SINIBULDI, Cino
SINIBULDI (Sigibuldi, Sighibuldi, Sigisbuldi), Cino (Cino da Pistoia). – Nacque in una delle più antiche e nobili famiglie pistoiesi da ser Francesco di Guittoncino di Sigisbuldo e da Diamante di Bonaventura di Tonello.
Gli fu imposto il nome del nonno paterno, poi abbreviato in Cino. La nascita avvenne nel 1270 secondo l’erudizione più antica, che in un caso precisa il 15 aprile; altri studiosi ritengono che la data debba essere anticipata al 1265 circa; altri ancora posticipata almeno al 1275.
Quanto al cognome, Sinibuldi è la forma prevalente nei documenti (compreso il testamento) e compare abitualmente anche dopo la morte di Cino; le altre forme derivano da un avo Sigisbuldo, console di Pistoia nel XII secolo.
A Pistoia Cino ricevette la sua prima istruzione dal maestro di grammatica Francesco da Colle. Compì gli studi di diritto civile a Bologna, sotto il magistero di Dino del Mugello, che ricordò sempre come dominus meus con formule di ammirazione e di affetto; ebbe altresì la possibilità di ascoltare le lezioni di Francesco d’Accursio, Lambertino Ramponi e Martino Sillimani. A Bologna appare in documenti del 1297, del 1299 e del 1301; in quegli anni, come suggeriscono atti del 1297 e 1299 con cui si impegna a restituire un mutuo di 25 bolognini (la somma richiesta dallo Studio a garanzia del rispetto dei punta taxata), gli furono affidati degli insegnamenti, in linea con le prescrizioni degli statuti universitari bolognesi.
Cino potrebbe aver iniziato precocemente anche l’attività letteraria, forse addirittura dal 1283 se gli fosse attribuibile con certezza il sonetto Naturalmente chere ogni amadore responsivo al primo sonetto della Vita nuova, che alcuni testimoni attribuiscono però a Terino da Castelfiorentino. La conoscenza con Dante è comunque sicura all’altezza della canzone Avegna ched el m’aggia, che Cino gli indirizzò poco dopo la morte di Beatrice (8 giugno 1290). Agli anni Novanta del Duecento risalgono certo anche il sonetto Graziosa Giovanna onora e ’leggi, in cui Cino chiama in causa la donna amata da Guido, e il contrasto con Cavalcanti stesso di cui resta traccia nel sonetto Quai son le cose vostre ch’io vi tolgo?, risposta polemica in cui Cino si difendeva dall’accusa di aver scimmiottato lo stile poetico dell’interlocutore, ribattendo che avrebbe volentieri desunto qualcosa dalle sue rime se vi fosse stato alcunché di leggiadro. Di una convergenza fra Cino e Dante nel prendere le distanze dalle scelte poetiche di Cavalcanti fa prova inoltre lo scambio di sonetti costituito dal dantesco Perch’io non trovo chi meco ragioni e dal ciniano Dante, i’ non so in quale albergo soni. Della vicinanza all’Alighieri e alla sua cerchia è conferma del resto in una delle tenzoni sostenute da Cino con il bolognese Onesto degli Onesti, che nel sonetto ‘Mente’ ed ‘umile’ e più di mille sporte gli aveva rimproverato l’indulgere a una scelta lessicale sdolcinata e smaccatamente debitrice della maniera stilnovista. Cino si difese ribattendo, nel sonetto Amor che vien per le più dolci porte, che ciò dipendeva non da conformismo, bensì dall’ispirazione autentica suscitata dall’amore. Tali composizioni, così come altri scambi di sonetti con Onesto stesso e con altri rimatori attivi nella città felsinea come Gherarduccio Garisendi e Tommaso da Faenza o i bolognesi Bernardo, ser Cacciamonte e Picciòlo, sono attribuibili agli anni 1297-1301.
