CHIMICA DELLE SOSTANZE ORGANICHE NATURALI
È quel settore delle scienze chimiche che ha per oggetto lo studio della struttura, delle proprietà chimiche, delle trasformazioni delle sostanze organiche presenti negli organismi viventi (animali, piante o microorganismi), nonché del loro ruolo biologico.
Cenni storici. − Le origini storiche di questa disciplina non sono distinguibili da quelle della chimica organica.
L'uso di estratti naturali da fonti vegetali o animali, in particolare nella pratica medica, risale a tempi antichissimi: ma è solo nel secolo 18° che la manipolazione degli estratti naturali (motivata da interesse scientifico ma anche da finalità di lucro) porta all'isolamento delle prime sostanze chimicamente pure (definibili quali ''sostanze naturali'').
Lo studio di queste ultime fa nascere quella parte della chimica che prende il nome di chimica organica, definita da J. J. Berzelius nel 1827 ''chimica delle sostanze che si ritrovano nella materia vivente''. In epoca di poco successiva l'interesse verso il ruolo delle diverse sostanze e le trasformazioni chimiche che avvengono in vivo dà origine alla biochimica.
Dopo poco più di un secolo, e cioè verso la metà degli anni Trenta, la chimica organica (che viene ora definita in modo più ampio come ''chimica dei composti del carbonio'') riceve nuovo impulso a opera principalmente di C. K. Ingold e della sua scuola. Perde in parte il suo connotato originario di osservazione naturalistica e fenomenologica per acquistare una dimensione più raziocinante che privilegia la ricerca delle cause del comportamento chimico alla catalogazione delle strutture e delle proprietà delle sostanze. A questa svolta corrisponde l'inizio di una distinzione tra chimica organica e chimica delle sostanze organiche naturali (c. delle s.o.n.), hanno luogo i primi congressi di settore e compaiono collane di libri specializzati. I successivi trent'anni sono caratterizzati da uno sviluppo della c. delle s.o.n. intesa come parte della chimica organica. Ancora nel 1960 A. Todd, parlando allo International Symposium on The Chemistry of Natural Products, dice che "la chimica delle sostanze naturali è essenzialmente parte della chimica organica".
Dati gli stretti rapporti metodologici e concettuali, continua la fertilizzazione incrociata tra le due discipline: basti pensare alla continua identificazione di nuove strutture di sostanze naturali, vera sfida ai chimici organici che si dedicano alla sintesi, cioè all'ideazione di sequenze di reazioni capaci di riprodurre in laboratorio le molecole naturali. Tra i più brillanti esempi di sintesi di sostanze naturali vanno ricordati i lavori di R. B. Woodward, uno dei più grandi chimici di tutti i tempi.
Ma lo studio delle sostanze naturali, con la grandissima varietà di strutture che si ha occasione d'identificare, stimola direttamente la nascita di nuove teorie: lo studio degli steroidi (una classe di sostanze naturali) tiene a battesimo l'idea di conformazione, cioè della molteplicità di disposizioni spaziali che gli atomi costituenti le molecole possono assumere, molteplicità resa possibile dalla relativa libertà di rotazione intorno ai legami semplici. Questa idea, sviluppata da D. H. R. Barton all'inizio degli anni Cinquanta, rappresenta oggi uno strumento importante e di uso universale per comprendere le proprietà chimiche, chimico fisiche e biologiche delle sostanze organiche.
L'ultimo ventennio è caratterizzato da un deciso mutamento di obiettivi della disciplina. In precedenza era interesse prevalente la determinazione strutturale e la descrizione delle proprietà chimiche delle sostanze nuove, isolate da fonti naturali: adesso questi aspetti (che rimangono fondamentali) sono spesso le premesse per comprendere qual è il ruolo in vivo di una certa sostanza, qual è la sua origine, cioè la biosintesi, e il suo destino metabolico. La c. delle s.o.n., che sembra a questo punto confondersi con la biochimica, può essere distinta da quest'ultima considerando gli oggetti di studio di ciascuna di queste due discipline. Infatti, più che in una diversità di metodologie e di linguaggio, la differenza è che la c. delle s.o.n. ha per oggetto lo studio del metabolismo secondario, mentre la biochimica s'interessa al metabolismo primario (incluse quindi le macromolecole biologiche presenti in tutte le forme di vita, quali proteine e acidi nucleici).
