DAUPHIN (Daufin, Dophin, d'Offin; italianizzato: Delfino, Delfin, Dolphino), Charles (erroneam. anche Claude o Claude-Charles)
Nacque certamente in Lorena (Félibien, 1679 e 1685) verso il 1620; non risulta avesse rapporti di parentela con il contemporaneo pittore Olivier Dauphin, di Troyes.
Apprese i rudimenti della pittura a Nancy, ma le guerre che dal 1635 sconvolsero la Lorena spinsero probabilmente il D. a cercare lavoro a Parigi. Entrò (c. 1640?) nella bottega di S. Vouet, la più brillante della capitale dove si trovò a fianco di F. Tortebat e M. Dorigny. Tre documenti di stato civile (bruciati nel 1871, ma trascritti nello schedario Laborde della Bibl. nationale di Parigi) attestano la sua presenza a Parigi nel giugno 1647, che era sposato con Marie Du Mouchet (o Mouphy) e padre di due bambine (Marie, battezzata l'11 nov. 1647, e Marie-Anne, battezzata il 15 luglio 1649). Non sono state identificate opere di questo periodo, forse confuse con la produzione degli altri membri dello studio.
La morte di Vouet (30 giugno 1649) ne disperse la bottega proprio nel momento in cui, a causa dei disordini della Fronda, veniva annullata la maggior parte delle commissioni e numerosi pittori parigini erano costretti a emigrare. là probabile che il D. abbia cercato allora di raggiungere Roma e sia stato trattenuto a Torino in occasione del suo passaggio nella città. Ma è anche possibile che egli avesse ricevuto direttamente un invito a stabilirsi a Torino, grazie a qualche protezione e agli stretti legami esistenti tra i Lorenesi e la corte sabauda.
Il primo documento che testimonia la presenza del D. a Torino è del 1655, ma lo indica già "priore della compagnia di San Luca", fondata nel 1652, e impegnato in un S. Luca che dipinge la Vergine, opera destinata all'altar maggiore della cappella di quella stessa compagnia nel duomo mentre Bartolomeo Caravoglia, A. Casella, Sebastiano Carello e un "Monsù Narciso" si accontentavano di eseguire il resto della decorazione (il quadro è perduto dal secolo scorso; se non altrimenti indicato, i docc., di seguito menzionati, sono in Schede Vesme, II, pp. 395 ss.). Da allora il D. non abbandonò più Torino dove si stabilì; si risposò con una Lucrezia Giugali dalla quale ebbe numerosi figli (il primo battesimo documentato è del 9 giugno 1664) e finirà per acquistare a "Baldassan" nei dintorni della città, una "cassina" (lettera del luglio 1670).
Numerosi documenti e incisioni eseguite da disegni del D. permettono di ricostruirne l'attività più che ventennale. Nel corso di una brillante carriera di pittore di corte il D. fu presente in tutte le grandi imprese, in grado sia di concepire soffitti o grandi decorazioni sia di dipingere tele di soggetto religioso, ritratti, quadri da cavalletto; o di dare disegni per illustrazioni di libri, titoli di tesi, ecc.
Il 1° genn. 1658 il principe di Carignano, Emanuele Filiberto, dichiarava di aver "stabilito in casa per nostro pittore... Carlo Delfino francese" con "il titolo di Aiutante della nostra Camera", e nello stesso anno il D. eseguiva un ritratto equestre del principe (perduto). Il D. conservò sino alla morte questo titolo di pittore del principe di Carignano e non quello di pittore del duca di Savoia, benché avesse partecipato attivamente al grande cantiere del palazzo ducale dove dipinse, in concorrenza con Jean Miel, che era ritornato a Torino nel 1659, numerosi soffitti e sovrapporte destinati ai grandi saloni (pagamenti nel 1660, 1661, 1662: Schede Vesme,anche I, p. 268; gran parte delle tele di mano del D. è andata perduta nei successivi rimaneggiamenti delle sale.
