Donati, Cianfa
Personaggio della notissima casata fiorentina, identificato con il Cianfa nominato da D. tra i ladri della settima zavorra (If XXV 43).
È probabilmente il Cianfa Donati che nel 1282 era consigliere del capitano del popolo per il sesto di Porta San Piero, e che risultava già deceduto nel 1289 (nel testamento di Corso Donati); ma la coincidenza del personaggio storico con quello dantesco non è comprovata inoppugnabilmente da alcun elemento. Gli antichi chiosatori, unanimi nell'identificazione (eccetto il Serravalle che, per un evidente scambio di cognome, lo dice dei Galigai), non offrono alcuna concreta notizia né sul personaggio né sulle sue imprese; e il loro restare nel vago fa intendere anzi che non ne sapessero nulla o quasi: talché i loro interventi appaiono segnatamente pure amplificazioni (e potremmo dire giustificazioni) della condanna dantesca; così le notizie dell'anonimo compilatore delle chiose pubblicate dal Selmi, che, apparentemente più informato degli altri, afferma Cianfa essere stato " grande ladro di bestiame, e rompia botteghe e votava le cassette ": colpevole dunque di abigeato e di furti con scasso.
Il nome di Cianfa, pronunciato da uno dei tre spiriti a D. sconosciuti che si sono avvicinati, e la cui domanda " Chi siete voi? " ha interrotto il racconto di Virgilio su Ercole e Caco, sollecita la curiosità del poeta, in quanto - conoscendo forse di fama il personaggio nominato, e avendo comunque avvertito l'accento fiorentino di chi ha parlato - ha compreso di trovarsi dinanzi a concittadini; vuole saperne di più, e chiede perciò il complice silenzio della sua guida, ponendosi 'l dito su dal mento al naso (v. 45). Ma a questo punto un serpente con sei piè si lancia contro uno dei tre dannati (che sapremo poi, [v. 68 ] essere Agnello Brunelleschi) e tutto a lui s'appiglia più che l'edera a un albero; poi i due esseri s'appiccar, come di calda cera (v. 61), sì che né l'un né l'altro già parea quel ch'era (v. 63), e due e nessun l'imagine perversa / parea (vv. 77-78); infine il mostro s'allontana con lento passo.
È probabile che il serpente con sei piedi che si fonde con l'uomo sia proprio Cianfa, come affermano Iacopo e il Buti: c'è da osservare però che, forse dandola per scontata, gli altri commentatori non accennano affatto a questa identificazione, fino al Cesari, che la ribadisce. Si tratta comunque di un elemento secondario, poiché è chiaro che in questa prima straordinaria trasformazione D. intende mostrare per allegoria che gli uomini " quando caggiono in tanta viltà d'animo che si dispongano ad esser furi, si congiungono con la fraude per sì fatto modo, che sempre stanno con essa; et è sì mescolata la ragione umana con la fraude, che non si possono dire né uomini né serpenti " (Buti).
Alcuni esegeti hanno tentato di classificare con maggiore determinazione il tipo di furto che Cianfa rappresenterebbe e d'indagare conseguentemente il rapporto ‛ storico ' - se vi fu - con il Brunelleschi (complicità in ruberie, quale pare esistesse tra Buoso e Francesco Cavalcanti), le ragioni di una pena differenziata cui sono sottoposte le due coppie di ladri e le motivazioni del contrapasso. Il Vellutello, appoggiandosi a Pg VI 133-135, propose di vedere in esponenti di casate tanto note non " ladri di vil condizione, astretti molte volte da necessità ", ma persone di rango che " avendo nelle mani il governo della repubblica, avessero le pubbliche entrate di quella convertite nel privato lor uso ". Della stessa opinione è l'Andreoli, che esclude dal gruppo Puccio Galigai, l'unico a non essere coinvolto nelle trasformazioni perché ladro comune.
Più aderente " alla logica interna dell'escatologia dantesca " è invece la proposta del Pagliaro (che corregge e precisa un'ipotesi del Filomusi Guelfi): esclusa ogni complicità diretta tra Cianfa e il Brunelleschi vivi, " sembra chiaro che il poeta... abbia, per dire così, fuso l'aspetto attivo e il passivo del reato di plagio: Cianfa fatto serpente altera, secondo il costume del plagiarius, le sembianze del Brunelleschi, per suo conto adusato al camuffamento. La pena unica applica nei due malfattori il rispettivo contrappasso. In conclusione gli scarsi indizi che si hanno circa le figure dei ladri che subiscono le tre particolari forme di pena, rendono probabile che tali pene corrispondano alle tre forme di furto aggravato per le quali, secondo S. Tommaso, era comminata la pena capitale ".
La scarsità delle notizie deve tuttavia indurre alla prudenza: cosicché, se da un lato appare troppo poco aderente alla mentalità dantesca l'essersi abbandonato, in gara con gli antichi poeti che egli cita, " alla fantasia, senza preoccuparsi del rapporto tra colpa e castigo " (Chimenz), occorre notare anche che la pur attraente ipotesi del Pagliaro non tiene in nessun conto la seconda delle accuse che l'anonimo carica su Cianfa, il furto con scasso, che certo non rientra nella colpa di plagium. Non è poi da escludere che sull'accusa di abigeato abbia influito unicamente la vicinanza ‛ episodica ' di Caco (vv. 17-33), e che pertanto anche questa sia illazione del commentatore delle chiose Selmi.
Si deve infine ricordare che tutto il racconto della formazione dell'ibrido mostro segue Ovidio (Met. IV 288 ss., e particolarmente 365-386, la ‛ fusione ' di Ermafrodito e Spalmace).
Bibl. - Consulte della repubblica fiorentina, a c. di A. Gherardi, I, Firenze 1896, 135; A. Dobelli, Intorno a una fonte dantesca, in " Bull. " IV (1896-97) 16-17; L. Filomusi Guelfi, Sui ladri e le loro pene, in Nuovi studii su D., Città di Castello 1911 (rec. di G. Busnelli, in " Bull. " XX [1913] 26); M. Barbi, A proposito di Buoso Donati, in " Bull. " XXIII (1916) 130 (rist. in Problemi 1308); Pagliaro, Ulisse 352-357.