Metabolismo primario e secondario. − Il metabolismo di una cellula, in qualunque sistema od organismo sia collocata, è legato alla presenza di alcune sostanze (per es. glucidi, amminoacidi) che, con meccanismi pressoché universali, vengono utilizzate per sopperire alle funzioni vitali (per es. sintesi proteica, metabolismo glucidico). Questo viene indicato come metabolismo primario.
Ma nelle cellule sono presenti molte altre sostanze, in una grande varietà: non sono essenziali alle funzioni vitali e rappresentano, se così si può dire, una sorta di specializzazione della cellula stessa, che diventa capace d'influenzare e regolare funzioni dell'intero organismo o addirittura influenzare funzioni di altri organismi (determinando per es. repulsione o attrazione tra individui della stessa specie o specie diverse); queste sostanze, indicate come metaboliti secondari, sono il risultato del metabolismo secondario.
Lo sviluppo della c. delle s.o.n. nel senso indicato (cioè attenzione verso il ruolo svolto dalla miriade di metaboliti secondari) rappresenta la naturale evoluzione di una disciplina che privilegia all'inizio la catalogazione e l'osservazione dei fenomeni, per chiedersi, in epoca più matura, quali sono le relazioni causa-effetto tra i fenomeni osservati. Ma lo sviluppo attuale dipende anche da alcuni fattori che saranno qui di seguito considerati, insieme a una descrizione dei diversi settori di attività caratteristici della disciplina stessa.
Settori di attività. − a) La determinazione strutturale delle sostanze coinvolte (una delle attività tradizionali) non richiede più la quantità di lavoro necessaria in passato. Determinare la struttura di una sostanza organica qualsiasi significa individuare la corretta sequenza degli atomi che la costituiscono, la loro disposizione spaziale e i legami che li uniscono. Questo lavoro, a differenza di altri tipi di analisi chimica, non può essere inquadrato in una serie di operazioni prevedibili e ripetitive. È un lavoro creativo che ha formato generazioni di chimici quando il progresso di altri settori (e la tecnologia) non aveva ancora offerto due formidabili strumenti: le separazioni cromatografiche e l'analisi strumentale.
Determinare la struttura di una sostanza (di origine naturale o di sintesi) significa, nella realtà, isolare innanzi tutto la sostanza in questione allo stato puro, cioè separarla dai moltissimi altri composti che la accompagnano. Hanno quindi un ruolo decisivo le tecniche di separazione, enormemente migliorate con la scoperta della cromatografia, che offre la possibilità di separare sostanze contenute in piccola quantità in miscele complesse.
Così mentre sono state dapprima oggetto di studio le sostanze più abbondantemente presenti negli organismi (o secrete da essi) si è passati gradualmente alle sostanze anche in tracce, ma di grande importanza biologica (tipico esempio, i feromoni, cioè quelle sostanze che, portando gli stimoli da un organismo all'altro, determinano il comportamento sociale degli individui).
Una volta separata una sostanza allo stato puro, le sole tecniche strumentali oggi in uso permettono (almeno nei casi di complessità limitata) di risolvere la struttura. Si può operare su quantità minime di sostanza (milligrammi o anche microgrammi), e anche ciò è funzionale allo studio di sostanze presenti in piccolissima quantità.
Tra le tecniche strumentali va menzionata innanzi tutto la risonanza nucleare magnetica, per l'universalità e semplicità di uso. Questa tecnica, offrendo preziose informazioni sulla posizione reciproca degli atomi (oggi è possibile avere informazioni incrociate, tra l'altro, sugli atomi di carbonio e d'idrogeno) e sul tipo di legame tra essi esistente, è un mezzo insostituibile nella determinazione di strutture incognite.
La spettrometria di massa è una tecnica più antica, che è servita, alle sue origini, a scoprire il fenomeno della isotopia con l'identificazione degli isotopi. Essa permette di trasformare in ioni (cioè in particelle cariche) le molecole delle sostanze: ioni che vengono poi separati in funzione della massa. Si possono così determinare i pesi molecolari e studiare gli ioni a massa inferiore che si generano per frammentazione degli ioni molecolari. Dallo studio di questi ioni-frammento si ottengono informazioni sulla struttura delle molecole in esame.
La diffrazione dei raggi X consente di avere, qualora si disponga di sostanze allo stato cristallino, una immagine della disposizione nello spazio degli atomi che formano la molecola (nella quasi totalità dei casi). Non è però di esecuzione semplice e si ricorre a essa in casi particolari.
La spettroscopia infrarossa, che consiste nella misura dell'assorbimento di radiazioni di lunghezza d'onda nella zona dell'infrarosso, permette la diretta osservazione dei legami presenti nella molecola in esame, mentre la spettroscopia ultravioletta, tecnica simile sotto alcuni aspetti, permette di riconoscere alcuni tipi di legame.
