GRABBE, Christian Dietrich
Poeta, nato l'11 dicembre 1801 a Detmold, dove morì il 12 settembre 1836. Vide, fanciullo, fra le mura dell'ergastolo di Detmold, di cui il padre era direttore, la triste vita dei reietti, e ne serbò indelebile nell'anima il ricordo. A Lipsia e a Berlino, ove studiò giurisprudenza, fece vita dissoluta, contraendo il male che, giovane ancora, doveva portarlo alla tomba. Fu introdotto dal Heine e da F. v. Üchtritz, che più tardi avversò, nei salotti letterarî berlinesi, e visse qualche tempo presso J.L. Tieck, a Dresda. Guastatosi col Tieck, ritornò in patria, ove esercitò, tra il 1824 e il '34, l'avvocatura militare, finché, esonerato dall'ufficio e sciolto il suo matrimonio con Louise Clostermeier, si rifugiò presso K.L. Immermann, a Düsseldorf, ove collaborò come critico a quell'impresa teatrale che l'Immermann dirigeva.
L'opera del Gr., nonostante la sua vasta mole, è sostanzialmente frammentaria. Solo in pochi momenti felici gli riuscì di dar forma e vita a quella che fu la sua umana tragedia: il vacillare e il dissolversi d'ogni fede negli uomini e in Dio, l'abulico abbandono alle cieche forze dell'istinto e del destino, l'affogare del genio nel gorgo della volgarità, e il finale trionfo della morte e del male, mentre la natura, indifferente, irride all'umano dolore. Troppo spesso il travaglio creativo fu in lui turbato dall'ambizione di emulare e di superare i più grandi, e dal calcolato prevalere della scenografia sull'intimo dramma dell'anima. Nei due primi drammi, Herzog Theodor von Gothland e nella commedia Scherz, Satire, Ironie und tiefere Bedeutung (pubblicati ambedue nel 1827), il poeta procede sulle orme dello Shakespeare, dello Schiller, del Byron, del dramma romantico; pure, nell'incomposto fermento già chiaramente si affermano i due aspetti fondamentali della sua arte: la tragedia dei folgorati titani e il sarcastico riso che distrugge ogni idealismo. Dopo il Marius und Sulla, che per la larghezza dell'impostazione già prelude ai grandi drammi storici, narrò nel Don Juan und Faust (1829) la vicenda del superuomo, che, soffocata in sé ogni voce umana per conseguire la sconfinata potenza, sul limitare della morte si riscuote dal suo sogno ed è travolto da Satana. Ed è pur questa, la tragedia dell'eroe disumanato, che il destino fiacca nel momento in cui sta per stringere nel pugno la preda agognata, la parte viva dei Hohenstaufen (Barbarossa, 1829; Kaiser Heinrich VI., 1830). Nei tre ultimi drammi, Napoleon oder die hundert Tage (1831), Hannibal (1835), Die Hermannsschlacht (1836), il mondo poetico del G. assume il suo aspetto definitivo. Qui l'eroe, finché dura la sua breve giornata, potenzia in sé tutte le energie vive del suo popolo e lo solleva agli ultimi vertici concessi agli uomini; ma scoccata l'ora fatale, si ritrova, smemorato e solo, sulla riva d'Averno, in faccia all'eterno mistero. Forse il capolavoro del G. è nel breve frammento del Christus (1835), ove tutto il dolore divino e umano confluisce nel cuore della Madre.
Ediz.: R. Gottschall (voll. 2, Lipsia 1870); E. Grisebach (voll. 4, Berlino 1902); O. Nieten (voll. 2, Lipsia 1908); S. Wukabinović (voll. 2, Berlino 1913); P. Friedrich (voll. 4, Weimar 1923).
Bibl.: Biografie di E. Duller (1839), di K. Ziegler (1855), di R. Gottschall; O. Nieten Chr. D. Grabbe, Sein Leben und seine Werke, Dortmund 1908; P. Friedrich e F. Ebers, Das Grabbe-Buch, Detmold 1923; A. Ploch, Grabbes Stellung in der deutschen Lit., Lipsia 1905; F. Gieben, Grabbes Verhältnis zu Schiller, 1910; L. Hock, Shakespeare's influence on Grabbe, 1911; E. Ebstein, Grabbes Krankheit, 1906.