CILICIA
(gr. Κιλιϰία, turco Kilikya)
Regione dell'Anatolia, oggi parte della Turchia, compresa tra Panfilia a O, Licaonia e Cappadocia a N e Siria a E, estesa grosso modo da capo Anamur al golfo di Iskenderun. La C., detta anche Piccola Armenia, pur variando nei confini, è stata nel corso dei millenni una provincia di imperi di vaste dimensioni (hittita, achemenide, romano, bizantino, ottomano), salvo che per il periodo di autonomia del regno armeno di C., dal 1199 al 1375, ma già dal 1080 baronia autonoma.
Tanto la configurazione geografica del territorio, costiero e montuoso (Cilicia Tracheia o Aspera) nella parte occidentale e più pianeggiante invece in quella orientale (Cilicia Pedias o Campestris), quanto le diverse vicende storiche che l'hanno interessata hanno determinato la frammentarietà delle testimonianze costruttive della regione cui risulta difficile attribuire caratteri propri, ben definibili peculiarità decorative, tradizioni e persistenze univoche, soprattutto nel periodo in esame. Le comunque numerose vestigia della C. medievale hanno impressionato i viaggiatori dei secoli scorsi, da Evliya Çelebi (sec. XVII), a Laborde (1837-1838), a Langlois (1861), dei quali restano resoconti e disegni anche dettagliati.Dopo la relativa prosperità della regione nel periodo romano e tardoantico, la precoce diffusione del cristianesimo determinò il formarsi di una nuova architettura religiosa. Numerosi sono i centri in cui le chiese vennero costruite ex novo, anche se vi sono esempi di templi trasformati in chiese, tra i quali vanno ricordati quelli di Seleucia (od. Silifke), Diocesarea (od. Uzuncaburç), Sebaste (presso l'od. Ayaş).Nel sec. 5° la regione era suddivisa in due province: la Cilicia Prima e la Cilicia Secunda, con capoluoghi, rispettivamente, Tarsos (od. Tarsus) e Anazarba (od. Anavarza).Nella zona costiera più occidentale scavi recenti hanno riportato alla luce alcune testimonianze dell'epoca paleocristiana e altobizantina. Tra gli edifici attribuibili a questo periodo sono a Halil Limanı una basilica a colonne, a Selinus due basiliche, di cui una parzialmente rifatta in epoca medievale, a Kızılaliler resti di una piccola basilica dalla rozza muratura, ad Antiochia al Crago una basilica con abside sporgente e resti di un triconco e di una cappella cupolata, ad Anemurium (od. Eskianamur) due basiliche, una cimiteriale e l'altra successivamente trasformata, ad Afrodisia una basilica dalla ricca decorazione.Nella zona immediatamente più a E si possono individuare alcuni caratteri ricorrenti nell'architettura religiosa paleocristiana dell'intera regione: l'uso sistematico e quasi esclusivo di grandi blocchi di pietra, generalmente ben squadrati, messi in opera senza tracce visibili di malta, la scarsità dell'apparato decorativo, limitato a semplici rilievi sugli architravi (croci inscritte con o senza cornici) e a capitelli di ascendenza corinzia, semplici ma non rozzi. L'architettura rivela, pur nel degrado delle testimonianze sopravvissute, chiese imponenti per mole, dotate talvolta di elaborate strutture absidali, nonché complessi conventuali di vaste dimensioni. Alcuni monumenti testimoniano tutti questi caratteri: una grande basilica ben conservata a Canbazlı, uno dei migliori esempi dell'architettura paleocristiana in tutta la regione; una basilica semirupestre a Korykion Antron (od. Cennet Cehennem); i resti di una basilica e di un convento del primo periodo bizantino a Olba (od. Ura); di una basilica del sec. 6° dotata di diversi annessi a Hasanaliler; di una basilica a Çatiören; di cinque basiliche, di cui una collegata a una caverna sede di un culto precristiano, a Kanytella (od. Kanlıdivane); di una chiesa doppia e di molte abitazioni private a Karakabaklı; di due