CHIANO (Chianni)
Appartenne certamente alla famiglia dei marchesi di Massa, la casata pisana che si era insediata, verso la fine del XII sec., sul trono giudicale di Cagliari. Non si conosce però l'esatto vincolo di parentela che lo legò alla famiglia, essendo una mera supposizione del Besta che fosse figlio di Guglielmo (II) di Massa, suo predecessore nel giudicato; oltre tutto, tra l'ultima citazione di Guglielmo (II) e la prima di C. intercorre nelle fonti un lungo periodo di silenzio.
Di certo sappiamo che la madre - di cui peraltro non si conosce il nome - fu una de Serra della famiglia giudicale arborense, che il C. non prese moglie e morì senza figli. Non si sa quando e dove nacque e in quale anno salì sul trono.
La più antica notizia su di lui è del 1254; in quell'anno era già giudice di Cagliari, giudice solo di nome poiché di fatto, da un quarantennio circa, nel giudicato spadroneggiavano Pisa e le potenti famiglie pisane dei Visconti, dei Gherardesca e dei Capraia che miravano a sostituire i Massa sul trono di Cagliari o quantomeno a costituirsi un proprio dominio nella regione.
Tutto ciò era strettamente connesso alla lotta, inaspritasi in quegli anni, tra Genova e Pisa per il predominio sul Tirreno e sulla Sardegna. Di fronte alla crescente pressione genovese ed all'infido atteggiamento dei giudici, Pisa si era trovata nella necessità di difendere la sua antica preminenza con propri punti di forza. Il primo atto di questo nuovo indirizzo fu la repentina costruzione del castello di Cagliari (1216-17), il potente baluardo che di colpo mise il giudicato e la giudicessa Benedetta in balia di Pisa e dei fratelli Ubaldo e Lamberto Visconti che, vantando diritti ereditari sul giudicato, erano stati i promotori del colpo. Negli anni successivi la situazione si complicò: si fecero avanti i Gherardeschi, vantando pretese sul giudicato in quanto discendenti per via materna dall'ultimo giudice della dinastia locale, Costantino, e furono tirati in ballo i conti di Capraia che in quel tempo manovravano per impadronirsi del giudicato d'Arborea. Un quindicennio appresso, scomparsi Benedetta e i due Visconti, il governo giudicale di Cagliari fu assunto ed esercitato da uno dei Gherardeschi, il conte Ranieri de' Bulgari, marito di Agnese di Massa sorella di Benedetta. La sua mossa, formalmente giustificata dalla necessità di tutelare i diritti di Agnese e del minore Guglielmo (II), figlio di Benedetta, mirava in realtà a creare una situazione di fatto a favore dei Gherardeschi. Contro Ranieri si dichiarò subito Ubaldo Visconti, figlio di Lamberto, giudice di Gallura, che, temendo il peggio e volendo riaffermare i suoi diritti sul giudicato di Cagliari, istigò Rodolfo di Capraia ad invadere il Cagliaritano.
Quando, poco dopo il 1250, C. salì sul trono giudicale, anch'egli, come i suoi immediati predecessori, dovette prestare il giuramento di fedeltà imposto dal Comune di Pisa. V'era in quest'atto una certa compensazione alla perdita d'autorità e d'indipendenza che esso comportava per C., in quanto Pisa veniva ad assumersi automaticamente l'impegno di difendere il giudicato e il giudice da ogni eventuale nemico. Ma egli dovette rendersi conto immediatamente che, in quella situazione, l'impegno pisano poteva valere unicamente contro i Genovesi o altri nemici esterni che attentassero alla preponderanza pisana in Sardegna, ma non contro quelli che erano i suoi veri e immediati nemici e cioè i Visconti, i Gherardeschi e i Capraia, che miravano a impadronirsi del giudicato. E se questi l'avessero fatto, nessun aiuto gli sarebbe venuto da Pisa perché, in quegli anni, essi erano i veri padroni dell'isola e di fatto costituivano il maggior strumento dell'insidiato predominio pisano in Sardegna. Giovanni Visconti era giudice di Gallura, Guglielmo di Capraia era giudice d'Arborea e i Gherardeschi, cresciuti in potenza dopo il matrimonio di Guelfa con Elena figlia di Enzo re di Sardegna, cercavano di affermare il loro dominio sul giudicato di Torres. Il Comune di Pisa doveva necessariamente appoggiarsi a questi suoi potentissimi cittadini e rimanerne condizionato, cosa che del resto si manifestava nella stessa Pisa dove, sia pure in un quadro di rivalità, erano sempre o i Visconti o i Gherardeschi o i Capraia a determinare la politica sarda del Comune. La situazione di C. era perciò molto difficile.
Pisa, d'altro canto, attraversava un periodo di grave crisi. La morte di Federico II (1250) aveva lasciato il Comune in balia dei nemici di parte guelfa, mentre il Papato mostrava di volersi appoggiare a Genova. Questa si fece avanti chiedendo la restituzione del castello di Lerici toltole nel 1241 dall'imperatore Federico e da questo donato ai Pisani. La guerra si concluse con la sconfitta di Pisa che dovette piegarsi agli accordi del 4 ag. 1254 e in base ad essi obbligarsi a restituire il castello di Lerici. L'esito della guerra, la morte dell'imperatore Corrado e l'azione della Chiesa contro i ghibellini aggravarono le condizioni politiche e finanziarie della città ed inasprirono le fazioni; particolarmente vivace era la lotta tra i Visconti e i Gherardeschi. Nel Cagliaritano, al malcontento dei Sardi, esasperati dalla crescente rapacità mercantile e fiscale di Pisa, si aggiunsero le discordie e i contrasti accesisi tra gli stessi Pisani del castello di Cagliari, legati anch'essi alle diverse consorterie che si combattevano in Pisa.
