chiasmo
Designa nella terminologia moderna la disposizione inversa dei termini corrispondenti di due membri in un periodo. Tale figura retorica presuppone che i membri così disposti abbiano uno sviluppo simile, sia che concettualmente si contrappongano, sia che si accostino in un rapporto analogico.
Nella trattatistica classica e medievale in genere non è contemplata espressamente questa figura, la quale rientra nella trattazione dell'isocolon o dell'antitesi, come uno dei modi di disporre i membri uguali e paralleli o le proposizioni che contengono concetti opposti. Nella Poetria nova di Goffredo di Vinsauf l'esempio di compar, ossia di isocolon, è costituito appunto da un c. (" servemus honesta / et mala vitemus ", vv. 1129-1130). L'uso frequente dello stile segmentato nella letteratura medievale, e soprattutto nella prosa, portò al frequente impiego del c. per l'esigenza di evitare la monotonia nella successione di membri analoghi. In questa prospettiva s'inserisce l'uso del c. nella prosa scientifica di D., sia volgare che latina.
Nel Convivio, accanto a forme assai semplici come ragionando di quella; perché, di quella ragionando (II VIII 7); contra la reverenza del Filosofo non parlo... così non parlo contra la reverenza de lo Imperio (IV VIII 10); uno è veracissimo e un altro è fallacissimo, e certi meno fallaci e certi meno veraci (XII 18), troviamo la ricerca preziosa di un duplice c. costruito con vocaboli della stessa radice: Intra operarii e artefici di diverse arti e operazioni, ordinate a una operazione od arte finale, l'artefice o vero operatore... (VI 6).
Nella prosa latina il c. è adoperato per concludere in modo conciso una questione (non quod aliud esset asinae illud quam rudere, nec quam sibilare serpenti, VE I II 6), o per dar evidenza a una sorta di aforisma (ignorantia solet esse causa litigii, sic et hic litigium causa ignorantiae sit magis, Mn III III 3), o semplicemente per collegare in modo non volgare il discorso (solvere leges et decreta Imperii, atque leges et decreta ligare, VIII 2; ad hoc quod dicunt isti trahenda sunt, sed referenda sunt ad sensum illius, IX 18). Non frequente, ma certo più rivolto a un'esigenza ornamentale, è il c. quale l'incontriamo nelle Epistole. Si vedano i casi seguenti, in cui lo schema chiastico non fa che dar rilievo retorico all'isocolon e alla tautologia: Exsicca lacrimas et maeroris vestigia dele (V 6), substiterunt suspiria lacrimarumque diluvia desierunt (VII 5), veneratione recepi, intellexi devote (IX 2). Dello stesso genere è un c., fra i pochi, nella prosa della Vita Nuova: desiderio malvagio e vana tentazione (XXXIX 6). Una ripetizione, per ragioni logiche, quale si Delia geminatur in coelo, geminetur et Delius (Ep VI 8) rivela la sua fondamentale sostanza retorica, quando si pensi che l'evidenza del c. è ottenuta mediante il ricorso alla terminologia mitologica che attribuisce nomi affini ai due astri.
Il c. interviene sovente nella strutturazione dei versi, quando questi ultimi si dispongono parallelamente come isocola. Notevole per valore espressivo è il c. di Vn XXVI 10 1-2 Vede perfettamente onne salute / chi la mia donna tra le donne vede, dove è appunto lo schema retorico a dar evidenza all'identificazione fra la donna e la salute. Meno aderenti alla simmetria dello schema sono alcune coppie di versi della Commedia: Giustizia mosse il mio alto fattore; / fecemi la divina podestate (If III 4-5); Qui si convien lasciare ogne sospetto; / ogne viltà convien che qui sia morta (III 14-15); DeÏdamìa ancor si duol d'Achille, / e del Palladio pena vi si porta (XXVI 62-63); Dallato m'era solo il mio conforto, / e 'l sole er'alto (Pg IX 43-44). Interessante è l'uso del c. nella descrizione degli intrecciamenti e trasformazioni dei ladri, perché lo schema retorico sembra intenzionalmente convenire all'intricato fenomeno; il poeta, dopo due versi paralleli (If XXV 52-53), ne fa seguire quattro disposti in forma chiastica, quantunque la simmetria riguardi soprattutto i due versi centrali: li diretani a le cosce distese, / e miseli la coda tra 'mbedue (vv. 55-56). Una particolare ricerca di simmetria troviamo nel c. di Pd XIV 28-29 Quell'uno e due e tre che sempre vive / e regna sempre in tre e 'n due e. 'n uno.