basiliche diverse per proporzioni a Öküzlü; di chiese con bifora nell'abside a Hacıömerli e a Batısandal; di due basiliche a Yanıkhan; di una basilica a Yapisigüzel; di tre chiese a Emirzeli; di tre chiese a Karadeveli; di quattro chiese nell'isolotto di Nesulion (od. Boğsak); di una basilica a colonne dagli eleganti capitelli a motivi fitomorfi a Işikkale; di una chiesa a Köşkerli; di tre basiliche e di una chiesa extra muros a Sebaste. A Korykos (presso i siti od. di Kızkalesi e Narlıkuyu, maggior centro del litorale), anche se le tracce più consistenti risalgono al periodo armeno, resta tra l'altro una chiesa funeraria extra muros. A Meriamlik (od. Ayatekla) l'imponente basilica attribuita all'imperatore Zenone (476), al di sopra di una chiesa sotterranea, e un raro esempio di chiesa cupolata coeva sono ormai solo rovine non pienamente leggibili. In C. restano anche numerose torri di guardia costiera, nonché alcuni accampamenti bizantini cinti da mura.Nella zona più orientale e interna lo sviluppo dell'architettura paleocristiana e altobizantina è testimoniato in numerosi siti, oggetto di scavi e di studi solo in epoca recente, come Akören I, con la basilica dalla ricercata decorazione, dotata di sobria e ben proporzionata abside, aperta da tre ampie finestre di uguali dimensioni, e Akören II, con la basilica della Santa Croce, dalle decorazioni in pietra di epoca medievale. Ne sono testimonianza inoltre: Anazarba, centro di grande importanza anche nel successivo periodo del regno di C., con le mura e due basiliche, di cui quella dei Ss. Apostoli presenta una raffinata decorazione architettonica accostabile a quella delle chiese del Belus; Baka (od. Eski Feke), con gli imponenti resti di una basilica nota localmente come Karakilise, dalla muratura di blocchi squadrati e messi in opera con grande accuratezza, a cui è stata aggiunta una parte in epoca medievale (sempre a Baka e a Cıvıklı due mosaici pavimentali della stessa epoca, ma di ineguale valore, testimoniano dell'attività di ricche comunità cristiane); Phlabias (od. Kadirli), con una vasta e relativamente ben conservata basilica caratterizzata da un fregio continuo sulle finestre; Ergenuşaği (presso l'od. Kozan), con i consistenti resti di una basilica dei secc. 5°-6°, conosciuta localmente come Akkilise, che conserva tracce di utilizzo di epoca medievale.Della scultura architettonica di cui restano, soprattutto nei musei di Adana, Tarsus, Erdemli e Silifke, abbondanti frammenti, in prevalenza capitelli, non sembra possibile una suddivisione per scuole o per zone, essendone quasi sempre ignota la provenienza (v. però Sodini, 1987).Del periodo medievale successivo alla prima invasione araba del sec. 7°, corrispondente alla riconquista bizantina e all'epoca di dominio armeno, restano tracce a livello prevalentemente archeologico per quanto riguarda l'architettura religiosa, mentre i possenti castelli costruiti dagli Armeni sia sulla costa sia all'interno testimoniano ancor oggi, con le loro masse ben conservate, la potenza guerriera di quel regno.Nella zona più occidentale numerose cappelle e chiese di piccole dimensioni, a navata unica, spesso ornate di affreschi all'interno, costruite presumibilmente tra i secc. 11° e 12° e ormai ridotte allo stato di rovina, sono state oggetto di scavi recenti. A Iotape (od. Aydap Iskelesi), oltre ad alcune cappelle, la chiesa di S. Giorgio Stratelates, dell'inizio del sec. 12°, caratterizzata da tre nicchie piatte nelle pareti sud e nord, conserva ancora consistenti tracce di affreschi (immagine del santo e di un donatore con il modello della chiesa). A Selinus resta una chiesa a navata unica all'interno del castello; ad Antiochia al Crago, tra le numerose cappelle scavate, alcune si differenziano