CHERUBINO (ebraico \ebraico\)
Sono sovente menzionati nella Bibbia degli esseri sovrumani denominati Kĕrūbhīm. L'etimologia è discussa, ma si è d'accordo ora generalmente nel ricollegarla all'accadico karabu, "benedire". Nella plastica accadica i Karibu, genî intercessori, avevano forma umana; in seguito invalse l'uso di rappresentarli mediante simboli diretti a esprimere la forza, l'agilità, l'intelligenza: esseri a testa umana con corpo di toro 0 di leone, con ali d'aquila, talvolta con una semplice testa umana o leonina, come nei monumenti hittitiaramei di Zengirli.
Presso gli Ebrei troviamo i cherubini foggiati a coprire con le ali l'arca santa (Es., XXV, 17-22; XXXVII, 7) oppure rappresentati sulle pareti interne del tempio e collocati avanti l'adytum con le ali distese in modo da formare una cortina (III[I] Re, XI, 23-28; II Cronache, III, 10-13; cfr. Ez., XXXVI, 18). In Genesi, III, 24, dei cherubini sono posti come guardiani all'ingresso del Paradiso terrestre. Una descrizione minuziosa di essi si trova presso Ezechiele (I e IX). Il profeta descrive il cocchio della divinità trascinato da quattro cherubini, tori o leoni alati a testa di uomo, forniti di sei ali e due mani, col capo rivolto a ciascuno dei punti cardinali. Ma i cherubini dell'arca o del tempio di Salomone sembra avessero semplice forma umana con l'aggiunta di ali secondo le forme dell'arte egiziana e hittita.
Il cristianesimo conservò, con la fede nell'esistenza degli angeli (v.), anche quella nell'esistenza dei cherubini, di cui affermò sempre più nitidamente la natura spirituale. Nei nove Cori angelici i cherubini si distinguono per una più limpida visione della divinità. Dai cherubini di Ezechiele, richiamati nell'Apocalisse di S. Giovanni, derivarono il simbolismo dei quattro Evangelisti e molti motivi di decorazione pittorica e plastica nelle chiese medievali.
Bibl.: J. Nikel, Die Lehre des A.T. über die Cherubim und Seraphim, Breslavia 1890; id., Genesis und Keilschriftforschung, Friburgo 1903, p. 155 segg.; L. Dürr, Ezechiels Vision von der Erschein. Gottes im Lichte der vorderas. Altertumskunde, Münster 1917; P. Dhorme e L. H. Vincent, Les Chérubins, in Rev. biblique, XXXV (1926), pp. 328-358 e 481-495; W. Neuss, Das Buch Ezechiel in Theol. und Kunst bis zum Ende des XII. Jahrh., Münster 1912.
L'inno cherubico. - Nella liturgia bizantina è un canto eseguito durante la solenne processione delle specie sacramentali non ancora consacrate, portate in chiesa dall'altare della preparazione ("protesi") all'altare propriamente detto. Nelle parole i cherubini e i serafini vengono descritti come facenti scorta a Cristo, invisibilmente presente sotto le specie eucaristiche: ciò prova che questo inno, passato più tardi alla liturgia quotidiana, era dapprima riservato alla liturgia detta dei "presantificati", nella quale le specie sacramentali portate in processione sono già consacrate, almeno quella del pane.