CHAMBORD, Henri-Charles-Ferdinand-Marie-Dieudonné d'Artois, duca di Bordeaux, conte di
Capo del ramo primogenito della casa di Borbone e pretendente al trono di Francia col nome di Enrico V. Nacque postumo a Parigi il 29 settembre 1820 dal duca di Berry, assassinato nel febbraio precedente, e ricevette dapprima il titolo di duca di Bordeaux. Suo nonno Carlo X abdicò in suo favore il 2 agosto 1830, ma il duca d'Orléans non credette di poterlo far riconoscere dal popolo di Parigi insorto, e il principino dovette prendere la via dell'esilio, trascorso in Inghilterra, poi in Boemia. Il mondo retrivo che circondava Carlo X si opponeva alla richiesta della madre che Enrico V fosse proclamato maggiorenne e ricevesse un'educazione più consona alle esigenze della Francia moderna. Nel 1843 il conte di Ch. si recò a Londra e fece dalla sua residenza di Belgrave Square un'affermazione politica che ebbe larga eco in Francia e provocò viva irritazione fra gli orleanisti. La rivoluzione del 1848 e le agitazioni politiche che la prolungarono ebbero sull'animo del conte di Ch. una ripercussione poco favorevole alla causa delle pubbliche libertà. Una circolare che egli dettò da Wiesbaden il 30 agosto 1850 per condannare il progetto di taluni legittimisti di richiamare il loro re con un plebiscito, fu interpretata come una negazione del principio della sovranità nazionale e rallentò le pratiche avviate per condurre i principi d'Orléans alla "fusione", cioè a riconoscere al capo del ramo primogenito della Casa di Francia il diritto alla corona. Il 22 gennaio 1851 il conte di Ch. indirizzava al Berryer, capo del partito legittimista in seno all'Assemblea legislativa francese, un'altra circolare d'intonazione molto più conciliante, il cui appello non fu però raccolto dagli Orléans. Nel 1856 il Ch., mentre si trovava a Nervi, fu interpellato dal duca di Nemours, se fosse disposto a inalberare la bandiera tricolore; ma egli eluse una risposta decisiva. Suggerì invece molto rigidamente ai legittimisti di astenersi da ogni partecipazione alla vita pubblica durante il regime imperiale. Nel 1866 indirizzò una lettera al generale de Saint-Priest affermando la sua simpatia per il potere temporale del papa, e nell'estate 1871 riaffermò la sua adesione ai progetti di ristabilimento del potere temporale stesso. Il 1° luglio 1871 il conte di Ch. rientrò in Francia e da Chambord, nonostante le suppliche dei suoi più fedeli partigiani, pubblicò un manifesto che esprimeva la sua ripugnanza ad abbandonare la bandiera bianca, pur mantenendo intatti i suoi diritti. Se fu possibile ottenere che nell'agosto 1873 ricevesse il conte di Parigi, senza imporgli la rinuncia alla bandiera tricolore, il 27 ottobre 1873 con una lettera indirizzata da Salisburgo al Chesnelong, mandatario della maggioranza dell'assemblea, il conte di Ch. sconfessava le laboriose trattative per rinviare la decisione intorno alla bandiera sin dopo il ristabilimento della monarchia, e rendeva così questo impossibile.
Vittima di un'estrema illusione, il conte di Ch. si recò il mese seguente a Versailles, credendo di ottenere dal maresciallo Mac Mahon, capo del potere esecutivo, una restaurazione che non si sarebbe mai potuta realizzare in conformità alle aspirazioni del pretendente. Egli sopravvisse ancora dieci anni all'insuccesso di cui era stato il principale responsabile e morì a Frohsdorf il 24 agosto 1883. Aveva sposato nel 1846 l'arciduchessa Maria Teresa I figlia del duca Francesco IV di Modena.
Bibl.: Écrits politiques et correspondance du comte de Ch., Parigi 1880; Chateaubriand, Mém. d'outretombe; Comte de Montbel, Souvenirs, Parigi 1913; Comte de Falloux, Mém. d'un royaliste, Parigi 1888; Vicomte de Meaux, Souvenirs politiques, Parigi 1904; Chesnelong, La campagne monarchiste d'octobre 1873, Parigi 1895; Desjoyeaux, La fusion monarchique, Parigi 1913.