CHIOGGIA (A. T., 24-25-26)
Città dell'estuario veneto, situata su un'isola prossima al margine meridionale della laguna e al cordone litorale che separa quest'ultima dall'Adriatico. L'isola è divisa da tre canali che l'attraversano, con direzioni parallele, da N. a S., e ai quali corrisponde la disposizione delle vie della città.
La città, la cui pianta venne anche paragonata alla spina d'un pesce e che richiama quella di alcune città italiane d'antichissima origine, fa pensare che essa pure sia stata edificata secondo un disegno prestabilito. E poiché Plinio nella sua descrizione del litorale adriatico (III, 16) fa menzione di una Fossa Clodia, la cui situazione nell'ordine topografico seguito dall'autore corrisponde a quella di Chioggia, si può presumere che sin d'allora esistesse un villaggio, forse mansione sulla via d'acqua da Ravenna ad Altino, il cui posto potrebbe corrispondere al quartiere chiamato Vigo: e invero dovette essere un piccolo nucleo d'abitato se nessun geografo antico ne lasciò ricordo. L'esigua importanza ch'ebbe Chioggia antica permette di dubitare che un reticolato di vie e di canali possa essere stato tracciato sin da allora, cioè prima ancora che gli abitanti fossero in tal numero da occuparne l'intera estensione. La pianta di Chioggia richiama senza dubbio i procedimenti usati dagli agrimensori romani, ma è noto come questa tradizione si sia mantenuta nei secoli seguenti. Chioggia si formò in un ambiente naturale che nell'epoca storica andò soggetto a variazioni non trascurabili: il rapporto fra terra e acqua certo non era identico al presente e questo è risultato dalla duplice azione della natura e dell'uomo. Chioggia sorse su isolette retrostanti al cordone litorale, che poterono essere accresciute con terrapieni costruiti col fango estratto dal fondo lagunare, unite per mezzo di colmamenti o divise mediante effossioni. Perciò la pianta di Chioggia non è paragonabile a quella delle città antiche fondate sull'asciutto, ma piuttosto ai terreni dove siano stati aperti canali per dar corso ad acque da introdursi o da smaltire. Infatti, oltre ai tre canali principali, press'a poco paralleli, diretti da N. a S., altri fossi minori trasversali ai primi esistevano nella città e servivano alla comunicazione con le barche. Codesti fossi, oltre i quali si poteva passare a piedi asciutti per mezzo di un pancone sostenuto da arginelli che furono proibiti dagli statuti del 1270, furono poi interrati e divennero tutt'una cosa con le vie che erano tali sin dall'origine, e incontrandosi ortogonalmente con quelle parallele ai canali principali, contribuirono a dare alla città l'aspetto di una scacchiera. Entro alle maglie di questa, erano sorti i ceppi di case che costituirono i vicinati medievali. In conclusione, la regolarità del disegno si deve innegabilmente a procedimenti che furono applicazioni degl'insegnamenti romani. È probabile che la pianta di Chioggia si deva a una ricostruzione fattane durante il Medioevo: forse dopo che Pipino l'ebbe distrutta (sec. IX), se non pure dopo la guerra di Chioggia.
Chioggia è sede d'importanti costruzioni navali. È unita alla terraferma da un ponte e dalla ferrovia del Polesine. Il porto, pur avendo discreta importanza nell'esportazione dei prodotti delle fornaci del Polesine e nell'importazione della pietra d'Istria, è soprattutto un porto peschereccio, e tra i maggiori d'Italia. Si calcola che circa ¼ della popolazione del comune viva di pesca. Questa si esercita nell'Adriatico, piuttosto per mezzo di velieri detti bragozzi (di circa 10 tonnellate di registro) che delle più grosse tartane maggiormente usate in passato. Per parecchi mesi dell'anno la pesca viene esercitata ora lungo le coste da Trieste ad Ancona, ora lungo quelle orientali. Il comune di Chioggia conta (1921) 36.104 ab., dei quali 22.225 nella città. Questa, chiusa tra le acque nella sua vita tradizionale, nell'ultimo cinquantennio non ebbe sviluppo d'industrie che accrescessero gran fatto la sua popolazione; invece fortemente aumentò il numero degli abitanti nella zona orticola del cordone litorale. Sottomarina ne ha al presente più di 8000, in grande prevalenza ortolani (i marinanti) che vivono del commercio locale e di quello di esportazione degli ortaggi (patate primaticce, cipolle e aglio, legumi, cavoli, asparagi, poponi, cocomeri). Essi hanno esteso le loro coltivaziom anche nel tratto di terraferma a mezzodì di Chioggia e il trasporto delle verdure si compie, sia per via d'acqua, sia per mezzo della ferrovia di cui Chioggia è capolinea.
