cinema digitale
cìnema digitale locuz. sost. m. – Produzione di opere cinematografiche realizzate nel formato digitale, con gli elementi sonori e visivi trasformati in sequenze numeriche sulla base del codice binario. Dalla fine del secolo scorso la strumentazione digitale è andata a mano a mano sostituendo le tecnologie precedenti in tutte le fasi del ciclo di lavorazione e distribuzione di un film, a iniziare dagli effetti di postproduzione e dal montaggio, che sono, secondo quest’ottica, i settori più innovativi. Le videocamere digitali convertono il segnale analogico proveniente dall’obiettivo e lo catturano su chip elettronici (per poi memorizzarlo su nastri magnetici o su altri supporti, come l’hard disk di un computer), invece di impressionare le immagini su pellicola. Le immagini memorizzate possono essere quindi trasferite facilmente su sistemi computerizzati per essere elaborate (montate, arricchite di effetti speciali ecc.) o soltanto archiviate. L’utilizzo della telecamera ad alta definizione ha fatto compiere un ulteriore salto di qualità all’immagine elettronica, avvicinandola a quella fotografica. Le differenze percettive tra l’immagine digitale e gli altri tipi di immagine, sia elettronico-analogica sia fotografica, dipendono fondamentalmente da tre parametri: la tecnologia delle riprese, il supporto di visualizzazione dell’immagine e la sua risoluzione. Il dibattito attorno all’argomento tende a privilegiare il terzo aspetto, trascurando il primo, altrettanto importante. La fase di montaggio viene ormai attuata per mezzo di sistemi computerizzati con cui è possibile tagliare e raccordare gli spezzoni. Nel cinema hollywoodiano di grande budget è ormai uso comune la realizzazione di opere il cui montaggio è completamente digitale, e il riversamento su pellicola viene effettuato soltanto una volta che il materiale è stato montato. Per quanto riguarda il sonoro, per fornire le migliori qualità deve mantenere una simmetria tra sistema di registrazione (nella fase di produzione del film) e sistema di riproduzione (in sala). La tecnica DTS (Digital theater system) utilizza un segnale digitale molto dettagliato (a 20 bit) che viene successivamente compresso tramite algoritmi, e decompresso in fase di ascolto. La novità è quella di non avere la banda sonora stampata sulla pellicola, ma su una serie di compact disc; mediante un segnale di sincronizzazione tra il compact disc e l’avanzamento della pellicola, viene controllata l’emissione del suono. Per evitare cadute di sincronismo a causa di pellicole che possono essere deteriorate, un sistema legge anche una banda duplicata e stampata sulla celluloide con sistemi di qualità inferiore, come il Dolby digital. Questo audio viene sostituito al DTS nei momenti di avanzamento asincrono tra l’audio e l’immagine. Terminata la fase di postproduzione, il film viene masterizzato attraverso la creazione del DSM (Digital source master), poi inserito in un supporto di natura magnetica e inviato nell’archivio locale della centralina che gestisce il proiettore di una sala, in un formato denominato anche DCDM (Digital cinema distribution master). Il trasferimento potrebbe avvenire anche utilizzando network di rete o satelliti, ma pur se i costi di trasmissione via rete anche di centinaia di gigabyte sono ormai bassi, si preferisce non utilizzare tale soluzione per evitare il rischio di decrittazione e furto del master, attività illegali che alimentano la pirateria cinematografica (contro tale rischio le case di distribuzione stanno progettando soluzioni che garantiscano il movimento di copie protette). La proiezione digitale ad alta definizione ha appena superato lo stadio pionieristico, ma la strumentazione risulta ancora troppo costosa per essere adottata e per poter quindi rivoluzionare il mercato cinematografico. La fase conclusiva del ciclo produttivo è legata all’archiviazione del master, con sistemi che ne evitino il deterioramento.