cetra
. Strumento musicale cui D. fa riferimento in Pd XX 22, per raffigurare, mediante similitudine, il prodigio dell'aquila parlante, la quale articola la voce allo stesso modo con cui il suono prende consistenza, nella c., sul manico (il collo) e, nella zampogna, là ove i fori si aprono e si chiudono. Tale strumento tuttavia non ha nulla in comune con l'omonima c. in uso nell'antichità classica (quest'ultima, di grandi dimensioni, era costituita da una cassa armonica munita di due bracci, anch'essi vuoti internamente, e collegati da un'assicella trasversale: fra questa e il fondo della cassa erano tese le corde). La c. ricordata da D. presenta invece notevoli affinità con la chitarra (v.), ed è costituita da una tavola armonica e da un fondo, tenuti insieme dalle consuete fasce. Sulla tavola si appoggia il manico, sopra cui è stesa la tastiera, munita di sbarrette per la delimitazione dei tasti.
Su questa descrizione concordano sostanzialmente gli antichi chiosatori (il Lana, l'Ottimo, Benvenuto, Talice da Ricaldone, ecc.); essa collima inoltre con quella di uno strumento limitatamente usato ancora oggi, e che nel Medioevo si chiamava, oltre che c., anche ‛ citola ': aveva forma di pera, e le corde - metalliche - erano fatte vibrare solitamente con le dita. Si tratta, in sostanza, di una variante della viella medievale, pizzicata anziché fatta vibrare con l'arco: il Sachs suppone che la probabile origine nell'Europa meridionale di tale strumento sia appunto dovuta alla preferenza data dai popoli mediterranei a pizzicare le corde piuttosto che ad archeggiarle, come è rivelato da molte sculture medievali, spagnole e italiane, di viole pizzicate.
Bibl. - C. Sachs, Reallexicon der Musikinstrumente, Berlino 1913, sub v. Cister; ID., The history of musical instruments, New York 1940, 345-347; The new Oxford history of music, III, Londra 1960, 489-491 (trad. ital. Milano 1964, 547-550); J. Brandlmeier, Handbuch der Zither, Monaco 1963.