FANCELLI, Chiarissimo
Figlio di Antonio di Alessandro, nacque a Settignano (Firenze) intorno agli anni Ottanta del sec. XVI e fu iniziato allo studio delle arti plastiche nella bottega di G. Caccini. Risale al 1609 la sua prima opera oggi nota: il Putto con stemma mediceo e delfino nel Museo degli argenti a Firenze (Pizzorusso, 1989). La scultura, collocata in origine nella Galleria degli Uffizi, manifesta nella levigatezza del modellato e nella conduzione fluida e dinamica della figura riferimenti diretti allo stile del Caccini e di Andrea di Michelangelo Ferrucci, oltre che analogie con le opere del Tribolo.
Nel 1614 il F. si immatricolò all'Accademia del disegno di Firenze (Arch. di Stato di Firenze, Accademia del Disegno 57, cc. 122 s.) e nel 1617-1618 eseguì il restauro di una statua antica con Bacco, oggi perduta (Bocci, 1991); poco più tardi scolpì il Ritratto del granduca Cosimo II de' Medici per la loggia del Grano, eretta nel 1619 su progetti dell'architetto G. Parigi. Databili a un periodo prossimo all'esecuzione del busto mediceo sono altri due ritratti marmorei del Granduca, ubicati rispettivamente in borgo degli Albizzi e in borgo Ss. Apostoli a Firenze (Langedijk, 1981). Per un ciclo destinato al prato delle colonne, nel giardino di Boboli, il F. eseguì all'inizio del terzo decennio del Seicento il marmo con Vulcano, ancora visibile nello stesso luogo. La statua, eseguita in contemporaneità con opere di altri artisti toscani, costituiva parte integrante di un complesso tema iconografico allusivo metaforicamente alla figura di Venere (Pizzorusso, 1989). L'alta qualità della scultura, che palesa analogie stilistiche con alcune immagini del Caccini, di G. Silvani e di F. Palma, attesta l'abilità dell'artista in opere di grande formato e la perizia esecutiva nell'espressione del volto e nella resa armoniosa dei capelli e della barba. Al Vulcano, per il quale non sono noti riferimenti archivistici puntuali, seguì nel 1621 l'esecuzione del gruppo delle Tre Grazie destinato allo stesso giardino e al momento non identificato.
Le commissioni granducali favorirono l'affermazione del F. nell'ambito della scultura fiorentina e come sintomo di una notorietà già acquisita possono essere menzionate alcune allogazioni importanti. Dalla biografia dell'artista redatta dal Baldinucci (1681-1728) apprendiamo infatti che il F. ebbe "dall'abate Fabbroni incumbenza di fare diciotto statue per la maestà della regina di Francia, detta la regina madre, nelle quali dovevansi rappresentare i dodici mesi dell'anno, le quattro Stagioni, il Tempo e la Fortuna: delle quali è fama che egli quattro solamente ne conducesse, due toccassero a fare a Antonio Novelli, una a Lodovico Salvetti, un'altra a Francesco Generini, ed una finalmente a Bartolomeo Cennini" (IV, pp. 421 s.). Se non sono note informazioni supplementari sulla serie eseguita per Maria de' Medici, regina di Francia e figlia del granduca Francesco I di Toscana, assai cospicua risulta invece la documentazione sulle statue di S. Maria Maddalena e S. Cristina nella cappella dell'Annunziata nella cattedrale di Pisa (Tanfani Centofanti, 1898). Capolavori indiscussi dell'attività del F., le opere, precedute da due modellini (finora non identificati), furono realizzate tra il 1622 e il 1625 su commissione delle granduchesse toscane Maria Maddalena d'Austria e Cristina di Lorena. Le statue, che recano sulle basi la firma dell'artista, furono stimate il 22 luglio 1625 dagli scultori F. Palma e G. F. Susini e valutate il prezzo di 900 scudi. Condotte con cura estrema e con virtuosismi esecutivi particolari, le due immagini risultano delineate con un modellato libero e personalizzato, non privo di effetti pietistici e meditativi. Degna di interesse è soprattutto la formulazione iconografica, che alterna alla discinta ed estatica figura di Cristina la rigida e castigata Maria Maddalena, ancora memore dei dettami del decoro postridentino (Bellesi, 1989).
