CHIARAMONTE, Manfredi, il Vecchio, conte di Modica
Figlio, probabilmente primogenito, di Federico e di Marchisia Profoglio (Prefolio), il C. apparteneva a una nobile famiglia siciliana.
Tuttavia, al momento della sua nascita, avvenuta sembra non molto tempo dopo la metà del secolo XIII, i Chiaramonte non si erano ancora distinti in nessun modo e mancano completamente notizie attendibili sulle loro origini. È poco probabile che risalissero al tempo dei Normanni, tesi sostenuta soprattutto dall'Inveges (pp. 161 ss.) e ripresa da tutta la storiografia successiva. L'unica cosa che si può affermare con certezza è che la fortuna della famiglia comincia proprio con il C. e con il fratello Giovanni, i quali riuscirono, grazie agli sconvolgimenti seguiti al Vespro, a crearsi una solida base patrimoniale e ad acquistarsi un posto di grande rilievo alla nuova corte aragonese.
Comunque, già prima del Vespro il padre del C. aveva potuto incrementare il patrimonio familiare, pare soprattutto grazie al suo matrimonio con Marchisia Profoglio, discendente da una famiglia comitale agrigentina che aveva ereditato vari grandi feudi nella zona di Agrigento dai genitori, e dallo zio Federico il casale di Caccamo, non lontano da Palermo. Marchisia fondò e dotò nel 1299 il monastero delle cisterciensi ad Agrigento e morì in questa città intorno al 1300. È dunque molto probabile che una buona parte dei feudi nell'Agrigentino, che già ai primi del Trecento risultano in mano della famiglia Chiaramonte - Favara, Comiso e Mussaro (quest'ultimo comprato nel 1305 dalla Chiesa agrigentina in cambio di Margidirami) tenuti da Giovanni e Racalmuto e Siculiana tenuti da Federico, i due fratelli del C. -, provenissero dall'eredità di Marchisia. Caccamo, il cui possesso le era stato confermato da Pietro III d'Aragona per i servigi resi alla regina Costanza, fu data da Marchisia al C. stesso ancor prima della sua morte.
A questo primo nucleo di possedimenti il C. poté aggiunge presto un feudo di ben altre dimensioni: la contea di Modica con Ragusa e Scicli. Alla base di quest'acquisto stava anche questa volta un matrimonio che avrebbe dato frutti maggiori di quanto il C. stesso forse si era aspettato. In data imprecisata il C. sposò infatti Isabella figlia di Federico Musca, conte di Modica già al tempo del Vespro, che fu uno dei cavalieri scelti da Pietro III d'Aragona per accompagnarlo al duello con Carlo I d'Angiò (i Musca del resto avevano anch'essi beni nell'Agrigentino). Non è però del tutto chiaro come la contea passasse nelle mani del Chiaramonte. Pare comunque che nel 1295 i Musca rimanessero fedeli a Giacomo II d'Aragona, mentre il C., dopo iniziali perplessità, decise di abbracciare la causa di Federico d'Aragona, il quale dopo la sua incoronazione nel marzo del 1296 a Palermo, come premio deve avergli concesso la contea confiscata al suocero oppure al cognato.
Fino ad allora il C. non si era ancora distinto in modo particolare, né è noto il suo atteggiamento al momento del Vespro stesso. Da documenti molto posteriori (una controversia con la Chiesa agrigentina nel 1305) si può forse desumere che egli, quando scoppiò la rivolta contro gli Angioini, abbia occupato la cosidetta Foresta, terra demaniale nei pressi di Agrigento, della quale forse era stato forestario regio. La Chiesa di Agrigento, in base ad un articolo della pace di Caltabellotta del 1302 che prevedeva la restituzione alle chiese di tutti i beni alienati nel periodo dopo il Vespro, nel 1305 citò il C., il quale però oppose alle rivendicazioni ecclesiastiche la concessione regia della Foresta. La causa si concluse con lo scorporo della Foresta dal tenimento di Miseto che la Chiesa agrigentina poté provare di aver posseduto già al tempo degli Angioini. Nel 1286 il C. aveva preso parte alla campagna aragonese in Calabria, dove era stato catturato con uno stratagemma dalla signora del castello di Morano, che era rimasta fedele agli Angioini, ed era stato costretto a riscattarsi con il versamento di una forte somma di denaro.
