Vedi CESAREA dell'anno: 1959 - 1994
CESAREA (Caesarea Stratonis o Palaestinae)
Città sulla costa della Palestina, a circa 40 km a S di Haifa. Fondata dai Fenici, C., in periodo ellenistico, fu prima conosciuta come Torre di Stratone (Stratone = ‛Abd-Ashtart, re di Sidone). Nel 13-12 a. C. fu di nuovo fondata da Erode con un nuovo nome in onore dell'imperatore Augusto. Essa divenne ben presto il porto principale della Palestina e il quartier generale della flotta regia e, dopo il 44 d. C., fu la capitale della provincia Iudaea (più tardi Palaestina), e tale rimase fino alla conquista araba nel 640. Essa fu l'ultima piazzaforte dei Bizantini contro gli invasori musulmani. La sua popolazione era originariamente composta in parti uguali di Greci e di Ebrei, ma nei primi secoli dell'èra volgare gli Israeliti vi erano in minoranza. Il cristianesimo mise presto radici a C. e si vuole che la città sia stata visitata da s. Pietro e da s. Paolo. In seguito C. divenne la sede di un arcivescovo metropolitano e sin dal III secolo fu un grande centro di studi cristiani, illustrato da Origene e dallo storico della chiesa Eusebio, vescovo della città. C. sopravvisse alla conquista araba e conobbe perfino una nuova fioritura durante il periodo delle crociate (1101-1265), sebbene in proporzioni assai ridotte; S. Luigi la fortificò di nuovo su un'area che comprendeva appena 1/6 dell'antica estensione. La distruzione sistematica delle città costiere, per ordine del sultano mamelucco Baibars, ridusse C. a un mucchio di rovine, sfruttate soltanto per trarne pietre da costruzione. I resti di C. sono ancora in gran parte coperti da uno a tre metri di sabbia; i ritrovamenti fortuiti e qualche zona rimasta scoperta hanno messo in luce avanzi che rispecchiano la storia della città.
L'antica località è, nel suo insieme, racchiusa entro una cinta di mura, all'incirca semicircolare, lunga due km e mezzo, in gran parte coperta di sabbia, ma chiaramente riconoscibile dall'esplorazione aerea. I principali resti visibili comprendono un ippodromo (di forma simile a quella del circo Massimo di Roma), frammenti di un obelisco di porfido rosso (taràxippos), resti dei segnali della meta. Il teatro sulla spiaggia e l'anfiteatro nel quartiere N-O possono essere individuati, ma non sono ancora stati scavati. Lungo la riva del mare, a S della città, sono pure' riconoscibili le terme (o costruzioni del porto?). Giuseppe Flavio (Bell. Iud., i, 411-12) dà una splendida descrizione del grande molo di Erode, costruito di blocchi di m 25 × 5: esso aveva torri massicce, la più grande delle quali si chiamava Drousion in onore di Nerone Claudio Druso, figliastro di Augusto. Resti di questo molo sono stati rivelati sotto le acque del mare da fotografie aeree. Essi si estendono verso il N e circondano il porto. Le colonne dei portici che, secondo Giuseppe Flavio, circondavano il porto, sono state riadoperate dai Crociati per la costruzione dei loro moli. Le fondamenta di una chiesa a tre absidi, di epoca bizantina o delle crociate, sono ancora visibili nelle rovine del villaggio presso la cinta di mura dei Crociati. Quest'ultima racchiude un'area di m 550 × 250; è costruita a bastioni con rivestimento in pendio ed era protetta da un fossato. La città romana era fornita di acqua per mezzo di due acquedotti, che furono spesso riparati e ancora funzionavano in pieno periodo arabo; l'opera originale era del tipo romano comune: un canale aperto che attraversava su archi le depressioni del terreno.
Oltre a un gran numero di ritrovamenti fortuiti di sculture e di frammenti architettonici, che rispecchiano generalmente l'arte romana imperiale ufficiale, e numerose iscrizioni greche e latine, finora le rovine di C. hanno dato oggetti antichi in scavi regolari solo in due punti; dato che proprio le dimensioni dell'area archeologica hanno finora intimidito tutti coloro che intendevano esplorarla.
A O dell'ippodromo, il ritrovamento fortuito di una statua acefala di un personaggio imperiale del III sec. d. C., in porfido rosso e più grande del naturale, ha portato, nel 1951, all'esplorazione di un cortile di epoca evidentemente bizantina. Questo terminava in un triplice portale, diviso da due colonne, al di là del quale è stata scoperta una stanza con pavimento a mosaico, contenente un'iscrizione che commemora la costruzione "del muro, dell'abside e delle scale" a spese del municipio al tempo di un governatore romano non identificato. La stanza dava accesso ad un'ampia e maestosa scalinata, dalla cui sommità si estendeva verso N un lungo pavimento a mosaico. La statua di porfido rosso e un'altra del II sec. d. C. (questa volta un torso maschile di marmo bianco con la parte inferiore drappeggiata in un himàtion) sono naturalmente assai anteriori al vicino edificio e sembra che siano state riadoprate dalla città nel VI sec. d. C. (forse con teste nuove), forse per evitare la spesa di nuove statue. Il sedile della statua di porfido e la parte inferiore di quella di marmo erano adattate piuttosto rozzamente alla loro nuova posizione. L'altra area scavata è sulla riva del mare, dove nel 1932, nel 1945 e nel 1956 sono stati in parte esplorati i resti di una sinagoga. Essi consistono in quattro strati sovrapposti di pavimenti a mosaico, due dei quali hanno iscrizioni circondate da ornamentazione geometrica. Le iscrizioni musive, di cui una indica la superficie di mosaico donata, mentre le altre riportano il passo di Isaia, xi, 31, in greco, rispecchiano l'onomastica e la cultura letteraria della comunità ebraica di Cesarea. La sinagoga rimase in piedi, sembra, dal IV al VI sec. d. C. Insieme al pavimento più tardo fu trovata una tavoletta con un iscrizione dedicatoria. Iscrizioni sepolcrali greco-giudaiche e capitelli di colonne decorati col candelabro a sette bracci (měnürāh) sono stati trovati a Cesarea.
Bibl.: L. Hafeli, C. am-Meer, Münster 1923; A. Reifenberg, in Israel Explor. Journal, I, 1951, pp. 20-32; M. Schwabe, in Alexander Marx Memorial, I, New York 1950, pp. 433-449, tav. i (in ebraico); S. Yeivin, in American Journal of Archaeology, LVI, 1952, p. 143, tav. 26 B; M. Schwabe, in Israel Exploration Journal, III, 1953, pp. 127-30, 233-36; H. Hamburger, in ‛Atiqot, I, 1955, pp. 115-38.