Con Miei il D. partecipò all'illustrazione della sontuosa opera di E. Tesauro, Del Regno d'Italia sotto i barbari (pubblicata a Torino nel 1663; ma in preparazione almeno dal 1660) e soprattutto, già da prima del 1663, dipinse per Madama Reale l'immensa Apoteosi di s. Francesco da Paola destinata all'altar maggiore della chiesa omonima (tuttora in loco insieme al bellissimo quadro sulla parete sinistra del coro con Luisa di Savoia che impetra l'intercessione del santo; il pendant di questo sulla destra, spesso assegnato al D., non ha niente a che fare con lui). Questa opera importante, che testimonia un'arte legata alle ricerche parigine e lontana dalla tradizione torinese, fu molto ammirata ma anche molto criticata com'è documentato da una lettera del D. al duca di Savoia nell'aprile del 1666, in cui il pittore si lamenta dei suoi detrattori.
Agli stessi anni appartiene la decorazione della cappella dei panettieri nella cattedrale con il Cristo che comunica s. Onorato (tuttora in loco) e quattro piccole tele laterali con Episodi della vita del santo (recentemente rubate). Il D. dipinse per la Venaria reale anche tre grandi ritratti (incisi [nn. 47, 48, 52] da G. Tasnière, in A. Castellamonte, La Venaria reale... disegnato et descritto... l'anno 1672, Torino 1674) che testimoniano la sua grande abilità nel genere; di essi rimane (Torino, palazzo reale) il doppio Ritratto equestre di Cristina di Fleury e di Emanuele Filiberto di Savoia principe di Carignano. La nascita del principe ereditario nel 1666 diede al D. l'occasione di dipingere un Ritratto del duca e della duchessa di Savoia con il figlio, grande tela destinata alla corte di Spagna, tra i capolavori dei ritratto di Stato del secolo XVII (conservato a Madrid, Museo del Prado).
Nel 1664 morì Miel, suo principale concorrente, così che il D. da quel momento sino alla morte occupò incontrastato il primo posto sulla scena artistica torinese. Infatti il nome del D. compare al primo posto nell'atto notarile del 4 marzo 1675 con cui l'Accademia di S. Luca di Torino "a fine di essere aggregata all'Accademia di Roma, deputò Pier Francesco Garolli" a presentare la domanda a Roma (M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca..., Roma 1821, p. 134).
La fama del D. sembra espandersi sino a Lione (dove si era nel frattempo stabilito J.-J. Thourneysen che diffondeva incisioni tratte da dipinti di lui) e persino a Parigi (verso il 1675-76 il marchese di Pomponne gli ordinò un Ratto delle Sabine; cfr. Schede Vesme, II, p. 398: 1678, 9 dicembre) oggi perduto. Alla morte di Carlo Emanuele 11 (1675), il D. dipinse per l'apparato decorativo delle esequie solenni La Morte che ferma il cavallo del duca (perduto; ma ne resta l'incisione).
L'avvento del nuovo sovrano non sembrò minacciare la solida situazione del D.; il quale però morì poco dopo, nel 1677 (non è stato ritrovato l'atto di morte), senza, sembra, avere accumulato grandi ricchezze dato che la vedova continuò a ricevere sussidi negli anni seguenti dal principe di Carignano (Schede Vesme).
Non è stato ancora definito il catalogo dell'opera del D. e molte attribuzioni rischiano d'essere falsate da due fattori: la non conoscenza dell'arte di Luca Dameret, un altro lorenese che dal 1656almeno fino alla morte (1667) lavorò alla corte sabauda, senza dubbio con uno stile molto simile a quello del D. (Dameret è nominato in numerosi documenti, ma non ne è conservata alcuna opera sicura, solo un ritratto inciso); e d'altra parte la presenza contemporanea del pittore francese omonimo, Olivier Dauphin, che ebbe una posizione ufficiale presso la corte di Modena.