Monumenti. - La città, molto caratteristica nel suo insieme, è ricca di antichi edifici. Il duomo, ricordato già nel sec. XI, fu costruito nella forma attuale su disegno di Baldassarre Longhena tra il 1663 e il 1674, e poi (sec. XVIII) vi fu rinnovata la cappella dei Ss. patroni Felice e Fortunato adorna di tele della scuola settecentesca veneziana tra le quali una attribuita al Piazzetta. Esso ha un grandioso pulpito (1677) di carattere longhenesco. L'attigua chiesa di S. Martino, edificata nel 1392, ha un polittico (1349) di un seguace di maestro Paolo da Venezia. Nella chiesa di S. Domenico, rinnovata nel sec. XVIII, sono una tela di Vittor Carpaccio raffigurante S. Paolo, dipinti di Andrea Vicentino, Leandro Bassano e Pietro Damini e un assai importante crocifisso ligneo, di artista tedesco del sec. XV avanzato. Delle altre chiese ricordiamo quella di S. Andrea con un tabernacolo della scuola dei Lombardo; quella di S. Nicolò che risale al sec. XIV; l'altra della SS. Trinità riedificata nel 1703 su progetto di Andrea Tirali e che conserva l'annesso oratorio dei Battuti con un gruppo di tele di artisti veneziani dei primi anni del sec. XVII. Tra gli altri edifici si nota il palazzo Grassi, del tardo '500; l'antico Granaio del sec. XIV, restaurato, con una Madonna sansovinesca. Nel moderno palazzo comunale v'è una tavola del 1437, della maniera di Jacobello del Fiore. Ricordiamo infine la colonna di piazzetta Vigo (1786) per cui si utilizzò anche un capitello bizantino; il barocco pilone reggistendardo (1713); le statue settecentesche della piazza vescovile, tra le quali quella famosa della Vergine. (V. tavv. XXI e XXII).
Storia. - Dovette probabilmente esistere nell'età romana (v. sopra), ma quanto della vecchia città sia sopravvissuto sotto l'urto delle invasioni nemiche tra il sec. VI e il VII è difficile accertare; è però fuor di dubbio che, mentre il prossimo continente con tutto il Piovado di Sacco e il territorio adriese diventava longobardo, per essere poi incorporato nel regno italico, il centro insulare di Chioggia con le sue dipendenze litoranee e continentali (Cavarzere e Loreo) restò bizantino, e come tale passò per automatico trapasso a far parte nel sec. VIII del nascente ducato autonomo veneziano. Assalita da re Pipino al principio del sec. IX, il vecchio vicus ricostituito a nuova vita attorno alle pievi, fu nuovamente scomposto e i suoi abitatori costretti a trovar altrove rifugio. Ma passata la bufera franca la vita vi fu ricomposta; il centro chioggiotto assumeva pertanto la sua caratteristica fisionomia territoriale, bipartita fra la zona insulare (Clugia maior) e quella litoranea (Clugia minor) difesa dal castello ivi eretto a integrazione delle opere militari del castello lauretano e di quello cavarzerano; accoglieva anche uno stabile assetto amministrativo, specchio fedele degli ordinamenti realtini, la cui evoluzione riprodusse con sensibile uniformità.
Chioggia aveva salvato il nascente ducato dall'invasione franca al principio del sec. IX; salvò poi Venezia nello scorcio del sec. XIV (v. appresso). E a Venezia diede il concorso d'inestimabili ricchezze sia col porto, sia soprattutto con l'abbondanza delle saline.
L'ondata democratica del 1797 risvegliò le ambizioni cittadinesche, accarezzando illusorî progetti di soppiantare la madre patria nella sua funzione economica con la proclamazione del porto franco. Ma il dominio austriaco, nell'asprezza del suo governo, rinsaldò lo spirito nazionale, che associò di nuovo Chioggia alla madre patria nelle giornate della redenzione (1848-1849).
La guerra di Chioggia.
Con questo nome si suole indicare la terza e ultima grande guerra veneto-genovese del sec. XIV, iniziatasi nel 1378 e terminata nel 1381 col trattato di Torino, perché a Chioggia ebbe luogo l'azione risolutiva, che trasformò la quasi inevitabile rovina di Venezia in una clamorosa sconfitta dei suoi nemici.