Nel 1300, secondo quanto narra egli stesso, aveva ascoltato Pierre de Belleperche, che tenne una repetitio nell’alma mater. Nella seconda metà del 1302 tornò a Pistoia e forse allora prese in moglie Margherita di Lanfranco degli Ughi, di antica famiglia di parte bianca, in un probabile tentativo di rappacificazione delle avverse fazioni, essendo il gruppo familiare di Cino di parte nera. Da Margherita ebbe il figlio Mino (che premorì al padre) e le figlie Diamante, Giovanna, Lombarduccia e Beatrice. Nel 1303 Cino fu bandito e trascorse i suoi anni di esilio presumibilmente prima a Prato e poi a Firenze, per ritornare nell’aprile del 1306.
La comune esperienza dell’esilio rinsaldò certo i legami con Dante, che dichiarò apertamente l’amicizia e la speciale sintonia con Cino nelle pagine del De vulgari eloquentia (I, 10; II, 2). A questo lasso di tempo risale anche l’epistola latina di Dante Exulanti pistoriensi, rivolta a Cino, intorno al biennio 1303-04, per accompagnare l’invio di una poesia (probabilmente il sonetto Io sono stato con amore insieme) e soprattutto per sottoporgli la questione se sia plausibile che la passione amorosa risorga per altra donna dopo un grande amore.
Nel 1307 si occupò di una causa di un creditore pistoiese; sempre a Pistoia lo incontriamo come testimone nel 1308; in quell’anno, secondo alcuni (ma nel 1306 secondo altri) si sarebbe recato presso il marchese Moroello Malaspina dove avrebbe incontrato Dante; ivi Cino indirizzò al marchese che li ospitava il sonetto Cercando di trovar miniera in oro, a nome del quale gli rispose lo stesso Dante con il sonetto Degno fa voi trovare ogni tesoro. Nel 1309 era di nuovo a Pistoia; in quello stesso anno Cino riferisce – «ut audivi» (cfr. C.M. Monti, Cino da Pistoia giurista, 1924, p. 45), non si capisce se direttamente o per sentito dire – di una questione ventilata a Bologna al tempo in cui vi andò il cardinale Ainaud Pelagrue legato contro Ferrara.
In quegli anni (nei quali va collocata la morte dell’amata Selvaggia dei Vergiolesi, che egli aveva cantato in varie rime e la cui morte celebrò nella canzone Oimè lasso, quelle trezze bionde) Cino sostenne la causa di Enrico VII di Lussemburgo. Allo scopo di favorire la discesa in Italia del re dei Romani, fece parte dei consiglieri che nel 1310 accompagnarono il conte Ludovico di Savoia in ambasceria a Firenze e a Roma. Ivi fu nominato senatore, e probabilmente vi rimase fino al 1312 per poi seguire l’imperatore nel 1313 a Pisa.
Con la morte di Enrico VII (che commemorò nella canzone Da poi che la natura ha fine posto) Cino abbandonò l’attività politica e si dedicò alla stesura della Lectura Codicis che terminò l’11 giugno 1314: in questo periodo forse dimorò a Pistoia.
Nella Lectura Codicis, Cino fu un convinto oppositore della ierocrazia pontificia (con posizioni parallele a quelle espresse da Dante nella Monarchia), ma non può essere considerato un paladino della laicità secondo schemi moderni. Nella più tarda [Divina ordinaria] Lectura Digesti Veteris si occupò nuovamente della Donazione di Costantino, ma le sue posizioni sono radicalmente diverse: per il mutato quadro politico aderì alle posizioni ierocratiche del suo maestro Dino e poi del suo contemporaneo Riccardo Malombra. La svolta del pensiero ciniano non fu dovuta a opportunismo o a crisi religiose ma piuttosto alla speranza che la «dira germanorum barbaritas dulcem Ytalliam non vexaret» (cfr. D. Maffei, La “Lectura super Digesto Veteri”..., 1963, p. 56). Le posizioni finali ciniane sulla Donazione circolarono anche in forma di additiones, il cui testo, almeno quello del ms. Mantova, Biblioteca comunale, 253, coincide, salvo adattamenti formali, con quello della lectura Digesti Veteris.