La parte più sicura del catalogo delle opere del D. è quella che corrisponde alle opere incise. Esse permettono di seguire chiaramente l'evoluzione stilistica dell'artista: anteriore al 1659, l'Annunciazione dipinta per la cappella del marchese Simiana di Pianezza (opera perduta, è stata incisa da J.-J. Thóumeysen); anteriori al 1660, due tondi (incisi dal Thourneysen), l'uno, S. Giuseppe e Gesù Bambino, perduto, l'altro, la Vergine col Bambino e s. Giovannino, nel Musée des Beaux-Arts di Nantes; verso il 1659-60, il ritratto dell'attore Philippe Millot (inciso da Thoumeysen; disegno perduto); nel 1660 c., il piccolo frontespizio per la tragedia Hermegildo (inciso da Thourneysen; disegno perduto); anteriori al 1663, le numerose illustrazioni per il Regno d'Italia del Tesauro già menzionate, incise da Thourneysen e H. De Pienne (i disegni sono perduti); verso il1663 (?), il piccolo S. Francesco da Paola in gloria (inciso a Lione da Thourneysen; il disegno è perduto) e nel 1664una bella Allegoria (come sopra); verso il 1665 disegnò (opere perdute) un frontespizio e tre tavole per il Sacro Triimegisto di F. F. Frugoni (incisioni di De Pienne, J. Girardin e G. M. Belgrano) e nel 1666 un ritratto di Carlo Emanuele II e sua moglie Maria Giovanna Battista di Nemours per l'Accademia della Fama dello stesso autore (disegno perduto, inciso da De Pienne); ancora nel 1666 disegnò (disegno perduto) il frontespizio di una tesi con la celebrazione della Nascita di Vittorio Amedeo II (inciso da De Pienne; cfr. Schede Vesme, III, p. 834); disegnò anche (disegni attualmente perduti) frontespizi o tavole per l'opera De Passione Domini di Emilio Malliano (1670; incisione di Tasnière), per il Monachismo illustrato di P. Ormea (1673; incisione di Girardin), per l'Apologia di E. Tesauro (1673; incisione di Tasnière); e infine un ritratto molto decorativo di Carlo Emanuele in una cornice sorretta dalle figure allegoriche della Guerra e della Pace (1673; inciso da Thourneysen a Lione; disegno perduto) e l'ultima composizione conosciuta, già cit., raffigurante la Morte che ferma il cavallo del duca, incisa da De Pienne per Del funerale di Carlo Emanuele II di G. Vasco del 1676. Altre opere sembra siano sfuggite alle ricerche compiute sin qui dagli studiosi o non consentono ancora una esatta datazione, ma, nonostante la varietà delle traduzioni in incisione, le stampe bastano a dimostrare la ricchezza e la varietà stilistica del D. narratore. Egli mise al servizio della Controriforma e della dinastia dei Savoia una vena brillante, pittoresca, che rasenta qualche volta un certo romanticismo riecheggiante Vignon.
Più difficile da stabilire il catalogo delle pitture; dei quadri impertanti ricordati dalle fonti a Torino sono scomparsi: oltre al S. Luca, all'A nnunciazione e alla parte più importante della decorazione del palazzo reale, la Battaglia, "gran Quadrone bislongo" nell'atrio della vecchia sagrestia della chiesa dei SS. Martiri (Solutore, Avventore ed Ottavio: cfr. Bartoli, 1776, p. 44), e il Cristo che appare a s. Antonio abate nella chiesa di S. Antonio (ibid., p. 6).
D'altra parte alle opere più importanti già citate bisogna aggiungere molte decorazioni a Torino (a S. Domenico, nel palazzo civico, ecc.), per le quali l'attribuzione potrà essere confermata solo dopo la pulitura, e soprattutto numerose grandi tele di soggetto religioso e ritratti, tra i quali il S. Giuseppe con il Bambino e s. Agostino in estasi (chiesa di S. Carlo), l'Estasi di s. Paolo dipinta per l'oratorio della Compagnia di S. Paolo e oggi presso l'Istituto bancario San Paolo, oltre a un Ritratto allegorico di Cristina di Francia (Racconigi, castello).
Restano a testimonianza della produzione profana, destinata ai collezionisti e ancora poco conosciuta, numerose belle allegorie reperite recentemente: IlTempo e la Verita (Nancy, Musée Lorrain; altra versione a Lione, coll. priv.), IlTempo vinto (di ubicazione ignota).
Per contro non sono stati ancora ritrovati i disegni che furono certamente molto numerosi; solo un Martire trasportato da tre angeli (Parigi, Ecole des Beaux-Arts) può essergli attribuito con sufficiente certezza.
