DELLA TOSA, Cianchella
Nacque a Firenze da Arrigo sullo scorcio del sec. XIII.
Discendente da una schiatta che intrecciava la sua storia con la storia stessa del Comune cittadino - i Della Tosa erano una ramificazione dell'antichissima consorteria dei Visdomini, con i quali amministravano la sede vescovile fiorentina in periodo di vacanza - la D. riceve spessore di personaggio più dalle fonti letterarie che da quelle storiche. Il padre aveva, a cavallo tra XIII e XIV secolo, svolto una discreta attività politica, ricoprendo più volte il ruolo di podestà nel centri toscani (cfr. R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, - Berlin 1896-1908, IV, ad Indicem) zio di Rosso Della Tosa, Arrigo si era schierato nel 1300, al momento della divisione della famiglia tra le due fazioni dei guelfi, con il ramo del nipote, uno dei più decisi e violenti capi dei neri.
Probabilmente fu proprio a causa della sua posizione politica che Arrigo decise di dare la figlia in sposa all'imolese Lito Alidosi; con quelle nozze si venivano infatti a rinnovare gli stretti legami già intrecciati tra guelfi neri fiorentini e tiranni di Romagna.
Lito era infatti fratello di Alidoso, complice di Maghinardo Pagani da Susinana - il "demonio" del Purgatorio, XIV, 118 (su di lui cfr. anche Inferno, XXVII, 50 e G. Villani, Cronica, VII, cxlix) - nell'impadronirsi di Imola, e lo stesso Maghinardo aveva preso in moglie una Della Tosa, Ermengarda.
Ignoriamo se le nozze della D. con Lito siano state feconde; certo è che, alla morte del marito, fece ritorno, secondo un'usanza largamente praticata dalle vedove, nella casa paterna a Firenze, e fu nella città natale che, nel marzo del 1330, morì.
La fama della D. è tutta dovuta a Dante, che nel Paradiso (XV, 128) la addita come exemplum dell'immoralità delle fiorentine della sua epoca, in contrapposizione alla virtù di quelle dell'ideale Firenze descritta da Cacciaguida. Nella condanna di Dante ella sconta però sicuramente, più che le colpe di un'effettiva lussuria, l'appartenenza ad una famiglia di nemici politici del poeta: il referente per questa affermazione può trovarsi nel caso opposto di Cuniiza da Romano, nobile della marca trevigiana, cui Dante perdona la precedente traviata vita amorosa, attribuendole una tarda conversione che la reca alla, salvezza (Paradiso, IX, 25-36).Considerata la violenza dell'invettiva dantesca, non meraviglia che il personaggio conservi la sua forza negativa, senza peraltro guadagnare in spessore storico, nell'opera dei commentatori della Commedia: questi, infatti, piuttosto che spiegare, si limitano a riecheggiare il giudizio dell'autore. Definitiva consacrazione nel ruolo di donna corrotta e corruttrice la D. la deve comunque al Boccaccio, il quale, nel Corbaccio, afferma l'esistenza di una setta filosofica femminile detta "cianghellina", la quale, conformandosi allo spirito della fondatrice, considerava vera saggezza, per le donne "trovare d'essere tante volte e con tanti uomini, con quanti il loro appetito concupiscibile richiedea" (Corbaccio, p. 525);ma la presenza della D. all'interno della più misogina opera di Boccaccio fa apparire infine come non azzardata l'ipotesi che i contemporanei non le avessero soprattutto perdonato l'esser stata "parlante senza alcuna fronte, o alcuno abito o atto pertinente a condizione di donna" (L'ottimo..., p. 359, n. 127).
Fonti e Bibl.: L'ottimo commento della Divina Commedia, testo ined. di un contemporaneo di Dante, a cura di A. Torri, III, Pisa 1829, p. 359; Comedia di Dante degli Allagheri col commento di Iacopo della Lana, a cura di L. Scarabelli, III, Bologna 1866, p. 247; Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis AlighieriiComoediam, a cura di G. F. Lacaita, V, Florentiae 1887, pp. 150 s.; G. Boccaccio, Opere in versi. Corbaccio..., a cura di P. G. Ricci, Milano-Napoli 1965, pp. 524 s.; G. A. Scartazzini, Enciclopedia Dantesca, I, Milano 1896, pp. 370 s.; F. Cardini, C., in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1970, pp. 988 s.