cieco
. Aggettivo e sostantivo di largo impiego in D., anche per le possibili fruizioni nel traslato, e assai più frequente in poesia che in prosa.
Riferito a mancanza di vista reale o sensibile, non senza immediate implicazioni col piano del figurato, si trova replicato per quattro volte in un passo del Convivio (I XI 4) tutto tramato su questo tema della ‛ cecità ', con abili variazioni semantiche e persino un aggancio all'orbita sostantivale, per l' epifonema conclusivo: E sì come colui che è cieco de li occhi sensibili va sempre secondo che li altri [il guidano, o] male [o] bene, così colui che è cieco del lume de la discrezione sempre va nel suo giudicio secondo il grido, o diritto o falso; onde qualunque ora lo guidatore è cieco, conviene che esso e quello, anche cieco, ch'a lui s'appoggia, vegnano a mal fine.
È ovvio che c. possa dirsi fisicamente di animale: Pd XVI 70-71 e cieco toro più avaccio cade / che cieco agnello, cioè - oltre la lettera - " nella comune insipienza, uno stato piccolo si salva più facilmente del grande ".
Vale " con la vista annebbiata dalla fame ", in If XXXIII 73 ond'io mi diedi, / già cieco, a brancolar sovra ciascuno; in cui il già sembra escludere il significato " accecato per la disperazione ".
L'accezione particolare di " sotterraneo " emerge nella sua autonomia fisica e quasi geologica da un unico luogo (Pg I 40), dove il cieco fiume che D. e Virgilio hanno risalito a ritroso, per un buio cunicolo, non è altro che il ruscelletto di If XXXIV 130.
Intermedio fra senso fisico (" chiuso ", " sotterraneo ", " tenebroso ", " privo della luce del giorno ") e senso morale (" offuscato intellettualmente ", " avvolto nelle tenebre del peccato ", " escluso dalla luce di Dio "), c. si prospetta ora come parola-chiave della prima cantica. Avremo, così, cieco mondo (IV 13) e mondo cieco (XXVII 25), dove però l'epiteto suona " tragicamente ambiguo, in bocca a un dannato che ha la vista fasciata dalla fiamma " (Terracini, citato dal Sapegno); cieco / carcere (X 58), con tremebondo enjambement; e carcere cieco, nella malinconica rimembranza di Virgilio (Pg XXII 103).
Assumendo una significazione schiettamente morale, c. si configura anche come il fatale correlativo di alcune tendenze umane, ad esempio l'avidità. D. istituisce, così, il nesso con disposizioni dell'anima che, oscurando la luce della coscienza, ci inducono a commettere ingiuria contro il prossimo, nelle cose o nelle persone: Oh cieca cupidigia e ira folle, / che sì ci sproni ne la vita corta, / e ne l'etterna poi sì mal c'immolle (If XII 49); o La cieca cupidigia che v'ammalia (Pd XXX 139), ove riecheggia l'ammonimento di Ep. VI 12 e 22 (0 mira cupidine obcaecati !... Nec advertitis dominantem cupidinem, quia caeci estis...). Ancora, riferito agl'ignavi con una peculiare sfumatura semantica (" oscuro moralmente ", " abietto "), la lor cieca vita (If III 47); nella desolata requisitoria di Marco Lombardo, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui (Pg XVI 66); infine, la trepida confessione di D. Quinci sù vo per non esser più cieco (XXVI 58), cioè " per acquistare la luce dell'intelletto " (Sapegno; e cfr. Cv I XI 4).
Per " obnubilato ", " accecato ", in ambito morale e con funzione analoga a quella del participio passato: Rime CVI 70 Corre l'avaro, ma più fugge pace: / oh mente cieca, che non pò vedere / lo suo folle volere / che 'l numero; e 76 dimmi, che hai tu fatto, / cieco avaro disfatto ?; e cfr. ancora lo 'ntelletto cieco, di Rime LXXXIII 44. Anche nella canzone O patria degna di triunfal fama 72 (fra le spurie nella '21, ma autentica per Fraticelli e Moore), Macometto cieco, " accecato " dalla sua superba follia.
Così, gradualmente, c. passa al valore sostantivato, " uomo privo di vista ", nel proverbiale sintagma di Cv I XI 4, che sembra commentare il parallelo precedente fra vista fisica e luce di discrezione morale, e riverberarvi il sapore della saviezza evangelica: Però è scritto che " 'l cieco al cieco farà guida, e così cadranno ambedue ne la fossa ". Scontata, dato il contrappunto di partenza, l'estensione al piano ideologico, subito dopo: E li ciechi sopra notati, che sono quasi infiniti, con la mano in su la spalla a questi mentitori, sono caduti ne la fossa de la falsa oppinione, de la quale uscire non sanno (XI 5); e XI 21 a lo cui condutto [di questi adulteri, gli spregiatori del volgare] vanno li ciechi de li quali ne la prima cagione feci menzione.
L'alternativa si ripropone equamente per il poema, fra il sostantivato in senso fisico (Pg XIII 61 Così li ciechi a cui la roba falla, / stanno a' perdoni a chieder lor bisogna, / e l'uno il capo sopra l'altro avvalla; XVI 10 Sì come cieco va dietro a sua guida / per non smarrirsi e per non dar di cozzo / in cosa che 'l molesti) e quello in senso morale (" ottenebrato dal peccato e dall'ignoranza "): If VI 93 cadde con essa [testa] a par de li altri ciechi (il Sapegno: " spiritualmente, in quanto peccatori e dannati [cfr. Inf. VII, 40-41] , e materialmente, perché affondano il viso nel fango "); Pg XVIII 18 fieti manifesto / l'error de' ciechi che si fanno duci, cioè dei falsi profeti che pretendono di guidare gli altri (in questo caso affermando che ogni amore sia sempre di necessità buono), sulla scia della nota reminiscenza biblica (Matt. 15, 14 e Luc. 6, 39).