CHACO (Gran Chaco; A. T., 155-156)
Vasta regione interna (superficie circa 700.000 kmq.) dell'America Meridionale, che si stende, come prosecuzione delle Pampas, dal Río Salado a S. fino all'altipiano dei Chiquito e di Velasco a N., e dal piede orientale delle Ande a O. fino al Paraná e al Paraguay a E.
Rilievo e clima. - Nel complesso, il Chaco è un grande, uniforme bassopiano, in alcune sue parti ancora poco conosciuto, inclinato da NO., dov'è alto anche 300 m., verso SE., dove si abbassa a 80 m. Presso il fiume Paraguay la sua uniformità è interrotta da basse dune, e verso la regione andina, da modeste ondulazioni del terreno. Il Chaco è attraversato quasi a metà dal Tropico del Capricorno, poiché si stende fra 180 e 310 circa di latitudine meridionale. Ha, quindi, un clima tropicale, che verso sud trapassa a poco a poco, in quello temperato steppico delle Pampas. Anzi, per essere più precisi, caratteristicamente tropicale, con lunga stagione secca in inverno, è soltanto il clima della sua parte occidentale; a Santiago del Estero, infatti, ai piedi delle Ande, la stagione piovosa riprende solo a dicembre, mentre a Formosa, sul Paraguay, s'inizia già a ottobre. E le piogge diminuiscono rapidamente da E. a O.; 1400 mm. a Formosa, 530 a Santiago del Estero. Rare sono le acque dolci, e questo è uno dei più gravi ostacoli alla colonizzazione. Tutti i corsi d'acqua che scendono dalle Ande, fuorché il Bermejo e il Pilcomayo, si perdono nel terreno appena usciti dalla zona montagnosa. Le acque sotterranee, inoltre, sono spesso salmastre. Il Bermejo e il Pilcomayo sono i due soli fiumi che attraversano il Chaco, convogliando acqua tutto l'anno. Il loro corso è poco favorevole alla navigazione, perché interrotto da zone paludose (esteros) a vegetazione acquatica, o da rapide (Pilcomayo).
Vegetazione. - Nel Chaco prevale una vegetazione steppica di graminacee, con Opunziacee (Cereus), Mimosee (Prosopis) talora abbastanza abbondanti da formare boscaglie rade, e una palma (Copernicia cerifera), costituente colonnati interminabili e formante, anche in vicinanza dei corsi d'acqua, per esempio lungo il Río Bermejo, grossi cespugli con stipiti alti sino a oltre 20 metri. Lungo il piede delle catene subandine, nelle aree asciutte, troviamo poi la vera foresta, per lo più rada, in qualche caso anche rigogliosa, caratterizzata da Loxopterygium Lorentzii (Quebracho colorado), Aspidosperma quebracho (Quebracho blanco), Caesalpinia melanocarpa (Guayacán), Prosopis alba, Prosopis nigra (Algarrobe) Tabebuia Avellanedae). Il passaggio dalla formazione steppica a quella boscosa è segnato da una vegetazione di grandi macchioni sparsi, talora assai florida in prossimità dei corsi d'acqua, ricordante le cosiddette formazioni a parco e rappresentata, oltre che dalla Copernicia già citata, da Chorisia insignis, a cui si accompagnano specie arbustacee, quali Solanum verbascifolium e Bougainvillaea praecox, una Nictaginacea locale, che forma cespugli di altezza spesso superiore a quella di un uomo.
Fauna. - Benché il Chaco appartenga in gran parte alla sottoregione cileno-patagonica degli zoogeografi, pure la sua fauna è notevole per l'infiltrazione di elementi brasiliani, i quali non di rado prendono il sopravvento su quelli meridionali. Le scimmie sono rappresentate da cebi e da callitrici, che nel Chaco attingono il limite sud della loro area di distribuzione. I vampiri si trovano in tutta la regione. Fra i carnivori notiamo il puma (Felis concolor) e il giaguaro (Felis onca), felini entrambi assai diffusi nelle Americhe, il cane dalla criniera (Canis iubatus), l'aguaracai (Canis azarae), qualche procione dall'aspetto di orsacchiotto. I paca, le cavie, le cincille, i coendu, sorta di istrici, e le lepri brasiliane, rappresentano i rosicanti con forme caratteristiche dell'America Meridionale. Scarseggiano gli ungulati, e s'incontrano pochi tapiri, alcune specie di cervi e il pecari, analogo al nostro cinghiale. I formichieri (Myrmecophila tridaclyla) e vari armadilli rappresentano gli sdentati; i marsupiali sono rappresentati dal genere Didelphys.
