cielo
Il termine è stato inteso dai filosofi antichi con diversi significati, che secondo Aristotele sono essenzialmente tre. In un primo senso – scrive Aristotele – diciamo c. la sostanza dell’ultima orbita dell’Universo, ossia il corpo naturale che si trova nell’ultima orbita dell’Universo. Siamo infatti soliti chiamare c. soprattutto l’estremità, l’alto, dove affermiamo anche che ha sede tutto ciò che è divino. In un secondo senso, chiamiamo c. il corpo che è contiguo all’ultima orbita dell’Universo, e in cui si trovano la Luna, il Sole e i restanti pianeti, dei quali infatti diciamo che si trovano nel cielo. Infine, utilizziamo la parola c. per designare il corpo che è racchiuso dall’ultima orbita. Infatti abbiamo l’abitudine di chiamare c. il tutto e l’Universo, e in questo caso, evidentemente, Aristotele usa il termine c. nel senso di ‘cosmo’ (De caelo, 278 b 11). Dottrina caratteristica di Aristotele è quella secondo la quale i corpi celesti sono formati da una sostanza incorruttibile o «quinta essenza», che egli chiama «etere» – e dalla quale Aristotele, nelle opere pubblicate, sosteneva fosse costituita anche la mente umana. Il c. nel suo insieme appare quindi non soggetto al ciclo di generazione e corruzione che invece caratterizza i corpi sotto la Luna. Anche il moto circolare dei pianeti è puro, e non composto come sulla Terra, e da questo punto di vista imita il moto dell’intelligenza: si tratta della famosa dottrina della perfezione del moto circolare, che Aristotele eredita da Platone, e che restò un dogma fino a Keplero. Una dottrina caratteristica di Aristotele, invece, è quella dell’eternità del c. – intendendo il c. come cosmo. Tale dottrina, benché non facilmente reperibile nel Timeo platonico, dove si parla di un cosmo ‘generato’, venne adottata anche dai neoplatonici, e divenne canonica, suscitando l’avversione dei padri della Chiesa perché contraria al dettato biblico. Secondo Aristotele i pianeti si muovono intorno allo stesso asse (sistema omocentrico) ma non di moto proprio, bensì trasportati da 55 sfere mosse dalle rispettive intelligenze rivolte tutte verso il «primo motore immobile» (Metafisica, XI, 8).