CIMA da Conegliano, Giovanni Battista
Pittore. Nacque da cordatori o cimatori di lana, donde il cognome, a Conegliano circa il 1459, e ivi morì nel 1517 o '18. Seguace del Montagna e del Giambellino, è tuttavia pittore originale: gradevolissimo per ingenua e lieta freschezza; finissimo nel disegno; splendido di colore; fulgente di aeree luminosità argentine.
Come provano i libri di tassazione, risiedette sino al 1489 a Conegliano; ma è ben difficile che imparasse l'arte colà da vecchi e rozzi maestri locali, senza frequentare in qualche modo Venezia, Padova e soprattutto Vicenza. Quivi troviamo (Museo civico) la sua prima opera datata (1489); l'ancona della Madonna della pergola dipinta per la chiesa di S. Bartolomeo, che lo mostra padrone di tutte le risorse dell'arte rinata, fattosi con assidua pratica alla bottega di uno dei migliori artisti del tempo: Bartolomeo Montagna. Per grandiosità costruttiva, derivata da Antonello, anche molte altre grandi pale posteriori del C. attestano gl'insegnamenti del Montagna, soprattutto nel far campeggiare i santi entro svelte architetture, aperte su cieli alti, luminosissimi. Violento, il Montagna intaglia le figure in piani netti e precisi; il C., mite e soave, fonde i piani in passaggi dolci e sfumati: interpreta, si direbbe, Antonello alla veneziana. Del resto nel 1489 anche a Vicenza si sentiva e si seguiva il Giambellino; e non mancano rapporti fra la Madonna della pergola e il trittico dipinto l'anno prima ai Frari dal Bellini. Forse il C. pose mente anche a qualche opera del Perugino e a quella grazia, che altri pittori vicentini imitavano.
Nel 1492 il C. risiede a Venezia e prende impegno per la grande pala oggi ancora nel duomo di Conegliano. Gareggia in essa direttamente col Giambellino, ma con fatica: alla chiara tempera provinciale della pala di Vicenza, sottentra, non ben padroneggiata e quindi torbida, la pittura a olio. Ma nel Battesimo di Cristo di S. Giovanni in Bragora a Venezia (1494), il C. ha già ritrovato tutto il suo equilibrio e il potere coloristico e luminoso che dopo secoli ne rende meravigliose le opere. L'aderire suo al Bellini è intimo ed evidente: se per la pala di Conegliano il modello è quella del Bellini già a San Zanipolo, per la pala della Carità (1496-99) è quella del Bellini a S. Giobbe, e quando, sotto l'impulso della raffinata nuova sensualità giorgionesca, egli pure allarga la prima maniera, lo fa seguendo l'evoluzione del Giambellino, cercando di avvicinarsi alla pala del maestro a S. Zaccaria del 1505, senza mai giungere a così densa e morbida luminosità. Dal 1492 al 1516 per ventiquattro anni il Cima, che a Venezia ha famiglia e figliuoli di due successivi matrimonî, manda fuori dalla sua bottega, in contrada di S. Luca, con un progredire continuo, le sue pale d'altare desideratissime dalle chiese veneziane: il Battesimo di Cristo per la Bragora, il San Giovanni per la Madonna dell'Orto, della prima maniera slanciata e asciutta, poi (1495) il trittico con l'Annunciazione per Santa Maria dei Croccichieri ora disperso fra Leningrado e Londra, la grande pala della Carità ora alle Gallerie di Venezia e nel 1502 quella di Sant'Elena e Costantino ancora alla Bragora, perfetta anche per l'imponenza monumentale delle figure. Seguono la deliziosa Madonna sotto l'arancio, per le Clarisse di Murano, ora alle Gallerie di Venezia; la pala grandiosa, la sola del C. ricordata dal Vasari, del San Pietro Martire, ora a Brera, fatta per la chiesa del Corpus Domini (1509), il trittico di Santa Caterina per San Lorenzo di Mestre, disperso fra Londra e Strasburgo
Da Venezia mandò il C. a Oderzo un'ancona ancor primitiva per il duomo (ora a Brera) e ad Olera nel Bergamasco un polittico, che vi rimane, di vecchio stile; così un altro complicato e bello ne spedì (1499) sino a Miglionico in Basilicata; per il duomo di Portogruaro dipinse il Cristo apparso nel cenacolo (1502), ora a Londra, ripetuto, semplificato, a Venezia (Gallerie dell'Accademia) nel San Tommaso e Cristo, sublime questi nella purissima luce. La chiesa di S. Anna a Capodistria ottenne nel 1513, e vanta ancora, il suo grande polittico.