L'avifauna del Chaco, come la fauna dei mammiferi, non ha spiccate caratteristiche. Abitano la regione gli struzzi americani o nandù (Rhea americana), varî cracidi (tra cui Crax sclateri, Penelope obscura e Pipille cumanensis), che sostituiscono i fagiani, il fitotomo, vari pappagalli e uccelli-mosca, il tinamu, ecc. Il rapace Cariama cristata abita quasi esclusivamente la zona del Chaco; il Plotus anhinga vi rappresenta i pellicani. il Gypagus papa e il Carthates urubitinga i rapaci catardidi; l'Asio stygius, la Ciccaba suinda e la Gisella Harrisi i rapaci notturni.
Popolazione. - Il Chaco è molto scarsamente abitato, e la sua popolazione è costituita essenzialmente da Indiani. Le tribù indigene che abitarono il Chaco nei tempi storici e quelle che l'abitano ai giorni nostri costituirono fino a poco tempo fa un vero indovinello etnografico. La molteplicità dei popoli, e più ancora la diversità delle lingue da essi parlate, contribuì a creare e sorreggere l'idea che si trattasse di un conglomerato eterogeneo.
Oggi, grazie alle esplorazioni e agli studî di Boggiani, Nordenskiöld, Von Rosen, Hermann e Karsten, ci è dato distinguere con certezza, non solo le caratteristiche del patrimonio culturale degli abitanti del Chaco, ma anche le relazioni che corrono fra queste e gli altri distretti culturali dell'America Meridionale. Senza dubbio resta ancor molto da fare: ma nonostante tali lacune, le notizie raccolte intorno agli abitanti del Chaco sono già abbastanza copiose per permetterci di vedere con sufficiente chiarezza la necessità di una distinzione preliminare: da una parte abbiamo a che fare con tribù fornite di un accentuato carattere locale, e dall'altra c'imbattiamo in culture che sono qui pervenute emigrando da altre regioni. Al primo gruppo, che è il più importante, e che chiameremo autoctono del Chaco, in un senso del tutto convenzionale e relativo, appartengono le tribù Chorote, Ašlušlay, Mataco, Guaycurú e Mascoi. Ai gruppi allogeni o, più precisamente recenziori, appartengono in primo luogo Chiriguano e Chané, portatori della cultura guarani i primi e aruaca guaranizzata gli ultimi, e in secondo luogo i Chamacoco.
Chané e Chiriguano hanno la loro base economica nel lavoro agricolo. Abitano villaggi formati di capanne quadrangolari ben costruite; posseggono granai su palafitte, sono esperti nell'arte figulina. Mentre la caccia e la pesca non disimpegnano una funzione importante, essi sono soprattutto coltivatori di mais, e seminano anche patate dolci, cucurbite, cotone, tabacco e mandioca. Le coltivazioni sono estese e accurate, strumento è la zappa di legno; la preparazione del campo e la semina sono compito degli uomini, alla raccolta partecipano tutti, uomini, donne e bambini. Armi da caccia sono l'arco e le frecce; è usata anche la clava per la caccia del porco selvatico, e per lo struzzo la boleadora (corregge da getto con contrappesi terminali). Utilizzano anche lacci e reti per gli uccelli; pescano con lenze, reti e zucche vuote sommerse, piene di malta di mais, che attira il pesce nella cavità interna, che si chiude poi con la mano. Nel vestire dei Chiriguano è molto visibile l'influenza dei Bianchi; nei luoghi più inaccessibili alla civiltà le donne vestono una tunica a forma di sacco chiamata tiru, ma pare che in tempi più remoti il vestito fosse più ridotto. Gli uomini in generale usano vestiti europei, ma non è raro che durante il lavoro conservino semplicemente un perizonio. Il tatuaggio è eccezionale. Uomini e donne si dipingono il volto. Usano sandali per attraversare luoghi sassosi. Chané e Chiriguano hanno un'alta organizzazione sociale. L'autorità dei capi è considerevole, essi formano una specie di aristocrazia, sono giudici e eventualmente capi di guerra. Ai capi è riservata principalmente la poligamia. È interdetto il matrimonio tra fratello e sorella, permesso tra cugini. Sappiamo ben poco sulla religione di queste tribù. Non siamo meglio informati sulle credenze relative alla morte; sappiamo che credono nella sopravvivenza dell'anima, ma ignoriamo la loro concezione dell'al di là. Usano alcuni giochi d'azzardo, feste di libazione e danze mascherate. In sostanza gli elementi più caratteristici del patrimonio dei Chané e Chiriguano sono tipici della cultura tupi-guarani; tra i più importanti possiamo segnalare l'amaca, lo sgabello di legno, l'arco a sezione quadrangolare, i recipienti forati per cuocere a vapore, le pipe con fornello di terracotta, il vasellame d'argilla dipinto e anche con impressioni digitali, i canestri tessuti con foglie di palma e l'inumazione in urne d'argilla dentro la capanna.