Anche se l'opera nota del D. è limitata, essa basta a definirne lo stile: senso dei movimento, contrasti di luce e ombra, macchie di colore vivo, una tipologia molto particolare (dita puntute, gesti raffinati, capelli e barbe mossi come da un colpo di vento), ricerca di lirismo poetico spesso impregnato di erudizione. Il D. continuò a Torino le ricerche iniziate da Vouet a Parigi nel quinto decennio del secolo e si ritrovò talora molto vicino a un Michei Dorigny. L'impronta francese restò sensibile sino alla fine, senza essere veramente soppiantata né dalle tradizioni locali, né dagli Influssi romani (Poussin, Maratta), né dagli ulteriori sviluppi parigini (Bourdon, Le Brun). Così la pittura dei D. aprì la strada a quella rapida evoluzione che doveva condurre la pittura piemontese verso una ispirazione elegante e chiara approdando alla personalità straordinaria di un Beaumont. Eppure gli eredi diretti del D. restano poco conosciuti. Unico allievo citato nei documenti è G. B. Brambilla nominato dal 1674, attivo specialmente per il principe di Carignano e nominato priore della Compagnia di S. Luca a Torino nel 1698 (Schede Vesme, 1, pp. 207 s.).
PietroAntonio, uno dei figli del D. (nato verso il 1666-67)., fu a sua volta pittore (citato nei documenti dal 1686 al 1722 a proposito di lavori di poca importanza: Schede Vesme, II, p. 403; III, p. 860).
La discendenza del D. pare che continuasse a lungo a Torino ma senza impegnarsi in opere di rilievo: un Gabriele Maria Delfino, architetto, è ricordato nel 1742 e nel 1765 (C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte, Torino 1963, p. 31); un GiuseppeAntonioDelfino nel 1772 era socio della Compagnia di S. Luca (Schede Vesme, II, p. 403) e infine un PietroDelfino nel 1794 risulta in un censimento di Torino come pittore "d'anni 56, nato a Torino" (ibid.).
Fonti e Bibl.: Parigi, Bibl. nationale, Fichier Laborde; Sch. Vesme, Torino 1963-68, I, p. 268; II, pp. 395-99; III, p. 834; B. de Monconys, Yourn. des voyages. Lyon 1666, p. 497; M. de Marolles, Le livre des peintres..., [1672], Paris 1872, pp. 45, 116; A. Félibien, Noms des peintres les plus célèbres..., Paris 1679, p. 56; Id., Entretiens [VII-VIII,1685], Paris 1690, II, p. 188; A. Calmet, Bibliothèque lorraine. Nancy 1751, col. 724; J. F. Coster, Eloge de Charles III dit le Grand..., Francfort 1764, p. 64; F. Bartoli, Notizie delle Pitture... d'Italia, I,Venezia 1776, pp. 6 ss., 20, 25, 28, 35, 44, 53; P. Zani, Encicl. metodica... d. belle arti, I, 7, Parma 1821, pp. 255 s.; P. P. Morey, Les artistes lorrains à l'étranger, Nancy 1883, pp. 12 s.; A. Jacquot, Essai de répertoire des artistes lorrains, in Réunion des Sociétés dès beaux-arts des départements, XXIII (1899), p. 430; N. Rondot. Les Thourneysen, Lyon 1899, p. 15 ("Beauffis"), pp. 53-56, 68-75 e Passim; B. Lossky, in L'art francais et l'Europe aux XV11e et XVIIIe siècles (catal.), Paris 1958, pp. 23 s.; J. Thuillier, La Peinture francaise, I, Genève 1963, p. 200; A. Griseri, Pittura, in Mostra dei barocco piem. (catal.), Torino 1963, II, pp. 29 s., 63 ss.; D. G. Cravero, Trecento anni di vita dei palazzo civico di Torino, Torino 1964, pp. 46 s., 51 s.; A. Griseri, Le metamorfosi del barocco, Torino 1967, pp. 171 s. e passim; M. di Macco, in Palazzo Lascaris, Venezia 1979, pp. 34-39; J. Luna, in M. A. Houasse (catal.), Madrid 1981, p. 47-51; I rami incisi dell'Archivio di corte, Torino 1981-1982, pp. 9-27, 177 ss., 329, 403, 408 s., e passim; J. Thuimier-M. di Macco, C. Gellée et les Peintres lorrains en Italie au XVIIe siècle (catal.), Rome-Nancy 1982, p. 375-99 (con biografia e bibliografia); R. Fohr, Pour C. D., in Mélanges de l'Ecole francaise de Rome, XCIV (1982), 2, pp. 979-994; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 438.