per particolari architettonici (volte a sesto acuto, pianta quadrata con cupola su trombe irregolari) o decorativi (affreschi). Anche ad Anemurium, caratterizzata da tre possenti fortezze, spiccano tre diverse cappelle; a Korykos, il secondo porto del regno di C., nell'imponente fortezza terrestre restano le rovine di tre cappelle a navata unica, con abside sporgente, mentre nella roccaforte marina (nota con il nome turco di Kızkalesi) sull'isolotto davanti alla città, un tempo collegato a essa con una diga, si nota ancora una piccola chiesa dalla solita pianta. Nel già citato isolotto di Nesulion resta la rara testimonianza di una chiesa cruciforme cupolata, icnografia pressoché sconosciuta nella regione. A Holmoi (od. Taşucu) della chiesa medievale in mattoni, dedicata forse a s. Teodoro, rimane solo parte dell'abside semicircolare. All'interno del castello di Papeṙon (od. Çandhır Kalesi), costruito alla metà del sec. 13° dallo hethumide Smbat il Connestabile, esisteva una cappella che si può ipotizzare di tipo a croce inscritta con cupola su pilastri liberi.Nella zona più orientale, connotata in modo preciso e inequivocabile dalle moli dei castelli armeni, costruiti in diretta dipendenza dalla conformazione geologica del terreno, si ebbe una relativamente minore attività costruttiva di ambito religioso, che riutilizzò e ingrandì chiese e complessi precedenti (come a Baka, a Ferhatlı e a Göreken Yayla presso Kozan). Tra i pochi monumenti superstiti della zona, dove peraltro ancora alla metà del secolo scorso Langlois (1861) segnalava numerose chiese, sono da ricordare: una chiesa costruita con uso sistematico e pressoché esclusivo di spolia romani e altobizantini della zona di Sipha, presso Mehmetli; il c.d. triconco, noto localmente come Ziyaret, di incerta datazione, a Süphandere (a N di Kozan); una chiesa a navata unica con copertura a botte (ora scomparsa) dalla rozza muratura di pietre irregolari, accostabile tipologicamente a cappelle coeve costruite in zone periferiche soprattutto occidentali della Grande Armenia. Ad Anazarba, capitale del regno, resta, oggi in pessimo stato, all'interno della prima cinta del castello, la cappella funeraria della famiglia reale, ancora in buone condizioni nei primi anni di questo secolo. Fondata da T᾽oros I alla fine del sec. 11° e dedicata ai ss. Giorgio e Teodoro, aveva pianta basilicale con navate divise da pilastri e tre absidi occultate all'esterno da un muro piatto, dove, come di consueto nell'architettura armena coeva, due nicchie ne segnalavano comunque la presenza. L'interno era decorato da affreschi, ora meno che frammentari, con una figura di Pantocratore nell'abside centrale. Dell'architettura religiosa di Sis (od. Kozan), ultima capitale del regno e sede di un famoso concilio nel 1204, non resta più nulla, ma i testi storici descrivono la cattedrale della Santa Sofia (o di S. Gregorio), una basilica dalle absidi esternamente poligonali, nonché una piccola chiesa a breve distanza, dall'insolita pianta 'a sala' cupolata. Particolarmente dolorosa la totale perdita dei numerosi conventi, sedi di attivissimi scriptoria.Lo sviluppo dell'architettura islamica in C. non è stato molto studiato finora nel suo insieme. Le testimonianze del periodo precedente alla riconquista bizantina del sec. 10° sono assai scarse; si possono comunque ricordare parte delle mura di Anazarba, dove resta ancora in buone condizioni la porta sud, e una fortezza a Mopsuestia (od. Yakapınar). Per il periodo successivo, la zona occidentale - provincia dei Selgiuqidi prima, dei Karamanidi poi - si inserisce senza caratteri propri nell'ambito di un'attività costruttiva di cui rimangono comunque scarse tracce (a Selinus per i Selgiuqidi, a Korykos per i Karamanidi). La