In sostanza, i vari metodi spettroscopici forniscono informazioni complementari, che possono essere interpretate attraverso la lettura incrociata dei dati: questi poi possono essere arricchiti trasformando la sostanza in esame con semplici reazioni chimiche e sottoponendo il derivato così ottenuto a nuove misure spettroscopiche.
Lo sviluppo dell'analisi strumentale ha di conseguenza svuotato di contenuto chimico (se così si può dire) la determinazione strutturale. In altre parole, mentre in passato la determinazione della struttura di sostanze naturali era una palestra per formare i chimici organici che dovevano cimentarsi con le moltissime e (talvolta) incomprensibili reazioni presentate da una sostanza a struttura incognita (per decifrare attraverso di esse la struttura) questo lavoro viene rapidamente portato a termine da ricercatori altamente specializzati nell'interpretazione dei dati strumentali. Naturalmente le quantità di sostanza oggi richieste per tale valutazione sono di gran lunga minori.
b) La biosintesi, cioè il modo con il quale la natura provvede alla sintesi di tante sostanze così diverse tra loro è stata, si può dire da sempre, oggetto di studio da parte dei chimici impegnati nel campo delle sostanze naturali.
Da un lato sono state formulate molte teorie biogenetiche, cioè pure ipotesi sulle vie utilizzate dagli organismi per sintetizzare le diverse sostanze, teorie spesso basate su sottili analogie strutturali esistenti all'interno di certe classi di sostanze. Dall'altro si è tentato di riprodurre in laboratorio reazioni che avevano presumibilmente luogo nel sistema vivente. Tra i pionieri di questi studi va ricordato J. N. Collie, che già alla fine dell'Ottocento pose le basi per comprendere l'origine delle acetogenine.
I risultati di queste ricerche, anche se hanno contribuito talvolta a dare un quadro più razionale della miriade di sostanze, sono stati complessivamente modesti fino agli anni Cinquanta, fino a quando cioè non sono stati disponibili isotopi (radioattivi o stabili), e quindi molecole ''marcate'' anche in specifiche posizioni. La possibilità di seguire le reazioni in vivo, utilizzando materiali marcati, consentì a J. Birch di ottenere i primi risultati sperimentali verso la metà degli anni Cinquanta: i grandi progressi in questo settore durante il successivo ventennio hanno permesso di comprendere l'origine di moltissimi metaboliti secondari e di raggiungere una classificazione di tutte le sostanze naturali, basata sulla loro origine.
c) Il ruolo in vivo delle sostanze naturali può essere considerato quale terzo settore della c. delle s.o.n.: quanto concerne cioè la funzione dei metaboliti secondari, il loro ruolo di messaggeri all'interno degli organismi oppure tra differenti organismi, e il meccanismo (a livello molecolare) con il quale svolgono questo ruolo. È chiaro come qui si tratti di un'area fortemente interdisciplinare nella quale possono essere richieste competenze di molte altre discipline (quali fisiologia, patologia, ecologia) il cui sviluppo ha dato nuovo impulso alla c. delle s.o. naturali.
In conclusione, si può dire che la c. delle s.o.n. si colloca tra chimica e biochimica, e ha per oggetto lo studio dei metaboliti secondari, delle funzioni che essi esplicano nell'organismo che le produce e nella vita di relazione dell'organismo nel suo ambiente.
Metaboliti secondari.- I metaboliti secondari presentano una varietà di strutture straordinaria. Ciascuno di essi può essere riscontrato in una singola specie (pianta o animale), ma può essere presente in una molteplicità di specie. Questo dipende dalla complessità della via biosintetica che porta a quella data sostanza. Più complessa è la biogenesi (cioè alto numero di passaggi guidati da specifici enzimi), e più specifica è la presenza di un certo metabolita. Per es., la nicotina che ha una biosintesi piuttosto semplice, è presente in numerose piante, mentre la brucina (un altro alcaloide) è presente solo in un genere di Loganiacee.
Una conseguenza di quanto detto sopra è che i metaboliti a struttura complessa sono importanti negli studi tassonomici (distribuzione di metaboliti secondari tra le specie), specialmente sotto l'aspetto della sistematica delle specie, generi, famiglie. Vi sono tuttavia eccezioni che sembrano smentire quanto detto. Per es., gli alcaloidi ergolinici sono sintetizzati da funghi e da piante superiori. Per giustificare questo fatto è stato anche ipotizzato un trasferimento di materiale genetico.