La vera ascesa politica del C. cominciò con l'avvento al trono di Federico III d'Aragona. (Federico II come re di Sicilia). Le circostanze che avevano portato alla proclamazione a re di Sicilia del fratello minore di Giacomo II d'Aragona - la rinuncia di Giacomo all'isola a favore degli Angioini e la conseguente opposizione della popolazione isolana - avevano favorito proprio quei nobili e cittadini autorevoli che al momento giusto si erano staccati da Giacomo accordando il proprio appoggio a Federico non senza ottenere cospicue concessioni sul piano politico e patrimoniale. Il C., oltre alla vasta contea di Modica, ottenne allora anche l'ufficio di siniscalco regio che sovraintendeva all'amministrazione della casa del re e delle numerose masserie e foreste regie che erano sparse in tutta l'isola.
Negli anni seguenti il C. combatté valorosamente nella guerra riesplosa con nuova violenza dopo l'incoronazione di Federico III (25 marzo 1296) che aveva sconvolto tutti gli accordi presi in precedenza tra Angioini e Aragonesi: si trattava ormai di combattere su due fronti, contro le forze congiunte di Carlo II d'Angiò e di Giacomo d'Aragona. Ma anche nell'isola stessa si produssero gravi contrasti quando Ruggero di Lauria, il potente ammiraglio che era stato uno degli artefici principali dell'elevazione di Federico, tornò sui suoi passi ribellandosi contro il nuovo sovrano. Quando si manifestarono i primi screzi tra il re e il Lauria, tra la fine del 1296 e l'inizio del 1297, il C. e Vinciguerra da Palizzi erano ancora pronti ad offrirsi come garanti presso il re della sua lealtà, ma si erano ingannati: nella primavera del 1297 l'ammiraglio passò definitivamente dalla parte di Giacomo, attirandosi tra l'altro l'odio inestinguibile dei due garanti. Nella primavera del 1299 il C. riconquistò Pietraperzia, datasi ai nemici dopo lo sbarco di Giacomo II e di Roberto duca di Calabria in Sicilia. Non pare che abbia partecipato alla sfortunata battaglia navale di Capo d'Orlando, ma insieme con il Palizzi, Matteo da Termini ed altri grandi del Regno combatté nella terza schiera dell'esercito siciliano nella battaglia di Falconara (1º dic. 1299) che si concluse con la sconfitta delle truppe angioine comandate dal principe Filippo di Taranto e la cattura del principe stesso. Nel 1299 anche Ragusa era passata per tradimento nelle mani dei nemici e solo nel 1301 il C. poté riconquistarla dopo l'incontro di Federico III con Roberto di Calabria a Siracusa.
La pace di Caltabellotta (29 ag. 1302) concesse alla Sicilia quasi un decennio di tranquillità, durante il quale il C. si dev'essere occupato prevalentemente dell'amministrazione e dell'ingrandimento del suo patrimonio. Ma quando con la discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo si riaccesero i vecchi contrasti, anche il nome, del C. appare di nuovo in prima fila sulla scena politica. Nel 1312 Federico III lo incaricò di rappresentarlo in occasione dell'incoronazione imperiale di Enrico e di concludere con lui un'alleanza, le modalità della quale erano state discusse da quasi un anno. Verso la metà di giugno il C. giunse con il suo seguito a Roma, dove il 29 fu celebrata la solenne incoronazione di Enrico VII. Il 4 luglio successivo firmò l'alleanza dei due sovrani diretta soprattutto contro il nemico comune Roberto di Napoli, e il giorno seguente prestò all'imperatore il giuramento di fedeltà per un feudo imperiale di 200 marchi annui "de imperiali camera percipienda". Poco tempo dopo egli tornò in Sicilia.