Dopo la sconfitta sofferta dall'armata veneziana di Vettor Pisani nelle acque di Pola, Genova inviò nell'Adriatico Pietro Doria che, alla testa di 50 galee e di numerose navi, prese la città di Chioggia, donde cominciò a molestare e a bloccare Venezia, mentre l'alleato suo principale, il signore di Padova, Francesco da Carrara, anch'egli per terra stringeva d'assedio le lagune. Il Doria s'avanzò fino a Malamocco e con le bombarde giunse a danneggiare alcune case della città; ma il Senato aveva fatto sbarrare tutti i canali, e con le artiglierie impediva alle navi genovesi di rimuovere gli sbarramenti, sicché il Doria dovette abbandonare l'impresa, anche perché Vettor Pisani, liberato dal carcere a cui era stato condannato dopo la battaglia di Pola, aveva armato sollecitamente e con arrolamenti forzati tutte le navi disponibili nell'arsenale, e dalle lagune il vecchio doge Andrea Contarini assaliva i Genovesi, ritiratisi a Chioggia. Numerosi scontri avvennero sulla bocca del porto, dove i Veneziani tentarono d'imbottigliare i nemici, favoriti in ciò dall'errore dei Genovesi che incendiarono una delle più grosse navi a vela (cocche) del nemico. La nave affondò chiudendo la bocca del canale in modo che il passo per uscire era precluso anche alle galee. Dietro a quella i Veneziani affondarono essi stessi altre navi cariche di pietre, chiudendo così ogni via d'uscita, anche negli altri passi (canale di Brondolo e canale di Lombardia). Invano i Genovesi si sforzarono di rimuovere gli ostacoli. Ai primi di gennaio 1380 comparve, richiamato dall'Oriente, dove prima della battaglia di Pola si era recato a danneggiare le colonie genovesi, Carlo Zeno, conducendo seco ben quindici galee, che diedero potente rincalzo ai Veneziani, di assaliti diventati assalitori. Ad alleviare le pene dei Genovesi, che avevano perduto in uno dei numerosi combattimenti il loro capitano, giunse dal Tirreno una squadra di poche galee il cui comandante, Matteo Maruffo ebbe parecchi scontri col Pisani e con lo Zeno; né miglior risultato ebbe un'azione combinata, prevalentemente di bombarde, fra lui e i bloccati, per distruggere l'armata nemica.
Gli assediati, ormai tormentati dalla fame, sperarono un sollievo da una sortita fatta per mezzo di zattere, costruite coi legnami che sostenevano i tetti delle case di Chioggia, ma nemmeno questo espediente valse, perché i veneziani, accortisi della manovra, opposero un'accanita resistenza; sicché quasi nessuna zattera passò. Nonostante una piccola vittoria navale riportata dai Genovesi nelle acque istriane sopra una sezione dell'armata del Pisani, le condizioni dei rinchiusi a Chioggia peggiorarono sempre più. A poco valse la cacciata dei miseri abitanti di Chioggia, per diminuire le bocche da nutrirsi: giacché i viveri furono presto insufficienti anche per gli equipaggi genovesi. Un convoglio di barche, che era stato spedito da Padova per i canali interni, fu intercettato. Il successore del Doria aprì trattative di accordo, a ciò autorizzato dal commissario genovese, Gaspare Spinola, che da Padova aveva tentato tutti i mezzi per soccorrere i suoi concittadini bloccati; ma i veneziani, ai quali, dopo la vittoria di Pola, Pietro Doria aveva voluto imporre la resa a discrezione, pretesero adesso che a discrezione si arrendessero i Genovesi; e nonostante le continue ribellioni dei soldati mercenarî, arruolati dallo Zeno, mantennero fermo questo proposito. Il 24 giugno del 1380 i miserabili avanzi di quella potente armata navale si diedero al nemico: erano più di 4000 uomini, ischeletriti dalla fame e dalle sofferenze.
Ma la guerra non era finita: l'armata del Maruffo, se non aveva potuto sbloccare Chioggia, era però intatta. Il Pisani, e dopo la sua morte lo Zeno, le diedero invano la caccia sotto Zara. La guerra si trascinò con varie vicende per tutta l'estate del 1380, e non terminò se non quando l'anno successivo Amedeo VI, il Conte Verde, si fece mediatore; allora i superstiti del blocco di Chioggia riebbero la libertà. La guerra però aveva stremato non soltanto Genova, ma anche Venezia, che per combattere Genova aveva dovuto venire a patti con gli alleati di lei, e segnatamente col re d'Ungheria, rinunziando alla Dalmazia.
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