La presenza di metaboliti secondari fu riscontrata, all'inizio, quasi esclusivamente nelle piante. Lo studio di sostanze di origine vegetale è stato infatti la culla della chimica organica. In realtà, anche se le piante rappresentano straordinari produttori di metaboliti secondari, è caratteristico delle piante l'accumulo di questi ultimi. Animali e microorganismi tendono piuttosto alla escrezione dei loro metaboliti. Ciò sembra essere una conseguenza della peculiare caratteristica delle piante di riutilizzare queste sostanze per ulteriori trasformazioni. È dimostrato infatti che molti metaboliti secondari vengono ulteriormente trasformati. Si può così distinguere tra: sostanze inerti dal punto di vista metabolico; sostanze stabili in determinate condizioni di sviluppo fisiologico; sostanze soggette a continua formazione e trasformazione.
In moltissimi casi i metaboliti secondari vanno considerati come anelli di catene metaboliche. Per es., i glucosidi dell'alcool coniferilico, p-cumarilico e sinapilico sono metaboliti secondari, ma rappresentano anche i precursori della lignina, cioè di quel polimero che tiene insieme le fibre cellulosiche per formare il legno.
I metaboliti secondari noti sono decine di migliaia, ed è probabile che questo numero sia destinato a crescere enormemente, dato che (riferendosi per es. agli animali) viene ogni giorno riconosciuta l'origine chimica di un certo comportamento o di qualche patologia.
Classificazione dei metaboliti secondari. − Attraverso il tempo si sono intrecciate molte classificazioni di questi metaboliti, che fanno riferimento alla funzione (per es. ormoni, vitamine), alla tassonomia (per es. alcaloidi dell'oppio, della coca) o alla chimica (per es. steroidi, terpeni). Più attuale è forse la classificazione basata sulla loro biosintesi.
Tutti i metaboliti secondari traggono origine (com'è facilmente intuibile) da sostanze coinvolte nel metabolismo primario; ma nella grandissima maggioranza dei casi, poche tra queste ultime sono precursori di metaboliti secondari. I più importanti ''mattoni'' per la costruzione di tutti (o quasi tutti) i metaboliti secondari sono limitati ai seguenti:
1) un'unità a due atomi di carbonio (unità C2), derivante dall'acido acetico, che si combina linearmente (legami testa-coda): ne derivano molte sostanze presenti prevalentemente nelle piante (acetogenine), gli stessi acidi grassi e sostanze correlate di altissima importanza fisiologica (prostaglandine, leucotrieni);
2) la condensazione di tre unità C2 attraverso diversi passaggi che coinvolgono la perdita di un atomo di carbonio, porta a un'unità a cinque atomi di carbonio (C5, unità prenilica) e la successiva combinazione regolare di queste unità porta a sostanze aventi un numero di atomi di carbonio pari a cinque o suoi multipli, largamente distribuite in natura, chiamate terpeni: a partire da questi ultimi successive reazioni portano agli steroidi, alla cui classe appartengono il colesterolo e gli ormoni sessuali;
3) un terzo gruppo, più eterogeneo, trae origine dall'eritroso (un glucide a quattro atomi di carbonio) e dall'acido piruvico: incidentalmente, l'acido piruvico stesso, a tre atomi di carbonio, è il precursore dell'unità C2 sopra menzionata, e deriva direttamente dal metabolismo del glucosio. A questo gruppo appartengono l'acido chinico, largamente distribuito nelle piante e gli acidi scichimico e deidroscichimico che sono importanti precursori delle moltissime sostanze fenoliche presenti nelle piante, e di un amminoacido, la fenilalanina, che è a sua volta il precursore dell'acido cinnammico e dei suoi derivati, tra i quali i tre fenoli precursori della lignina. Questa via dà luogo generalmente a sostanze a struttura aromatica contenenti unità C6-C1, C6-C2, C6-C3 (C6 esprime la struttura ciclica a sei atomi, tipica del sistema aromatico più semplice) o un numero di atomi corrispondente a multipli di queste unità;
4) quasi tutte le sostanze azotate che si ritrovano in natura (dagli alcaloidi alle porfirine, una delle quali è presente nella emoglobina) sono sintetizzate a partire dagli amminoacidi facenti parte del metabolismo primario (amminoacidi che si ottengono per idrolisi delle proteine).