zona più orientale entra invece nella sfera di influenza più o meno diretta dei Mamelucchi, come testimonia, tra gli altri, il castello di Cinkulesi presso Baiae (od. Payas), sito noto nel Medioevo come Caramella.Sono da segnalare infine anche i non numerosi casi di basiliche paleocristiane e medievali utilizzate come moschee, il che ha permesso il più delle volte una conservazione migliore di edifici altrimenti destinati al degrado più completo. Vanno ricordati gli esempi della basilica paleocristiana di Phlabias, divenuta nel 1489 l'Ala Cami, con l'aggiunta, tra l'altro, di un minareto cilindrico; della chiesa di S. Paolo (od. Eski Cami o Kilise Camii), del sec. 14°, a Tarsos; della chiesa, forse di origine armena, anche se l'architettura non ne rivela le caratteristiche peculiari, di S. Giacomo ad Adana, trasformata nel 1501 nella Yağ Cami. Ben più numerosi sono i casi di castelli e di fortificazioni, sia bizantini sia soprattutto armeni, riutilizzati e ingranditi in epoca ottomana.
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Le testimonianze giunte sino a oggi, assai numerose per quanto riguarda la miniatura, sono pressoché inesistenti per la pittura murale, che pure conobbe una certa diffusione in epoca medievale, a giudicare dalle tracce di scialbo sui muri, oltre che dai frammenti rimasti. Tra questi vanno ricordati quelli sussistenti nella chiesa di S. Giorgio Stratelates a Iotape, dell'inizio del sec. 12°, e ad Antiochia al Crago. Di quello che doveva essere un complesso ciclo pittorico nella cappella funeraria della famiglia reale ad Anazarba, della fine del sec. 11°, sussistono, documentati, soltanto frammenti nell'abside centrale.La miniatura costituisce dunque l'espressione artistica, finora nota, più significativa di questa regione. I numerosi, palesi influssi esterni rispecchiano la realtà storico-politica dalla C., segnata dal vivace cosmopolitismo derivante dalla sua posizione geografica - inserita com'era tra impero bizantino, regni latini di Terra Santa, stati dei Selgiuqidi e dei Mongoli -, dagli ineludibili rapporti con l'Occidente, dalla fitta trama di legami di parentela tra famiglie reali, dai frequenti contatti con il papato, dalle presenze spesso problematiche di comunità di Domenicani (dal 1230 ca.) e di Francescani (dal 1247), dagli intensi scambi commerciali con Venezia, Genova e Pisa da un lato, il Medio e l'Estremo Oriente dall'altro.La straordinaria dovizia quantitativa fa della produzione della C., insieme a quella della Grande Armenia, il corpus di miniature più importante, dopo quello bizantino, di tutto l'Oriente cristiano e trova forse una delle sue origini nell'importanza che il libro rivestiva nell'ambito della cultura e della mentalità armene. Questo spiegherebbe anche la costante presenza del colofone, che riporta, oltre al nome del committente, lo scriptorium in cui il manoscritto è stato prodotto, il nome dell'amanuense e inoltre, ma non sempre, il nome del miniatore, la data, nonché ulteriori preziose informazioni, risultando quindi un fondamentale elemento per lo studio della miniatura della Cilicia.La produzione della regione, dotata di un linguaggio figurativo e stilistico che la rende immediatamente riconoscibile nell'ambito della miniatura coeva e che illustra quasi esclusivamente testi religiosi, si può ricondurre a un numero relativamente ben individuabile di scriptoria, per lo più annessi a conventi, cui fanno capo diverse scuole. Tra i più attivi sono da ricordare quelli dei monasteri di Drazark, di Gṙner, di Maškewor, di Skewṙa - il più famoso, fondato da Nerses di Lampron nei territori dei raffinati e colti principi osimidi, legati alla dinastia hethumide -, di Hoṙomklay - sede patriarcale dal 1151, convento fortificato