Un'altra cultura allogena è rappresentata dai Chamacoco, studiati dal Boggiani. I Chamacoco abitano il retroterra posto a occidente del fiume Paraguay, dal 20° al 22° S. Si tratta di un popolo molto primitivo, che conduce una vita nomade. Le principali sue caratteristiche sono: grande sviluppo della raccolta di frutti selvatici, caccia e pesca; la caccia con arco e frecce e anche per incendio delle macchie; asce di pietra, letto di stoie, arco con corda di filo vegetale, e diademi adorni di piume, sonaglio per la danza, di corazza di tartaruga, vasellame di creta rudimentale, organizzazione sociale in orde, con un capo la cui autorità è molto debole.
Quanto alle tribù fornite della cultura che abbiamo per semplicità chiamato autoctona, o propria della regione, esse occupano una grande area del Chaco. Fra il R. Salado e il Bermejo (Chaco Australe) vivevano gli Abiponi a E. e i Lule e i Vilela a occidente, nella zona che si stende fra il Bermejo e il Pilcomayo (Chaco Centrale) abbiamo Toba e Pilagá al centro e a levante, e Mataco e Mataguayo verso ponente; infine al nord del Pilcomayo (Chaco Boreale) oltre i Chané e Chiriguano, gia descritti, che occupano il lembo occidentale, vivono i Chorote e Ašlušlay nella zona più interna, e nella metà orientale un gruppo di tribù ancora in parte poco conosciute, il cui nucleo più numeroso è quello dei Mascoi. Le tribù del Chaco Australe possono oggi considerarsi sparite totalmente, e ne sopravvivono solamente alcuni residui isolati, concentrati in "riserve"; delle tribù centrali quella che meglio conserva il suo carattere, benché si trovi sulla via di una rapida estinzione, è la tribù dei Pilagá, mentre i Toba e i Mataco, salvo qualche frazione eccezionale, si vanno concentrando a poco a poco attorno ai centri di popolazione bianca, dove trovano lavoro retribuito. Nel Chaco Boreale i gruppi indigeni occidentali e orientali, escludendo quelli che per la loro situazione marginale si trovano in contatto continuo coi Bianchi, conservano integralmente il loro sistema di vita. Tolte dunque le già nominate come alloctone, tutte queste tribù costituiscono una zona culturale abbastanza uniforme, benché certamente un'analisi più minuziosa dei rispettivi patrimonî rivelerebbe la presenza di variazioni, le quali tuttavia non autorizzano a dissociare il complesso. Tale uniformità, attestata da quasi tutti gli elementi della cultura materiale, sparisce quando si esaminano le lingue. Due grandi gruppi di dialetti riuniscono la quasi totalità delle tribù conosciute: il gruppo Mataco-Mataguayo, composto dal Tonocoté, Matará, Mataguayo, Mataco, Malbalá, Chorote, Ašlušlay e Sujin, e il gruppo Guaycurú, rappresentato nel Chaco dal Payaguá, Toba, Pilagá, Mocovi, e Abiponi. Fuori di queste due grandi famiglie appariscono, indipendenti, il Mascoi, il Cochabot e il Lule-Vilela. Ma, nei rispetti della vita economica, tutte le tribù sopra nominate rientrano senza eccezione nella categoria dei cacciatori e pescatori di bassa cultura. Procedendo con ordine, troviamo che il patrimonio di questi popoli a cultura più strettamente chaqueña si compone dei seguenti elementi: abitazione in capanne provvisorie a forma di alveare oppure in tende di stuoie; il vestito, già limitato a un mantello di pelli che oggi è quasi dovunque sostituito con il poncho tessuto di lana; letto di pelli, camicia di caraguatá (una bromeliacea), sandali di cuoio, cintura anch'essa di cuoio, tatuaggio, bottoni auricolari, nastro tessuto per le tempie, pettine di radici, pintaderas per la pittura del volto, diadema di piume; rete per trasportare oggetti; coltivazione precaria del mais, mandioca, zucca, melone, tabacco, ecc., che si pratica qua e là; zappa di legno a bastone, arco piano irregolare con corde di cuoio, boleadora, clava di legno; pesca con arco e frecce, reti e ostacoli; fuoco per attrito giratorio, forno di terra, mortaio di legno, pipa da tabacco; gioco della palla con pali, flauto di canne, fischietto di legno, sonagli di unghie di porco selvatico, tamburello, vasellame di argilla con manico di fune, ceramica con ornamenti digitali, canestri tessuti a spirale. Alla testa del nemico vinto in battaglia si strappa il trofeo capillare, pratica conosciuta in etnologia col vocabolo scalp.
