome non figura, tra i votanti nella seduta del 3 aprile, quando i deputati si pronunciarono sull'opportunità di proclamare l'unione con Roma. Sono noti, poi, gli avvenimenti che portarono alla caduta del governo provvisorio e alla restaurazione di Leopoldo II. II. C., escluso dall'amnistia, fu arrestato e coinvolto, insieme al Guerrazzi, al Mazzoni ed al Montanelli, nel processo di "lesa maestà". Tuttavia, non emergendo prove sufficienti per ritenerlo correó di "perduellione", venne prosciolto. Si ritirò quindi a vivere nella sua villa di Belvedere, presso Buti, tornando, con rinnovata passione, all'attività letteraria. Frutto di questa ripresa fu il dramma Ilmarchese di Bedmar, o I venturieri a Venezia (che il C. sperava di veder rappresentato, anche per l'interessamento del Brofferio), opera di stile e valore letterario non diversi da quelli degli scritti degli anni prequarantotteschi.
Il C. morì nella sua villa a Buti il 3 marzo 1853.
Fonti e Bibl.: Documenti dei processo di lesa maestà..., 1849-1850, I, Firenze 1850, pp. 135-139; Le Assemblee del Risorgimento... Toscana, II-III, Roma 1911, passim;F. Martini, Il Quarantotto in Toscana. Diario ined. del conte L. Passerini de' Rilli, Firenze 1948, ad Indicem;C. Rotondi, Bibliogr. dei periodici toscani (1847-1852), Firenze 1852, ad Indicem;V. E. Boccara, Unoscrittore patriotta dimenticato. G. B. C. F. (1802-1853), biogr. con lettere sino ad ora ined. di Guerrazzi, Mazzoni, Niccolini, Saffi ed altri, Livorno 1904;C. Ron.chi, Idemocratici fiorentini nella rivoluzione del '48-'49, Firenze 1963, ad Indicem;G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1964, II, p. 194;N. Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell'Ottocento, Roma 1966, ad Indicem; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 696 s.