GARVE, Christian
Letterato e filosofo tedesco, nato il 7 gennaio 1742 a Breslavia, ove morì il 30 novembre 1798. Successe a C. F. Gellert nella cattedra di filosofia dell'università di Lipsia; ma tenne l'ufficio per soli due anni dal 1770 al 1772; poi si ritirò, per motivi di salute, nella sua città nativa. Fu uno dei primi filosofi che si servisse nei suoi scritti della lingua tedesca. Si formò alla scuola degl'Inglesi e, pur senza giungere a un organico pensiero originale, fu, tra i rappresentanti della filosofia popolare dell'Aufklärung, una delle menti più aperte.
Dagl'Inglesi (Ferguson, Burke, Paley, A. Smith, A. Gerard) tradusse moltissimo, nonché da Cicerone (De Officiis, voll. 4, 1783), per incarico di Federico il Grande, e da Aristotele (Etica, 1798-1803). All'Etica aggiunse la sua Übersicht über die verschiedenen Prinzipien der Sittenlehre von Aristoteles bis auf unsere Zeit, interessante come espressione del turbamento provocato dal pensiero kantiano nell'empirismo della filosofia del tempo. L'importanza storica di Kant vi è, anche se non compresa, tuttavia intuita. Il pensiero e l'opera del Garve non furono senza influenza sui letterati del tempo: particolarmente su Wieland, Lessing e Herder. La sua Betrachtung einiger Verschiedenheiten in den Werken der ältesten und neueren Schriflsteller ha suggerito allo Schiller numerose osservazioni in Über naive und sentimentale Dichtung. Delle altre sue opere originali basterà qui ricordare la Abhandlung über die Verbindung der Moral mit der Polink (1788); i Fragmente zur Schilderung des Charakters und der Regierung Friedrichs des Zweiten (1798); i Vermischie Aufsätze (1798); e i Versuche über verschiedene Gegenstände aus der Moral, der Literatur und dem gesellschaftlichen Leben (voll. 5, 1792-1802).
Bibl.: P. Müller, Ch. G. Moralphilosophie und seine Stellungnahme zu Kants Etik (Diss.), Erlangen 1905.