Un esempio attuale, ancora abbastanza ben conservato di questa cultura, è fornito dalla tribù dei Pilagá, visitata da Palavecino recentemente (1930). La pesca è collettiva tra i Pilagá, e si pratica con le reti: ogni pescatore si munisce di una rete, indi penetrano tutti nell'acqua e si allineano in senso trasversale rispetto alla corrente e avanzano sommergendo la rete di tratto in tratto; quando hanno preso qualche pesce, l'uccidono con un palo o addentandone la testa; dopo di che lo infilano a una corda che portano alla cintola. La raccolta dei frutti è compito delle donne, le quali non trascurano di raccogliere anche i germogli delle palme, da mangiare dopo lessati. Con le frutta preparano bevande fermentate e farine. Il pesce si mangia arrostito o lessato. L'abitazione si compone di capanne miserabili, costruite con telai di rami e coperte di erbe; la pianta è di forma ovale, e 4 o 5 di queste capanne, allineate a semicerchio, con la concavità che guarda a nord, formano un villaggio capace di dare albergo a un paio di centinaia di Pilagá. Internamente, gli abitanti si distribuiscono lo spazio per famiglie, e ciascuna coppia ha il proprio focolare. Innanzi a ogni capanna dei paraventi di stuoie o di palo bobo formano un riparo contro il sole e il vento, mentre gl'Indiani, durante il giorno, riposano, tessono, mangiano o cucinano. Il vestito è uno degli aspetti che denotano più intensamente l'influenza dell'uomo bianco. Grazie a qualche distribuzione di vestiarî vecchi dell'esercito, o al ridotto commercio di pellicce che i Pilagá mantengono con i Bianchi, non è raro vedere Indiani con giubbe militari e camicie o brache di campagnoli: ma questo vestiario si porta solo nei giorni freddi; sotto i rigori della canicola basta un semplice cencio avvolto alle anche o una fascia perineale. Tuttavia, si vedono anche oggi ponchos di lana tessuti dalle Indiane, mantelli di pelli di mammiferi o di cuoio di struzzo, fasce e camicie tessute con fibre di caraguatá. L'adornamento è costituito di diademi e pennacchi di piume, cordoni di lana intrecciati per reggere i capelli, collari di semi di conchiglie e di conterie che sono ottenuti per commercio, e gironi di piume alle caviglie. Si pratica ancora la pittura del volto e il tatuaggio. Caratteristici sono i grossi bottoni cilindrici di legno che i Pilagá introducono in apposite perforazioni del lobo dell'orecchio, che s'ingrandiscono progressivamente fino a raggiungere 3-5 centimetri di diametro. I Pilagá praticano una spec'e di hockey e varî giuochi d'azzardo. Credono che la luna sia il padre "grande", creatore del primo Pilagá, il cui spirito si aggira fra le tribù e giunge a comunicare con i vecchi; che i morti si convertano in nubi nere e vadano vagando di notte attorno alle capanne; allora le donne si coprono la testa e cominciano a piangere e a supplicarli di allontanarsi. Credono ancora che alcune specie di spiriti, come quelli degli scomparsi per morte repentina, non solo fischino, ma possano anche gridare e abbracciare chi passa inavvertitamente vicino alla loro tomba. Tra i costumi e le credenze relativi alla guerra è l'uso di decapitare e scotennare il nemico vinto, per appropriarsi la forza magica del morto mediante il possesso della spoglia, e fare di questa un oggetto di ostentazione del proprio valore.
Tutti i caratteri etnografici dell'area descritta trovano la loro spiegazione nel fatto che il territorio del Chaco si può rappresentare con l'immagine di un imbuto, nel quale si sono andati accumulando, in più riprese, gli elementi provenienti dalle tre provincie culturali limitrofe, l'amazzonica al nord e ad oriente, l'andina a occidente, e al sud la pampeana-patagonica. Il contenuto australe si denunzia con la capanna ad alveare, l'arco con corda di cuoio, il pettine di radici, il mantello di pellicce, l'intrecciatura a spirale, ecc., e questo complesso ben specifico pare abbia costituito lo strato essenziale della cultura del Chaco, e anche il più antico. Quanto agli elementi ricevuti dal nord, est ed ovest, se è vero che le tracce d'agricoltura hanno cambiato in parte la vita economica, pur senza cancellare le basi di questi popoli pescatori-cacciatori e raccoglitori di tipo inferiore, si deve tuttavia constatare che si tratta principalmente di oggetti di adornamento e di lusso.