Le diverse combinazioni relative ai precursori a cui abbiamo accennato sono rese più numerose dalla possibilità di intreccio tra più vie tra quelle menzionate; per es., un'unità C6-C3, può unirsi con unità di altro tipo, per es. tre C2 (caso dei flavoni, una classe di sostanze diffusa nelle piante dove svolgono funzioni molto differenziate).
Infine, esistono meccanismi atti a introdurre un atomo di carbonio in forma più o meno ossidata, e ciò rende ancora più numerosa la varietà di prodotti che possono formarsi.
Ruolo dei metaboliti secondari. − Possiamo a questo punto chiederci qual è il ruolo di tutte queste sostanze sintetizzate dagli organismi.
In natura ciascun organismo è protagonista di una battaglia continua per la sopravvivenza (individuale e di specie): questa si traduce nella ricerca di alimenti, di accoppiamento e in tentativi di evitare le attenzioni dei predatori; significa anche competizione con individui della propria o di altre specie. Questa battaglia determina l'evoluzione, che avviene attraverso la modifica del patrimonio genetico di una certa specie; ma mentre raramente le modifiche del metabolismo primario sono vantaggiose per la sopravvivenza, la modifica del metabolismo secondario, cioè la produzione di nuove sostanze, può migliorare le possibilità di sopravvivenza degli individui. Così le piante, che a differenza degli animali non possono (quasi) migrare, ingaggiano con l'ambiente una battaglia prevalentemente di tipo chimico, che rende conto della gran quantità di metaboliti secondari presenti in questi organismi. Per es., le piante si difendono dai predatori (gli erbivori), producendo sostanze tossiche, e dai microrganismi invasivi, producendo sostanze antibatteriche e antifungine (sostanze fenoliche).
Naturalmente, animali e microrganismi reagiscono ''imparando'' a tollerare le sostanze tossiche (cioè producendo enzimi in grado di ''neutralizzarle'').
Gli insetti, la cui evoluzione è strettamente legata a quella delle piante, sono addirittura in grado di utilizzare le sostanze prodotte dalle piante per la propria difesa. Per es., la farfalla Monarca (Danaus plexippus) deposita le sue uova su piante (quali Liliacee, Ranunculacee e altre) che producono glucosidi cardiaci, che sono sostanze amare ed emetiche. Allo stato larvale l'insetto assume questi glucosidi, che rimangono immagazzinati nel suo corpo, e gli uccelli si guardano bene dal cibarsene.
Da tutti questi equilibri instabili nasce il continuo divenire che riscontriamo in natura. La c. delle s.o.n. ci aiuta a comprendere il mondo che ci circonda proprio perché il mondo è fatto di sostanze chimiche. Ma questa disciplina ci suggerisce anche le molecole che dobbiamo produrre per curare le malattie. Una buona percentuale dei farmaci esistenti deriva più o meno direttamente da sostanze naturali: basta pensare all'uso delle piante medicinali e alle sostanze in esse contenute, nonché agli antibiotici, che sono quasi sempre metaboliti secondari di microorganismi, sia pure trasformati con adatte reazioni. In questo senso, lo studio delle sostanze naturali ci riserva continue sorprese: è recente la notizia dell'isolamento, dal comune aglio, di una sostanza molto efficace quale antiaggregante piastrinico, di una sostanza quindi potenzialmente capace di divenire un farmaco prezioso per combattere patologie di tipo circolatorio.
Lo studio delle sostanze naturali e della loro origine in vivo rappresenta anche il punto di partenza per realizzare delle reazioni chimiche con enzimi o con i sistemi enzimatici presenti in cellule o microorganismi. La preparazione di antibiotici su scala industriale con tecniche di fermentazione rappresenta l'esempio più noto, ed è probabile che l'impiego di enzimi e microorganismi nella produzione chimica (impiego che costituisce uno dei settori delle biotecnologie) divenga sempre più comune.
Infine, ma non ultimo, vi è l'apporto di conoscenza di questa disciplina al mondo della natura. Solo una migliore conoscenza di questo mondo, dei delicati equilibri che lo presiedono, può fare assumere agli uomini un atteggiamento di maggior rispetto verso l'ambiente. Rispetto che deve dare origine a una diffusa consapevolezza dei limiti propri del mondo in cui viviamo, e tradursi in modelli di vita capaci di trasmettere sufficienti risorse alle generazioni future.
Bibl.: J. B. Harborne, Introduction to ecological biochemistry, Londra 19822; M. Luckner, Secondary metabolism in microrganisms, plants and animals, Berlino 19862; J. Mann, Secondary metabolism, Oxford 19872.