Certo tornò a Bologna nella seconda metà dell’anno e il 9 dicembre 1314 sostenne brillantemente l’esame di laurea. Da quel momento e fino al 1321 intraprese la carriera nelle magistrature mentre all’insegnamento universitario si dedicò in via esclusiva dal 1321 fino quasi alla morte, negli studia di Siena, Perugia e Napoli, svolgendo ininterrottamente attività di consulenza. In base alla documentazione fin qui rinvenuta e ai ricordi autobiografici, alcune date sono certe: qualche giorno dopo la laurea, il 22 dicembre, prestò giuramento a Siena come giudice collaterale del podestà bolognese Bartolino da Sala, ufficio per il quale bisognava essere maggiori di trent’anni, e che ricoprì per il primo semestre del 1315, nello stesso periodo in cui era giudice Tancredi da Corneto; nell’aprile del 1316 rilasciò un consilium a Pistoia; nel 1317 fu assessore del Comune di Pistoia alle cause civili; diede un altro consilium nella sua città il 18 maggio del 1318; in quell’anno, alla fine del secondo semestre, fu di nuovo a Siena; nel settembre del 1319 è documentata la sua presenza a Pistoia; e nello stesso mese sottoscrisse a Firenze, insieme ad altri importanti giuristi, un consilium sulla competenza fra il vescovo e l’inquisitore; indi si recò nelle Marche, ove fu sino al 1321 ufficiale pontificio a Macerata e Camerino, al seguito dell’allora rettore della Marca Amélie de Lautrec, uomo di fiducia di papa Giovanni XXII.
La notizia della scomparsa di Dante (14 settembre 1321) ispirò al vecchio amico la canzone funebre Su per la costa, Amor, de l’alto monte. Di incerta paternità sono invece alcuni sonetti contro la Commedia dantesca in passato attribuiti a Cino.
Negli anni 1321-26 è registrata la presenza di Cino fra i maestri dello Studium senese. Nell’aprile del 1324 a Bologna è fra i testimoni in un atto di vendita di Giovanni d’Andrea e, secondo alcuni, durante quel soggiorno avrebbe conosciuto il giovane Francesco Petrarca; nello stesso anno si occupò dell’elezione del podestà a Firenze. Nel novembre del 1326 era fra i professori dello Studio perugino; a Perugia fu maestro fra gli altri di Bartolo da Sassoferrato, che affermava, secondo la testimonianza di Baldo degli Ubaldi, di aver formato il suo ingegno sotto di lui. A Napoli insegnò, oltre che nell’anno accademico 1330-31, probabilmente anche per alcuni mesi del 1331-32; avrebbe avuto modo di frequentare Giovanni Boccaccio (la notizia non è certa) ma, al contrario di questi, si trovò a disagio e scrisse contro i napoletani una violenta canzone satirica. Nel primo semestre del 1332 stette in Firenze ove discusse, con un ruolo di primo piano, la vertenza fra il Comune di Pistoia e Simone Della Tosa, conclusasi con una transazione. Dall’ottobre del 1332 all’agosto del 1333 Cino tornò a insegnare a Perugia. A Pistoia fu eletto vexillifer iustitie pro porta Guidonis per il bimestre agosto-settembre 1334, ma dopo quattordici giorni rinunciò all’incarico; e per il semestre aprile-ottobre 1336 fu eletto consigliere per il quartiere di porta Guidi, incarico che non si sa se abbia accettato.
Quello stesso anno, il 23 dicembre, alla vigilia della morte, stilò il suo testamento, ove di lui si legge la definizione «sapientissimus vir» ed «elegantissimus iuris professor» (cfr. Cino da Pistoia. Mostra..., a cura di E. Altieri - G. Savino, 1971, p. 27); in esso nominò erede universale il nipote Francesco, figlio del figlio premorto Mino, al quale destinò pure i suoi libri, e lasciò legati di diversa entità alla moglie e alle figlie. Il libriccino con la situazione creditoria di Cino, ricco di notizie e perentorio sulla data della morte (24 dicembre) fu compilato da Schiatta di Lanfranco Astesi marito della figlia Giovanna e curatore del testamento. Gli eredi provvidero a far erigere (da Agostino da Siena) un monumento funebre, ancora esistente, nella cattedrale pistoiese di S. Zeno. Oltre che con il mondo giuridico, Cino strinse relazioni con i sommi poeti e con i massimi studiosi di altre discipline, quali il medico Gentile da Foligno, al quale richiese un famoso parere tecnico sulla durata delle gravidanze.