In piena maturità il C. dipinse per la chiesa di S. Niccolò di Carpi il Compianto di Cristo, ora nella Galleria di Modena, poi le tre bellissime pale per Parma, due delle quali sono a quella Pinacoteca; la terza, la Madonna sotto il baldacchino (1513), è a Parigi al Louvre. La grazia di quest'ultima fa persino pensare che il C. abbia vedute le prime opere del Correggio. Vanno ricordate del C. anche le austere Madonne: una sull'altare a Gemona, un'altra del 1508 alla Consolazione di Este, e tante bellissime a Londra e a Berlino, con bimbi fra i più graziosi del primo Cinquecento, e le sue Sante Conversazioni belliniane. Ne risulta una grandissima attività, che diede al C. larghe risorse finanziarie, le quali servirono ad acquistar possedimenti a Conegliano, dove si ritirò nel 1516; ma ben tosto vi morì. Forse gli riusciva intollerabile, morto il Bellini, starsene a Venezia, a fronteggiare l'arte tutta nuova di Tiziano; e l'ultimo capolavoro suo, dipinto allora a Conegliano, il San Pietro in cattedra oggi a Brera, nella possente minuzia del disegno, nello splendore del colorito è come il testamento della sua fede quattrocentesca. Invece il Cima non spiacque a Tiziano che lo imitò nella sua Maria presentata al Tempio.
Nei paesaggi, delizioso sfondo di tante sue creazioni, il C. con devoto, quasi infantile, amore della natura, cerca di farsi sempre più arioso e luminoso. Nel suo capolavoro, anche per le altre parti mirabile, il Presepe dei Carmini a Venezia (1509), con quella rupe emergente, giunge il C. a potenza di contrasti non indegna di Giorgione. Ritrasse il suo dolce paese amorevolmente: la deliziosa valle del Battesimo della Bragora si ritrova nei dintorni di Conegliano; la riviera di là dal Piave col castello di Collalto, nella Madonna sott l'arancio; la veduta antica della città da Porta Monticano in una delle Madonne col bimbo della National Gallery di Londra; persino le mura e il castello e le torri col palazzo del podestà, come era rimasto danneggiato dal crollo della torre grande nel 1489, nella Santa Elena della Bragora. Quella dolce grazia evocativa, diffusa anche nel paesaggio, rende deliziosi i pochi suoi quadretti mitologici: l'Endinione dormente, l'Apollo e Mida della Galleria di Parma, il Trionfo di Bacco del Poldi-Pezzoli. (V. tavv. LV e LVI).
Bibl.: Scarse le notizie date da G. Vasari, Le vite, in Opere, ed. Milanesi, III, Firenze 1882, p. 645; C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte, ed. D. F. Hadeln, I, Berlino 1914, pp. 44-48; M. Boschini, Le miniere della pittura, Venezia 1720; A. M. Zanetti, Della pittura veneziana, Venezia 1794, p. 81 segg. Ricca di documenti l'opera fondamentale di V. Botteon e A. Aliprandi, Intorno alla vita e alle opere di G. B. Cima, Conegliano 1893; le discussioni critiche di Crowe e Cavalcaselle, del Morelli, di B. Berenson (in Lorenzo Lotto, Londra 1905) si trovano riassunte nell'opera di R. Burckhardt, Cima da Conegliano, Lipsia 1905; inoltre Hadeln, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, iv, Milano 1915, pp. 500-51 e gl'indici del Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, New York-Londra 1907 per le ultime attribuzioni. Vedi anche: A. Venturi, Opere poco note di Cima da Conegliano, in L'Arte, XXIX (1926), pp. 182-84; per il politico a Miglionico, in Boll. d'arte, X (1930-31), p. 179.