horror, cinema
horror, cìnema <òrror ...> (ingl. <hòrë ...>) locuz. sost. masch. – Tra tutti i generi cinematografici l’horror è quello che nel primo decennio del 21° sec. ha conosciuto l’evoluzione più diversificata e un potenziamento dovuto allo sviluppo di una tecnologia di effetti speciali sempre più suggestivi, plastici, capaci di conferire realismo alle più sfrenate allucinazioni fantastiche, ai mostri più terrorizzanti, agli eventi soprannaturali più inimmaginabili. Le cinematografie in cui l’horror contemporaneo ha trovato più rispondenza sono la giapponese e la statunitense. Se nel cinema classico l’horror era caratterizzato da un gioco allusivo di luci e ombre, da trucchi artigianali come da maquillage caricati, in cui prevaleva il lavoro sull’invisibile, nell’horror contemporaneo statunitense l’elemento raccapricciante e orrorifico è sovente iper-rappresentato, reso fin troppo visibile, presente e concreto, mentre quello giapponese è basato al contrario sulla tensione psicologica e sul non mostrare l’elemento orrorifico. In questo ambito si è addirittura sviluppata una tipologia conosciuta come J-horror, in cui ha trovato posto la tradizione nipponica delle storie di fantasmi (gli jurei). Il successo degli horror giapponesi ha condotto alla realizzazione di vari sequel e ha poi indotto il mercato statunitense a realizzarne i remake occidentali, affidandoli talvolta ai medesimi registi. Esemplari i casi di: The ring, rifatto negli Stati Uniti da G. Verbinski (2002) con N. Watts protagonista femminile, e il cui sequel statunitense The ring 2 (2005) è stato diretto da H. Nakata, regista anche della versione originale del primo film, nonché dell’inquietante Dark water (2002); The grudge (2004) di T. Shimizu, che aveva già diretto la versione giapponese Ju-on, di cui tra 2000 e 2009 sono usciti ben cinque sequel; del cinese Ging-gwai (2002; The eye) di O. Pang Chun e D. Pang, coproduzione asiatica che ha avuto due sequel e remake in India e negli Stati Uniti, interessante variazione sul tema della cecità e della visione ultraterrena. Lo stile visivo di questi film, raffinato e rarefatto, è stato elaborato da notevoli registi come H. e A. Kobayashi, M. Takashi, K. Kurosawa. Negli Stati Uniti l’horror del primo decennio del 21° sec. riassume e prosegue lo stile postmoderno, fiammeggiante, ironico dei maestri statunitensi del genere tra gli anni Settanta e Novanta (W. Craven, S. Raimi, J. Carpenter, G. Romero, B. Yuzna, J. Dante), spingendolo verso esiti visivamente deliranti. E. Roth ha diretto nel 2002 Cabin fever, film che compendia sia lo stile cosiddetto gore (sottogenere postmoderno dell’horror che indulge nella rappresentazione cruda di squartamenti, decomposizioni, putrefazioni e vari spargimenti di sangue, e la cui variante comica e paradossale è denominata splatter) sia il filone del nuovo horror a basso costo, realizzato con macchina a mano, inaugurato da The Blair witch project (1999) che a sua volta ‘codificava’ il motivo narrativo dell’escursione di un gruppo di ragazzi in un luogo isolato minacciati da entità malefiche; nel 2005 Roth dirige Hostel, prodotto da Q. Tarantino, dove esasperati elementi splatter imprimono al film un cupo e crudele umorismo. Significativo il lavoro di R. Zombie in House of 1000 corpses (2004; La casa dei mille corpi) e in The devil’s rejects (2005; La casa del diavolo), esempi di horror deliranti e cinefili. Un mokumentary (falso documentario) di tipo demoniaco-parapsicologico è Paranormal activity (2007) di O. Peli. Saw (2004; Saw - L’enigmista) di J. Wan ha dato avvio a una vera e propria saga horror in sette capitoli, fino a Saw 3D (2010), in cui incubi inimmaginabili e crudeli si susseguono in spazi claustrofobici. Importante collaborazione nel segno dell’horror tra cinema e TV è la serie statunitense, in due stagioni (2004 e 2007) di Master of horror, i cui episodi vedevano al lavoro maestri del genere come T. Hooper, J. Carpenter, S. Gordon, J. Landis, J. Dante. All'inizio del nuovo secolo anche il cinema europeo non ha mancato di esplorare nuove vie dell’horror tenendo d’occhio, anche produttivamente, il cinema americano. In ambito spagnolo l’horror ha assunto un ritmo parossistico e uno stile convulso caratterizzato da sperimentazioni visive e soggettive vertiginose. Notevoli esempi sono i film di J. Balagueró Darkness (2002), coproduzione con gli Stati Uniti, e Rec (2007), diretto con P. Plaza, di cui Quarantine (2008) di J.E. Dowdle è uno scrupoloso remake. Il messicano G. del Toro è un autore tra i più ironici, il cui gusto visivo è capace di estetizzare il sangue e la violenza e di attualizzare il demoniaco e il vampirico: di un filone che contamina il mondo fumettistico (dei Marvel comics) con quello cinematografico fa parte il suo Blade II (2002), mentre il precedente El espinazo del diablo (2001) evoca l’atmosfera orrorifica di un orfanotrofio tra gli spettri della guerra civile spagnola, e il successivo El laberinto del fauno (2006) immerge gli stessi orrori della guerra in una storia fantastica, con richiami mitologici. In ambito inglese si è segnalato il cruento ed estremo The descent (2005) di N. Marshall, divenuto in poco tempo un cult-movie. In ambito italiano i Manetti Bros. con Zora la vampira (2000) e Paura (2012) hanno proseguito la linea di visionarietà orrorifica e ironica di un maestro italiano del genere come D. Argento, il quale da parte sua, dopo La terza madre (2007), che conclude in una Roma apocalittica la sua trilogia delle tre madri, ha poi sperimentato il 3D in Dracula 3D (2012).