Un suo lamento funebre fu affidato da Petrarca al sonetto Piangete, amanti, et con voi pianga Amore, incluso poi nel Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta 92). Ma l’apprezzamento petrarchesco e il riconoscimento del ruolo importante avuto da Cino nella storia della poesia moderna si colgono anche nella canzone petrarchesca Lasso me, ch’i’ non so in qual parte pieghi e in una scena del Triumphus Cupidinis in cui compare la figura del pistoiese.
La sua produzione giuridica comprende lecturae, glossae, additiones, quaestiones e consilia. Le glossae contrariae enucleate dalla Magna Glossa sono opera della giovinezza. La Lectura Codicis, pubblicata nel 1314, è un imponente commentario nel quale Cino si era prefisso di esporre breviter e multis superfluis resecatis le novità dottrinali dei moderni, fra i quali gli orleanesi e in particolare Pierre de Belleperche. Cino continuò ad aggiornarla con additiones che furono poi accolte nel testo. All’opera arrise una vasta fortuna testimoniata sia dai numerosi manoscritti, sia dalla sua presenza nelle liste degli stazionari, sia dalle numerose edizioni a stampa, a partire dal 1475 circa fino all’ultima, Francoforte 1578 (rist. anast. Torino 1964 e Roma 1998), curata da Niccolò Cisnero. Al Digestum Vetus, come già Tommaso Diplovatazio aveva dichiarato, Cino aveva dedicato più scritti: per la prima parte una lettura fino a Dig. 2.9, di cui conosciamo tre manoscritti e che fu stampata tre volte insieme alla Lectura Codicis a partire dall’edizione di Lione 1526 (altri esemplari recano la data 1527 e altri 1528); sul titolo De rebus creditis (Dig. 12.1); una lectura per viam additionum, frequentemente utilizzata dai giuristi posteriori; infine una divina ordinaria lectura. Quest’ultima, che Cino compose nella tarda maturità, è stata ritrovata solo in tempi recenti, celata sotto il nome di Bartolo. Inoltre si conosce un commento sul titolo De iustitia et iure (Dig. 1.1.1), qualificato proemio, non corrispondente a quelli delle letture ora ricordate, che Cino adoperò probabilmente come lectio inaugurale di un anno accademico. Quanto all’Inforziato, Cino ha lasciato additiones e apostillae sia sulla prima sia, meno diffuse, sulla seconda parte. Sue additiones accompagnarono anche il Digestum Novum. Sparsi in manoscritti e documenti d’archivio ci sono giunti non pochi consilia, di cui uno autografo, e alcune quaestiones. Invece non sembrano ciniane talune allegationes domini Cyni de Pistorio, conservate fra i consilia di Baldo (cfr. ed. Venezia 1608; ma forse del contemporaneo di questi Cino di Marco da Pistoia?); ancor più incerta è la paternità del trattato De successione ab intestato, la cui attribuzione a Cino, non corroborata da adeguati riscontri stilistici e critici, era già contestata dal Diplovatazio, che la riconduceva a un Dynus de Pistorio, forse identificabile con il giurista Dino Torsiglieri da Pistoia. L’utilità e la considerazione in cui furono tenuti gli scritti di Cino è testimoniata anche dall’esistenza di alcune opere attorno a essi: verosimilmente ricavato dagli scritti di Cino è un Repertorium Cini testimoniato da almeno tre manoscritti (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2660; La Seu d’Urgell, Biblioteca Capitular 2113.2 e fragmento mayor I.7, quest’ultimo mutilo); inoltre Sebastiano Ciampi riporta che Antonio da Pratovecchio scrisse dei Singularia Cini de Pistorio; infine, nel 1602 il giurista Pompeo Battaglini pubblicò a Napoli delle Ad Cynum Pistoriensem, additiones, et ad nonnullas leges Codicis, adnotationes.