Il successo ottenuto con le statue della cappella dell'Annunziata favorì l'allogazione all'artista di un pulpito da eseguirsi nella stessa primaziale, con alcuni dei pezzi rimossi dall'antico pergamo di Giovanni Pisano. Il celebre pergamo del 1310, rimasto illeso nell'incendio che divampò all'interno della cattedrale nel 1595, era stato smontato infatti tra il 1599 e il 1602 e le sue parti smembrate erano state collocate in varie zone dell'edificio. Nel 1626, per incarico dell'operaio del duomo C. Ceuli, il F. iniziò il montaggio del nuovo pulpito, che, come da accordi prestabiliti, era stato preceduto da un modellino; fu ultimato nel 1627 (Tanfani Centofanti, 1898). La mancata conformità, nell'esecuzione, al progetto originario fu causa di lunghe vertenze legali, che coinvolsero anche il granduca Ferdinando II de' Medici. Dopo stime e testimonianze accurate, il F. fu condannato nel 1629 a condurre a compimento il pulpito nella forma convenuta. Terminata nel 1630, l'opera fu smontata nel 1926 in previsione del rimontaggio del pergamo del Pisano. Un'immagine del pulpito allestito dal F. è visibile in una riproduzione fotografica dell'Archivio Brogi di Firenze (n. 3456).
In data 13 febbr. 1622 il F. fu coinvolto in una lite giudiziaria contro V. Dati, per un'opera non specificata, e il 3 dicembre dello stesso anno comparì come garante nell'atto di immatricolazione dello scultore C. Cappelli, padre del più noto Damiano (Arch. di Stato di Firenze, Accademia del disegno 92, cc. 107 s., e Accademia del disegno 57, c. 161 r). Nei mesi di agosto e di settembre del 1626 intentò causa contro lo scultore fonditore G. P. Della Bella per i termini di consegna non rispettati di una statua con Ercole. Dai documenti apprendiamo che il F. si era rivolto probabilmente al Della Bella per la fusione di una sua opera in bronzo e che nella commissione esaminatrice furono eletti G.F. Susini e F. Generini (Arch. di Stato di Firenze, Accademia del disegno 93, cc. 22r e 23r). Il nome del F. compare per l'ultima volta nel registri di "Atti e Sentenze" dell'Accademia nel 1630: il 24 aprile fu nominato tra gli stimatori per la valutazione di alcune sculture di P.P. Albertini in palazzo Castelli, oggi Marucelli Fenzi (Pizzorusso, 1989).
Il F. morì a Firenze e il 23 maggio 1632 venne sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata.
Da un documento datato 30 giugno 1632 apprendiamo che l'artista risiedeva nel gonfalone del Bue nel quartiere di S. Croce e che aveva quattro figli: Antonio, Giovanni, Carlo e Domenico. Ad essi andarono i beni del F. comprendenti soprattutto appezzamenti di terra nei comuni di Campi Bisenzio e di Laterina (Arch. di Stato di Firenze, Decime granducali 2395, cc. 107 r v).
Figura di primo piano nel panorama artistico del terzo decennio del Seicento a Firenze, conciliò nelle sue opere la lezione del Caccini con i nuovi linguaggi diffusi da F. Palma, G. Silvani e A. Ubaldini. La sua bottega, ubicata inizialmente in via Ghibellina e poi presso il ponte alle Grazie, costituì la fucina delle nuove generazioni artistiche. In essa si formarono i fratelli D. e G. B. Pieratti e G. Gonnelli, detto il Cieco di Gambassi.
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno ... [1681-1728], a cura di P. Barocchi, v. Indice, a cura di A. Boschetto, VII, Firenze 1975, p. 224; F. Titi, Guida... nella città di Pisa, Lucca 1751, p. 33; A. Da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, I, Livorno 1787, pp. 136, 140, 159; F.M. Soldini, Ilreal giardino di Boboli nella sua pianta e nelle statue, Firenze 1789, p. 75; R. Grassi, Descriz. storica e artistica di Pisa…, parte artistica, sezione prima, Pisa 1837, pp. 73, 78; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1898, pp. 109-114; F. Gurrieri-J. Chatfleld, Boboli Gardens, Firenze 1972, p. 58; E. Carli, Ilpergamo del duomo di Pisa, Pisa 1975, p. 10; K. Langedijk, The portraits of the Medici 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, pp. 559 s.; C. Caneva, Ilgiardino di Boboli, Firenze 1982, pp. 23, 51; C. Casini, in R. P. Ciardi-C. Casini-L. Tongiorgi Tomasi, Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Pisa 1987, pp. 236-239; S. Bellesi, Scuole e tendenze scultoree fiorentine tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, in P. Bernini. Un preludio al barocco (catal.), Sesto Fiorentino 1989, pp. 38 s., 44; C. Casini, in Il duomo di Pisa. Il battistero. Il campanile, a cura di E. Carli, Firenze 1989, pp. 72, 74, 81; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove. Sculture e scultori fiorentini del Seicento, Firenze 1989, pp. 7, 19 ss., 58 s., 74, 94, 105; P. Bocci, Alcuni restauri del Carradori nella Galleria di Firenze, in Critica d'arte, 1991, 5-6, p. 83; Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, Torino 1993, II, figg. 130-133; S. Blasio, ibid., I, p. 43; S. Bellesi, ibid., I, p. 77; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 241.