Quale fosse esattamente la situazione non si sa; sta di fatto che sulla metà del 1254 C., approfittando di circostanze indubbiamente propizie, s'impadronì del formidabile castello di Cagliari. L'episodio è oscurissimo: nessuna fonte fornisce riferimenti diretti sul momento, sui modi o sui motivi immediati dell'occupazione o sulle ripercussioni interne ed esterne. In realtà, data la considerevole struttura bellica del castello, sembra doversi escludere che possa essersi trattato di un'occupazione guerreggiata e debba invece ammettersi l'ipotesi di un colpo di mano concertato con elementi pisani del castello schieratisi per ragioni di parte dal lato del giudice. Non sembra neanche che l'azione di C. abbia avuto un dichiarato carattere antipisano, dato che Pisa non reagì in alcun modo né si ebbero da parte di C. espulsioni o rappresaglie né alcune di quelle drastiche misure che normalmente accompagnavano siffatti mutamenti. Verisimilmente a indurlo ad agire fu il pericolo che il castello potesse cadere nelle mani dei Visconti o dei Gherardeschi o dei Capraia e aprire la strada della fine del giudicato. Affermata la sua sovranità sul castello, C. si preoccupò di assicurare la successione del giudicato e lo fece, dettando il 23 sett. 1254 un testamento con cui istituì eredi universali i cugini Guglielmo e Rinaldo Cepolla.
Ben presto però dovette accorgersi che era impossibile sostenere da solo la lotta che Pisa veniva meditando e che non aveva altra risorsa che quella di rivolgersi a Genova. I contatti cautamente avviati con il Comune ligure non sfuggirono a Pisa che alla fine mostrò apertamente di prepararsi alla guerra, emanando una serie di disposizioni dirette ai Pisani del castello di Cagliari, ai quali ordinò di tenersi pronti ad ogni richiesta delle magistrature pisane del castello e a quelli che fossero al servizio di C. di allontanarsene. Nel febbraio del 1256 C. mandò a Genova due suoi procuratori per stipulare un'alleanza che fu firmata il 20 aprile e solennemente ratificata da C. il 25 maggio nella cattedrale del castello di Cagliari alla presenza degli inviati genovesi Guglielmo Malocello e Percivalle Doria. Il trattato stabiliva l'obbligo per entrambe le parti di azioni concordi in terra e in mare contro il comune nemico, per C. di farsi cittadino di Genova e conseguentemente prestare giuramento di fedeltà e farlo prestare ai suoi sudditi, di riconoscere a Genova la libera esportazione del sale, di consegnare all'alleata il castello di Cagliari con tutti i diritti e le pertinenze ad esso competenti, riservando per sé una casa, di immagazzinare nel castello provviste per due anni caricandosi di metà della spesa, di riconoscere a Genova la facoltà di espellere dal castello chi volesse, salvo i familiari suoi, e infine di far sì che tutto il commercio marittimo si svolgesse nel porto di Cagliari. Da parte sua Genova s'impegnava e impegnava i Genovesi a difendere C. come suo cittadino e a dargli un palazzo in Genova e a riconoscerlo signore delle terre che con azione comune potessero togliere ai nemici; concedeva ai Cagliaritani libera esportazione da Genova delle merci di loro uso e immunità da certi tributi. Completava il patto una clausola in base alla quale C. s'impegnava a prendere in moglie una genovese; ed in effetti poco dopo suoi inviati partirono per Genova per chiedere la mano di una giovane della famiglia Malocello. Il castello era stato già consegnato ad Ogerio Scoto e a Giovanni Pontano inviati da Genova quali podestà e castellano. Seguirono subito le espulsioni dei pisani contrari all'accordo ed i preparativi di difesa.
Tutto il comportamento di C. fu giudicato a Pisa come un tradimento intollerabile; la guerra fu decisa e per condurla a buon fine fu chiesto il concorso di tutti i potentati pisani di Sardegna. Giovanni Visconti giudice di Gallura e Guglielmo di Capraia giudice d'Arborea marciarono con le loro forze sul castello di Cagliari; Gherardo e Ugolino della Gherardesca salparono da Pisa con una piccola flotta di otto navi. In soccorso di C. partì da Genova una squadra di ventiquattro galere ma, essendosi attardata, nei lidi toscani per dare la caccia ad alcune navi pisane, giunse a Cagliari quando C., sconfitto e catturato egli stesso dai Pisani, aveva già scontato con la vita la sua alleanza con Genova. La battaglia e la sua morte avvennero tra il 17 luglio ed il 15 ott. 1256.
Fonti e Bibl.: P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae, I, Augusta Taurinorum 1861, docc. 86, 88-91; D. Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la S. Sede e la Sardegna, I, Cagliari 1940, docc. 210, 212, 213; Annalisti ignoti, a c. di G. Monteleone, in Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, VI, Genova 1929, pp. 43-46; P. Tola, Dizionario biogr. degli uomini ill. della Sardegna ..., I, Torino, 1837, p. 215; G. Carlo, Genua und die Mächte am Mittelmeer, I, Halle 1895, pp. 17, 23, 25, 68; II, ibid. 1898, p. 20; E. Besta, La Sardegna medievale, I, Palermo 1908, pp. 215-20; N. Toscanelli, I conti di Donoratico della Gherardesca, Pisa 1937, pp. 51, 79; D. Scano, Serie cronol. dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), 3-4, p. 41; E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani nel periodo ugoliniano in una cronaca ined., Pisa 1957, p. 55; Id., Nobiltà e popolo nel comune di Pisa, Napoli 1962, p. 54; A. Boscolo, C. di Massa,Guglielmo Cepolla e la caduta del giudicato di Cagliari, in Miscell. di storia ligure, IV (1966), pp. 7-18.