La tradizionale rappresentazione di Cino come il primo ad aver applicato compiutamente il metodo del commento importandolo dalla Francia va respinta: i commentari di Cino, stilisticamente concisi ed eleganti, appaiono, sì, più organici ed elaborati di quelli dei suoi immediati predecessori e contemporanei, ma egli stesso non disdegnò l’uso di scritti di tipologia diversa; per spiegare la larghissima conoscenza delle opere degli orleanesi e in particolare di Pierre de Belleperche, non è necessario congetturare un viaggio in Francia di Cino: la circolazione delle opere in quell’epoca era assai più veloce di quanto si immagini e la Napoli angioina era un centro di irradiazione della produzione transalpina. Della lunga diatriba storiografica relativa alla supposta mancanza di originalità del pensiero di Cino, accusato di pedissequa dipendenza dagli orleanesi, possiamo qui ricordare solo che in realtà nella divina ordinaria lectura sul Digesto Vecchio, pur privo di opere di riferimento, Cino dimostra di essere capace di una vasta elaborazione autonoma e sistematica.
Non risulta che Cino abbia mai raccolto la propria opera poetica in un libro organico e strutturato, e numerosi problemi di attribuzione rendono tuttora difficilmente delimitabili i confini della sua produzione lirica. Dalle rime certamente sue, risulta l’opzione quasi esclusiva per la tematica amorosa, modulata sui motivi tipici dello Stilnovo ben oltre la stagione della giovinezza. Dante stesso (De vulgari eloquentia II, 2) indicò in lui il poeta d’amore per eccellenza. Cino in effetti modulò, tra spiriti e sospiri, i motivi tipici degli stilnovisti: da quello della donna angelicata nella ballata Angel di Deo simiglia in ciascun atto, a quello della sua subitanea apparizione del sonetto Una gentil piacevol giovanella, all’attesa della fine nella canzone Degno son io di morte, al plazer del sonetto Una ricca rocca e forte manto. La stessa scomparsa di Selvaggia, lamentata nella canzone Oimè, lasso, quelle trezze bionde, non provocò il raffreddarsi dell’ispirazione erotica, che proseguì in poesie scritte per altre donne. Oltre a questa tematica, ciò che caratterizza la produzione di Cino è il ricorso all’immaginario mitologico (che precorre in certa misura Petrarca) di sonetti come Amor, che vene armato a doppio dardo o Se conceduto mi fosse da Giove, chiuso dalla visione del poeta trasformato in uccellino, il quale, sull’edera, canta alla sua Selvaggia divenuta faggio. Largo spazio hanno poi sonetti di corrispondenza inviati a Dante e ai vari poeti bolognesi di cui Cino fu amico. Anche sul piano più propriamente stilistico la sua poesia si muove nel raggio di una dulcedo di scuola, restringendo la sua scelta lessicale alla gamma delle parole che determinano un tono soave e ricorrendo sovente a ipocoristici.
Le sue rime si diffusero in numerose sillogi miscellanee e per lo stile soave che le contraddistingue influirono largamente su più generazioni di poeti del Trecento, specie in Toscana e in Veneto. La poesia di gran lunga più nota e ammirata fu certo la canzone La dolce vista e ’l bel guardo soave, che ebbe l’onore di essere parafrasata da Boccaccio in alcune ottave del Filostrato (V, 62-65) ed elevata al rango di testo divenuto ormai un classico della lirica amorosa nella canzone ‘a citazioni’ di Petrarca, Lasso me, ch’io non vedo il chiaro sole (Rerum vulgarium fragmenta LXX).
Fonti e Bibl.: Il quadro bibliografico più completo sulla biografia, le opere e il pensiero giuridico e politico di Cino si legge in P. Maffei, Cino Sinibuldi da Pistoia, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, dir. I. Birocchi et al., Bologna 2013, pp. 543-546, cui si rinvia; ove, fra i titoli citati, si ricordano almeno L. Chiappelli, Vita e opere giuridiche di Cino da Pistoia, Pistoia 1881 (rist. anast. Bologna 1978), e Id., Nuove ricerche su Cino da Pistoia. Con testi inediti, Pistoia 1911 [ambedue ristampati in Id., Cino da Pistoia giurista. Gli scritti del 1881 e del 1910-1911, Pistoia 1999]; G.M. Monti, Cino da Pistoia giurista, Città di Castello 1924 (fondamentale: a pp. 11-15 bibliografia delle opere allora note, a pp. 15-31 e pp. 222-231 letteratura critica e valutazione della stessa); Cino da Pistoia nel VI centenario della morte, Pistoia 1937; D. Maffei, La “Lectura super Digesto Veteri” di Cino da Pistoia: Studio sui Mss. Savigny 22 e Urb. lat. 172, Milano 1963; Id., La Donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, pp. 134-145. Cino da Pistoia. Mostra di documenti e libri, a cura di E. Altieri - G. Savino, Firenze 1971 (ove si veda il doc. nr. 14, pp. 30-32, per la data di morte di Cino); inoltre, da ultimo, S. Ferrilli, Cino da Pistoia, Francesco da Barberino e l’astrologia giudiziaria: tra poesia, politica e cultura giuridica, in Poesia e diritto nel XIII e XIV secolo, Atti del Convegno di Göttingen..., 2016, a cura di F. Meier - E. Zanin, Ravenna, in corso di stampa.
