chimica verde
chìmica vérde locuz. sost. f. – Denominazione di un nuovo approccio alla ricerca in campo chimico (spesso indicato con l’espressione inglese green chemistry), definitosi come tale a partire dagli anni Novanta del sec. 20°, che si occupa della progettazione e dello sviluppo di materiali, tecnologie e processi chimici aventi un minore impatto sull’ambiente rispetto a quelli tradizionali. È anche detta chimica sostenibile. L’elemento chiave che caratterizza la disciplina, distinguendola dalla normale attività di ricerca genericamente mirante alla riduzione della produzione di sostanze nocive o al loro smaltimento, è l’ambizione di rappresentare una sorta di nuovo paradigma generale (culturale, scientifico e tecnologico) che dovrebbe pervadere tutte le attività coinvolte nella progettazione e nella realizzazione di processi chimici, non solamente sulla scala industriale. In questo senso, la definizione di c. v. come branca o settore della chimica appare riduttiva. Per es., rientra in questa impostazione l’uso della chimica computazionale, della chemiometria, della chimica combinatoria e delle tecnologie informatiche (v. chemioinformatica) nella ricerca in campo farmaceutico, finalizzato a ridurre il volume di attività di sintesi organica tradizionalmente implicata dalla ricerca di nuovi principi attivi. Sempre nel campo della chimica organica sintetica, il concetto, di recente introduzione, di economia atomica (v.) è parte integrante del nuovo approccio. L’espressione green chemistry fu introdotta nel 1991 da Paul T. Anastas (docente presso la Yale University e, dal 2009, direttore dell’Office of research and development della Environmental protection agency), il quale, insieme a John C. Warner, sintetizzò in 12 principi basilari l’impostazione della chimica verde: 1) è preferibile evitare la produzione di rifiuti piuttosto che trattarli dopo che sono stati prodotti; 2) i metodi di sintesi devono essere progettati per massimizzare l’incorporazione nel prodotto finale di tutti i materiali usati nel processo; 3) le metodologie sintetiche devono essere il più possibile progettate per usare e generare sostanze che possiedono scarsa o nulla tossicità per la salute umana e per l’ambiente; 4) i prodotti chimici devono essere progettati preservando l’efficacia della loro funzione e riducendo al contempo la tossicità; 5) l’uso di sostanze ausiliarie (per es. solventi, agenti di separazione ecc.) deve essere reso il più possibile superfluo e queste sostanze, se usate, devono essere innocue; 6) i fabbisogni energetici devono essere riconosciuti per il loro impatto ambientale ed economico, e devono essere minimizzati; i metodi sintetici devono essere progettati per essere realizzati a temperatura e a pressione ambiente; 7) le materie prime devono essere rinnovabili piuttosto che esauribili ogni volta che questo sia tecnicamente ed economicamente praticabile; 8) bisogna ridurre l’uso di derivati; la produzione di derivati non necessari (gruppi bloccanti, processi di protezione/deprotezione, modifiche temporanee della struttura) deve essere evitata il più possibile; 9) i reagenti catalitici (il più possibile selettivi) sono da preferire ai reagenti stechiometrici; 10) i prodotti chimici devono essere progettati in modo tale che alla fine del loro ciclo di funzionamento non permangano nell’ambiente, ma si degradino fornendo prodotti innocui; 11) le metodologie analitiche necessitano di ulteriori sviluppi per consentire il monitoraggio e il controllo in tempo reale durante il processo, prima che abbia luogo la formazione di sostanze nocive; 12) le sostanze usate in un processo chimico e la forma in cui sono usate devono essere scelte in modo da minimizzare il rischio potenziale di incidenti chimici, compresi il rilascio di sostanza, le esplosioni e gli incendi.