CIONE di Baglione
Nacque a Firenze da un Baglione e da Ciuta figlia di Filippo di Lastra, presumibilmente verso la metà del sec. XIII. C. doveva essere diminutivo di "Uguic [c] ione" secondo quanto si legge in un sonetto proposta di Chiaro Davanzati (Menichetti, p. 361). Personaggio di rilievo nella Firenze del tempo, ghibellino ("nessuno or faccia contro a la corona / che tosto n'averia gran penitenza"), dal febbraio del 1280 fece parte dei Consiglio generale del Comune; la sua presenza nei consigli cittadini è attestata poi per tredici anni. Altrettanto intensa fu la sua attività di notaio. Ebbe due figli, Piero e Giovanni.
Nessuna notizia ci resta di C. dopo il 1310; è probabile quindi che egli sia morto intorno a quella data.
Di C. si conoscono venti sonetti: diciannove conservati dafl'autorevole codice Vat. lat. 3793 (in effetti il codice, con l'intestazione "ser Cione notaio" gliene attribuisce diciotto, ma il sonetto n. 864, che sembrerebbe appartenere solo a Monte'Andrea, è un sonetto doppio nella forma a coblas tensonadas tra Monte e C.), e uno in tenzone - cui partecipò anche l'Alighieri - con Dante da Maiano e con l'intestazione "ser Cione Ballione", dalla altrettanto autorevole Giuntina. Che il codice Vaticano omettesse di cognominare C. sembrò autorizzare, presso qualche studioso locale, l'identificazione di Cione Baglione in un Cione di Perugia (Tommasini Mattiucci, p. 89). Tentativo questo, poco attendibile: diverso infatti il mestiere ("Se questo Cione di Perugia era un condottiero, come poteva essere anche un notaio?": Zingarelli, p. 214), diversa l'età (il C. di Perugia era di qualche decennio più. giovane) e, elemento determinante, diversi la lingua, lo stile e i temi.
I sonetti, dei quali manca a tutt'oggi una complessiva e attendibile edizione critica, sono di argomento amoroso, politico e moraleggiante. Nei sonetti d'amore - i più numerosi - si ritrovano temi e sintagmi (del tipo per esempio "s'io rido o canto o sollazzo", "sollazzo e gioco" ecc.) tipici della lirica d'amore di tradizione siculo-toscana. Veicolo d'amore sono gli occhi (5 17): "d'amore gli ochi son la prima porta" (qui basti il rimando a Giacomo da Lentini: e "li occhi in prima generan l'amore"); amore è desiderio (777): "chamor nonn-è se non pur disïanza", il cui fine, il concupimento di una donna che sia "'l fior di bellesse", giustifica il servizio d'amore: "e per merzé mio core a lei s'inchina / di fare quello che le sia a piaciere". Né mancano sfumature parodistiche come nel sonetto 517 dove gli occhi "porgono piaciere dov'omo atende / e son d'entrare uscio, spiraglio e porta", o esempi di virtuoso tecnicismo come nel sonetto 519 "Per amore amaro pede tene in tana", fondato su ripetute paronomasie. Interessante la tenzone con Monte in cui - palese il gioco - C. risponde (686) "a nome di donna". Sicché, ma ribaltandone in positivo il giudizio, C. fu "verseggiatore ai margini del tempo e del gusto stilnovistico" (Vallone, p. 43). Altri con i quali, C. tenzonò furono Chiaro Davanzati, Francesco da Camerino e Orlanduccio Orafo.
Di maniera i pochi sonetti d'argomento morale, mentre quelli politici, tutti in tenzone (famosa la tenzone tra Monte, C., ser Beroardo, Federigo Gualterotti, Chiaro, messer Lambertuccio. Frescobaldi, per la datazione della quale molto si è discusso), se rion fossero contraddetti da un, realtà comunale fatta di aspre lotte tra fazioni, farebbero pensare, ma qui valga la forza degli apparati retorici, a una lotta politica corretta e ami. chevole.
Edizioni: Il testo di "Credo che nullo saggio a visîone" è stato tradito dalla raccolta Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani in dieci libri raccolte stampati a Firenze dagli eredi di Filippo Giunta nel 1527, ed edito criticamente in Dante da Maiano, Rime, a cura di R. Bettarini, Firenze 1969, pp. 187188. Gli altri sonetti, traditi dal codice Vat. lat. 3793 coi numeri 515-524, 686, 696-697, 774-775, 777, 863, 883, si leggono in ed. interpretativa in: Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793 a cura di A. D'Ancona-D. Comparetti, IV, Bologna 1886; V, ibid. 1888; in ediz. diplomatica in: Il Libro de varie romanze volgare, cod. Vat. 3793, a cura di F. Egidi, VI, Roma 1906. Per altre ediz. si veda F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, Bologna 1884, pp. 47, 279, e il Supplemento di S. Morpurgo, Bologna 1929, pp. 34, 107, 173. Ediz. parziali ma criticamente attendibili si leggono in A. Massera, Sonetti burleschi erealistici dei primi due secoli, Bari 1920, I. pp. 44-46 e note; II, p. 110; E. Monaci, Crestomazia ital. dei primi secoli, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, pp. 248, 306-308; C. Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Bologna 1965, pp. 360-364; D. S. Avalle, Ailuoghi didelizia pieni..., Milano-Napoli 1977, p. 201 e commento pp. 105 s.
Bibl.: Fondamentale per la vita e l'analisi del sonetto tradito dalla Giuntina: S. Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello 1912, specie pp. 31-32. Per la datazione della tenzone politica con Monte ed altri si veda il volume dei Menichetti, Cit., pp. 368-369 con ricca bibl. Cenni a C. in A. Gaspary, in Zeitschrift für romanische Philologie, X(1886), pp. 585-590 (rec. dell'ediz. Comparetti), e Id., Storia della letter. ital., I, Torino 1887, p. 74; N. Zingarelli, La vita, i tempi e le opere di Dante, Milano 1939, pp. 197-198, 214; A. Viscardi, Storia della letter. italiana. Dalle origini al Rinascimento, Milano 1960, p. 242; R. Davidsohn, St. di Firenze, III, Firenze, 1957, p. 43; VI, ibid. 1965, pp. 237-238; VII, ibid. 1965, p. 343; A. Adler. Die Politische Satire, in Grundriss der roman. Literaturen des Mittelalters, Heidelberg 1968, VI, 1, pp. 299, 307; 2, pp. 384, 417; A. E. Quaglio, Ipoeti siculo-toscani, in La letteratura italiana. Storia e testi. Il Duecento. I, Bari-Roma 1970, p. 316; A. Vallone, Dante, Milano 1971, p. 43; G. Bertoni. Il Duecento, Milano 1973, p. 153; C. Segre, Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa ital., Milano 1974, pp. 119, 131. Per il Cione di Perugia si veda P. Tommasini Mattiucci, Nerio Moscoli, Perugia 1897, p. 89; e la silloge Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956, p. 772.