sulle rive dell'Eufrate, il più orientale della C. (in quanto tale il più soggetto a incursioni e a saccheggi da parte dei Mamelucchi dalla seconda metà del sec. 13°) -, altri infine nelle città di Sis e di Tarsos.Lo sviluppo della scuola miniaturistica della C. ha inizio con i manoscritti del sec. 12°, generalmente assai semplici, utilizzati per l'istruzione dei monaci. Si tratta di opere con un ridotto numero di miniature dalle figure solenni e statiche, dalla esigua tavolozza, dall'ornamentazione più che sobria, limitata generalmente ai canoni di concordanza, ai capilettera e ai motivi decorativi marginali. Un evangeliario dell'inizio del sec. 12° (Venezia, Bibl. Armena dei PP. Mechitaristi, 141/102), di probabile origine cilicia, con le sue miniature a soggetto intercalate nel testo, non scevre da arcaismi e da bizantinismi, bene illustra queste fasi iniziali di un processo destinato a raggiungere altissimi livelli qualitativi.Le diverse tendenze iniziali si possono ritrovare anche in un manoscritto del 1173 (Erevan, Matenadaran, 1568) con la raccolta delle Elegie di Gregorio di Narek, caratterizzato da quattro diversi ritratti del santo, nel c.d. vangelo di Teodoro (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 1796), ancora legato a matrici bizantine, e in un vangelo (Venezia, Bibl. Armena dei PP. Mechitaristi, 14) con figure che denotano di già una certa scioltezza, entrambi pure della seconda metà del 12° secolo.Durante il sec. 13° si assiste a una straordinaria fioritura artistica sotto la dinastia degli Hethumidi, saliti al potere con Hethum I (1226-1269), grande mecenate come i suoi successori. Le novità introdotte dai miniatori, soprattutto nella seconda metà del secolo, si palesano nella scelta dei testi da illustrare (non più solo vangeli, ma l'intera Bibbia, lezionari, salteri, ecc.), nella forma (che si avvale di una ornamentazione più elaborata e più estesa), nell'aumento notevole del numero delle miniature a soggetto (sino ad allora assai ridotto), nell'introduzione di miniature a piena pagina in relazione con il testo che illustrano, nell'iconografia (episodi anche secondari della vita di Cristo), e soprattutto nello stile, espressivo e vigoroso, delle miniature a soggetto.Caratteristiche di quest'epoca risultano l'accentuata diversificazione dei volti, la resa di espressioni varie e vivaci - dolore, stupore, gioia compaiono nei numerosi personaggi delle scene evangeliche - che rinnega la precedente impassibilità e che si avvicina in alcuni casi a una vera patognomica, una maggiore attenzione al corpo umano, di cui vengono sottolineate sia le forme, sotto stoffe non più soltanto drappeggiate ma aderenti, sia il movimento reso in atteggiamenti assai meno stereotipati e rigidi, la presenza di costumi locali e di scene di vita di genere, la tendenza a una vera e propria illustrazione narrativa, nonché una più generale ricerca di aderenza alla realtà del mondo circostante. Vengono così introdotti, sullo sfondo, elementi architettonici anche assai elaborati, talvolta di scorcio, per creare un'impressione di profondità e di spazio, suggerita in ogni caso anche della disposizione di una stessa scena su vari piani.Si palesano inoltre, in questo periodo, i legami primari con l'arte occidentale e in particolare con il Duecento italiano (per es. l'iconografia della Madonna della Misericordia ma anche precisi stilemi).Gli artisti della C. dimostrano la loro accresciuta abilità tecnica avvalendosi di una gamma di colori ampliata, rinvigorita da tonalità brillanti e da svariate sfumature tonali, di un modellato graduato, di un disegno sicuro e dinamico, esemplare per finezza. Anche nell'ornamentazione (tavole dei canoni, testate, motivi marginali, capilettera) raggiungono notevoli