Per quanto riguarda l’attività poetica, in assenza di un’edizione affidabile delle rime di Cino, occorre segnalare le ricerche preparatorie a un’edizione critica: A. Casu, Strategie attributive e canone della tradizione: per l’edizione delle ballate di Cino da Pistoia, in Percorsi incrociati. Studi di letteratura e linguistica italiana, a cura di F. Broggi et al., Leonforte 2004, pp. 11-31; G. Marrani, Identità del frammento marciano dello «stilnovo» (it.IX.529) in Il canzoniere Escorialense e il frammento Marciano dello Stilnovo, a cura di S. Carrai - G. Marrani, Firenze 2009, pp. 153-181; Id. Macrosequenze d’autore (o presunte tali) alla verifica della tradizione: Dante, Cavalcanti, Cino da Pistoia, in La tradizione della lirica nel Medioevo romanzo. Problemi di filologia formale, Firenze 2011, pp. 241-266; D. Cappi, Emendazioni alla vulgata dei sonetti di Cino da Pistoia, in Medioevo letterario d’Italia, X (2013), pp. 31-69; G. Marrani, Alle origini dello stilnovo. Cino secondo la ‘verità della tradizione’, in Il viaggio del testo, a cura di P. Divizia - L. Pericoli, Alessandria 2017, pp. 57-71. Si vedano inoltre tra i lavori recenti: F. Brugnolo, Le terzine della Maestà di Simone Martini e la prima diffusione della “Commedia”, in Medioevo romanzo, XII (1987), pp. 135-154; Id., Cino (e Onesto) dentro e fuori la “Commedia”, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova 1993, I, pp. 369-386; A. Balduino, Cavalcanti contro Dante e Cino, in Bufere e molli aurette. Polemiche letterarie dallo Stilnovo alla “Voce”, a cura di M.G. Pensa, Milano 1996, pp. 1-19; E. Graziosi, Dante e Cino: sul cuore di un giurista, in Letture classensi, XXVI (1997), pp. 55-91; G. Marrani, Cino da Pistoia: profilo di un lussurioso, in Per leggere, XVII (2009), pp. 33-53; Id., Ai margini della “Vita Nova”: ancora per Cino ‘imitatore’ di Dante, in La lirica romanza del medioevo: storia, tradizioni, interpretazioni, a cura di F. Brugnolo - F. Gambino, Padova 2009, pp. 757-776; Id., La morte del cuore e il tempo della pietà in un sonetto di Cino da Pistoia, in Idee di tempo. Studi tra lingua, letteratura e didattica, a cura di C. Buffagni - B. Garzelli - A. Villarini, Perugia 2011, pp. 99-105; Id., «Parcere subiectis». Opposizioni e dissonanze nelle implorazioni amorose fra Dante e Cino da Pistoia in «Ragionar d’amore». Il lessico delle emozioni nella lirica medievale, a cura di A. Decaria - L. Leonardi, Firenze 2015, pp. 158-173; Cino da Pistoia nella storia della poesia italiana, a cura di R. Arquès Corominas - S. Tranfaglia, Firenze 2016; G. Marrani, «Tutto corro in amoroso affanno». Periplo dell’esperienza lirica di Cino da Pistoia, in I confini della lirica. Tempi, luoghi, tradizione della poesia romanza, a cura di A. Decaria - C. Lagomarsini, Firenze 2017, pp. 55-66.