Condizioni economiche. - I primi coloni bianchi furono allevatori di bestiame e si stabilirono sulla sinistra del Río Juramento; Salta e Tucumán furono e sono tuttora i due mercati di bestiame più frequentati del Chaco occidentale, dove però l'allevamento non ha fatto quasi alcun progresso, contrariamente a quanto è avvenuto nel Chaco orientale. Qui, dove i coloni penetrarono soltanto verso il 1860, la colonizzazione pastorale si è sviluppata rapidamente ed è in continuo incremento. Del bestiame (prevalentemente bovino) buona parte è inviata ai mercati del sud (Santa Fe, Córdoba, Rosario, Buenos Aires) e ad Asunción; e il resto è adoperato per il trasporto del legname e per l'alimentazione degli operai impiegati nello sfruttamento delle foreste. Da queste proviene la maggiore ricchezza del Chaco, il legno quebracho, che viene usato per la fabbricazione di traverse ferroviarie e di pali telegrafici, essendo uno dei legni più duri che si conosca, e soprattutto per la fabbricazione di prodotti tannici (il quebracho chaqueño contiene fino al 25% di tannino). Importanti segherie si trovano fra Tintina e Añatuya (prov. argentina di Santiago del Estero). Le fabbriche di prodotti tannici, avendo bisogno di notevoli quantità di acqua, sono sorte prevalentemente in prossimità del Paraná e del Paraguay. Quest'industria va sempre più sviluppandosi: mentre prima della guerra mondiale dalla provincia di Santa Fe e dal territorio argentino del Chaco si esportavano annualmente (media 1908-1911) circa 335.000 tonn. di legno quebracho e 56.000 di prodotti tannici, ora l'esportazione dei prodotti tannici ha superato quella del legno (rispettivamente 145.000 e 130.000 tonn., media annua per il 1922-23).
L'agricoltura progredisce solo nella regione rivierasca del Paraguay e del Paraná, dove si coltiva lino, granturco, cotone e canna da zucchero. La coltivazione del cotone occupava 3000 ha. nel 1916, e 100.000 nel 1926. Ma il suo prodotto è tutt'altro che sicuro, per le frequenti annate di secca; parecchi agricoltori vanno perciò sostituendo alla coltura del cotone quella del granturco. Infatti, nel 1927 la superficie a cotone era già discesa a 70.000 ettari.
Il Chaco viene comunemente diviso in: Chaco Austral, tra il Río Salado e il Río Bermejo; Chaco Central, tra il Bermejo e il Pilcomayo; Chaco Boreal, a nord del Pilcomayo. Politicamente, il Chaco Austral e il Central appartengono all'Argentina; quello Boreal è in contestazione tra la Bolivia (v.) e il Paraguay (v.). Hanno il nome ufficiale di Chaco un territorio della Repubblica Argentina e un territorio della Bolivia (v.). Il primo ha una superficie di 99.000 kmq. e 80.000 ab. circa (valutazione 1929): Resistencia, città con 12.550 ab., ne è il capoluogo. (V. tavv. CCXXXVII e CCXXXVIII).
Bibl.: O.J. Storm, El Río Pilcomayo y el Chaco Boreal, Buenos Aires 1892; Th. Herzog, Beiträge zur Kenntnis von Ostbolivien, in Pet. Mitt., 1910; Lütgens, Beiträge zur Kenntnis des Quebrachogebietes in Argentinien und Paraguay, in Mitt. Geogr. Ges. Hamburg, 1911; W.D. Durland, The quebracho region of Argentina, in Geogr. Rev., 1924. Sulle popolazioni indigene v.: G. Boggiani, I Ciamacoco, Roma 1894; E. De Gandia, Hist. del Gran Chaco, Buenos Aires 1929; E. Nordenskiöld, La vie des Indiens dans le Chaco, Parigi 1912; id., Geograph. und etnograph. Analyse ecc., Göteborg 1918; E. Palavecino, Observaciones etnográficas sobre las tribus aborígenes del Chaco occidental, Buenos Aires 1928; id., Los Indios Pilagás, Buenos Aires 1930; E. von Rosen, Ethnographical research work during the Swedish Chaco-Cordillera expedition, Stoccolma 1924.