livelli qualitativi, sfoggiando una vivacissima fantasia e una straordinaria eleganza nella ricchezza di intrecci polidirezionali, nell'infinita serie di combinazioni di arabeschi e volute vegetali, componendo il tutto in una rara armonia d'insieme. Dimostrano inoltre uno speciale interesse per l'elemento animale, molto variato e frequente, accostando numerosissime specie di uccelli dagli improbabili colori (rossi, azzurri) quasi sempre contrapposti in simmetria speculare e spesso dai lunghi colli avvinti - si riconoscono pavoni, trampolieri, upupe, gufi, anatre, galli, colibrì, aquile con la preda - e situando talvolta i volatili persino come decorazione all'esterno del quadro con miniatura a soggetto. Si aggiungono a questo bestiario leoni (araldici e non), volpi, cervi, gazzelle, scimmie, ghepardi, animali in lotta, quadrupedi indefinibili spesso arrotolati su loro stessi, teste bovine in funzione di capitello, draghi e altri animali fantastici.Tra le numerose miniature della seconda metà del sec. 13°, escludendo le opere di Tòros Roslin (v.) e quelle a lui attribuite, si possono citare alcuni esempi significativi.La Bibbia datata 1270 (Erevan, Matenadaran, 345), di un ignoto pittore dello scriptorium del monastero di Gṙner, rivela, tra l'altro, un'accentuata ricerca prospettica, soprattutto in alcune miniature (per es. nell'evangelista Matteo).Il Vangelo detto di Smbat il Connestabile (Erevan, Matenadaran, 7644), dal nome del committente, fratello di re Hethum I (m. nel 1274), attribuito da Der Nersessian (1977) a Hovasap' dello scriptorium del monastero di Skewṙa, è caratterizzato da un apparato decorativo particolarmente felice pur nella semplicità dei suoi elementi e nella ridotta gamma dei colori.Il Vangelo della regina Keran (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2563), copiato e miniato a Sis nel 1272, che deve alla committenza regale la rutilante ricchezza delle sue numerose miniature a piena pagina e delle oltre settecento miniature marginali, mostra una tendenza alla ricerca quasi ritrattistica nella raffigurazione dei donatori e una forte componente emotiva nelle scene evangeliche.Il Vangelo del principe Vasak, del 1270 ca. (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2568), simile per iconografia e stile a quello della regina Keran e attribuito a un ignoto artista della stessa scuola, alterna influenze italiane a persistenze bizantine.Il Lezionario di Hethum II (Erevan, Matenadaran, 979), del 1286, occupa un posto a sé nell'evoluzione della miniatura della C. per la complessa struttura compositiva, per il fortissimo dinamismo delle figure, per i tormentati sfondi, per la presenza di numerosi inequivocabili elementi decorativi di diversa provenienza, tra i quali spiccano per rarità e originalità quelli estremo-orientali.La scuola miniaturistica della C. mostra chiari segni di decadenza alla fine del secolo, quando mutano le condizioni storiche e si ha una grande instabilità politica. Le migliori caratteristiche della scuola si degradano o si stemperano in opere in cui l'espressione equilibrata di un preciso contenuto emotivo diviene drammatizzazione, la resa controllata del movimento si trasforma in contorsione dei personaggi, la sobrietà dell'esecuzione appare sostituita da formule sempre più manierate, la composizione bilanciata lascia il posto a scene sovraccariche, il canone proporzionale delle figure, di ascendenza quasi classica, si perde in un allungamento deformante, la stessa, fino allora inesauribile, fantasia dei canoni di concordanza o delle pagine iniziali si inaridisce in geometrismi ripetitivi e monotoni.Nel corso del sec. 14° l'unico rappresentante degno di nota è Sarkis Pidzak.
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