La guerra era diventata inevitabile: mentre Enrico VII cercava inutilmente di sottomettere Firenze, la potente alleata di Roberto d'Angiò, il C. all'inizio, del 1313 salpò con quattro galere, duecento cavalieri e, soprattutto, la cospicua somma di sessantamila fiorini, parte dei centomila promessi da Federico III come sussidio negli accordi del luglio 1312. Alla metà di febbraio il C. arrivò a Pisa e si presentò poco dopo al campo imperiale davanti a Poggibonsi, dove risulta presente infatti il 23, quando Enrico VII emise la sentenza contro i vassalli infedeli dell'Impero in Toscana. Tornato a Pisa insieme alla corte, il 18 aprile l'imperatore lo nominò vicario, imperiale di Pisa e gli concesse il 16 maggio successivo un altro feudo nella forma di 1.500 fiorini annui.
Il 1º ag. 1313 Federico iniziò l'offensiva contro la Calabria e all'inizio di questo mese anche il C. si imbarcò di nuovo per ritornare in Sicilia, con l'incarico di coordinare le operazioni militari e di trasmettere al suo re l'ordine dell'imperatore di congiungersi con la sua flotta a quella pisano-genovese per attaccare unitamente il Regno. Il C. raggiunse Federico III alla fine di agosto in Calabria e in seguito si dev'essere unito alla flotta siciliana comandata dal re che il 30 agosto, salpò da Milazzo. Ma poco dopo, probabilmente all'altezza di Stromboli, Federico ricevette la fatale notizia che Enrico VII era morto improvvisamente il 24 ag. 1313 a Buonconvento. Da quel momento scarseggiano le notizie sul Chiaramonte. Partecipò al Parlamento celebrato dal 6 al 10 genn. 1314 a Terranova (Eraclea) e sottoscrisse come testimone la solenne protesta di Federico III contro l'invasione di Roberto d'Angiò. Il 16 dicembre dello stesso anno figura nel documento con cui fu concluso un armistizio tra Federico e Roberto d'Angiò.
Si afferma di solito che morì nel 1321 a Palermo. Ma la circostanza che dopo il 1314 non si hanno più sue notizie e che già nel 1317 suo fratello Giovanni risulta investito dell'ufficio di siniscalco regio (Gli atti della città di Palermo, p. 187) fa pensare che a quell'epoca egli fosse già morto.
Dal suo matrimonio con Isabella Musca erano nati due figli. Giovanni, che gli successe nella contea di Modica, e Costanza, sposa di Francesco Ventimiglia conte di Geraci, la quale fu all'origine dei violenti contrasti tra le due fazioni baronali dei latini e dei catalani che nel corso del secolo XIV dilaniarono la vita dell'isola. Non fu probabilmente il C., come viene generalmente affermato, ad iniziare la costruzione del grandioso castello della sua famiglia a Palermo, ma il fratello Giovanni, il quale nel 1307 acquistò da frate Cirino, priore di S. Maria di Ustica e di S. Onofrio, una vasta tenuta vicino alla riva del mare, dove nel corso del secolo XIV sarebbe sorto il famoso Steri, che al momento della rovina della famiglia non era ancora compiuto. Il C. invece dovette gettare le basi del palazzo chiaramontano ad Agrigento, chiamato anch'esso "steri" (da hosterium:palazzo fortificato), i cui avanzi sono inglobati nell'odierno seminario vescovile. Il vescovo di Agrigento nel 1310 gli concesse infatti varie case attigue nella città per il censo annuo di tre rotoli di cera e dieci once.
Nel suo testamento, confermato da re Federico, il C. aveva istituito suo erede il figlio Giovanni, ma aveva anche stabilito che, nel caso che questi morisse senza eredi maschi, l'eredità passasse a Manfredi, figlio di suo fratello Giovanni. Morto infatti Giovanni nel 1347 lasciando soltanto una figlia, Manfredi poté riunire nelle sue mani l'ingente patrimonio della famiglia raccolto dal C. e da suo padre Giovanni.
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