Ma talora il c. si libera dai limiti del verso, disponendosi nell'ambito della terzina e contribuendo appunto a delimitarla dividendola in due membri pressoché simili. In Pg XXXIII 88-90 è il verso mediano a dividere, con la sua cesura, i due membri: e veggi vostra via da la divina / distar cotanto, quanto si discorda / da terra il ciel; sicché i due verbi, che evitano la ripetizione per mezzo di una variatio, si oppongono ai due estremi del verso. In Pd XV 1-3 il primo membro occupa i primi due versi, ma il c. è ben evidenziato dall'antitesi dei due aggettivi posti all'inizio e alla fine della terzina (Benigna... iniqua). In Pd XX 22-24, sebbene i due membri, uguali e divisi dalla cesura del secondo verso, non si corrispondano in ogni parte, come nel primo esempio addotto, la forma chiastica è visibile confrontando il primo e il terzo verso, sicché il secondo verso viene a costituire una pausa artificiosa e singolare: E come suono al collo de la cetra / prende sua forma, e sì com'al pertugio / de la sampogna vento che penètra, / così...
Più frequente è il c. concluso nella misura di un solo verso: i due membri corrispondono generalmente ai due cola dell'endecasillabo, ma comunque presentano la stessa lunghezza metrica (cfr. Rime LXVII 15 Noi darem pace al core, a voi diletto; If VIII 89 Vien tu solo, e quei sen vada; Pg XXIX 78 fa l'arco il Sole e Delia il cinto; XXXIII 58 ruba quella o quella schianta; Pd VII 48 tremò la terra e 'l ciel s'aperse; XXIV 40 ama bene e bene spera).
Attraverso lo schema chiastico vengono messi in evidenza, ai due estremi del verso, i termini essenziali, sia che si ripetano con una variatio (Color d 'amore e di pietà sembianti, Vn XXXVI 4 1; con voi nasceva e s'ascondeva vosco, Pd XXII 115; ti conviene schiarar: dicer convienti, XXVI 23), sia che si oppongano (che va col cuore e col corpo dimora, Pg II 12; Lo dir de l'una e de l'altra la vista, XIV 73; si tenne Diana, ed Elice caccionne, XXV 131; di me s'imprenta, com'io fe' di lui, Pd IX 96; fec'io in tanto in quant'ella diceva, XXVI 88; che cadde di qua sù, là giù si placa, XXVII 27), sia che si distinguano collegandosi in vario modo attraverso la corrispondenza dei termini centrali dell'intera figura: Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano (If IV 90); Siena mi fé, disfecemi Maremma (Pg V 134); Le braccia aperse, e indi aperse l 'ale (XII 91); Cesare fui e son Iustiniano (Pd VI '10); più dolci in voce che in vista lucenti (X 66). Talora è evidente l'esigenza di evitare la monotonia descrittiva: e 'l ventre largo, e unghiate le mani (If VI 17); piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre (XIII 14). Un c. perfetto per la simmetria dei termini che si ripetono è quello famoso di Pd XIV 1 (Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro), dove la figura retorica, più che essere un ornamento dello stile, vuol riprodurre l'immagine del fenomeno.
Il c. ricorre a volte, ma assai di rado, indipendentemente dai limiti del verso; e tuttavia è proprio la spezzatura del verso a distinguere i due membri, come in Pd XV 76-77 ( 'l sol che v'allumò e arse, / col caldo e con la luce). Notevolmente artificiosa è l'indipendenza dai limiti del verso di un c. come mamma / fummi, e fummi nutrice (Pg XXI 97-98), dove tuttavia la ripetizione all'inizio del verso è ricercata per un particolare effetto emotivo.