ZOCCHI, Cesare Mariano Paolo
Nacque a Firenze il 7 giugno 1851 da Francesco, marmista di lapidi sepolcrali, e da Agnese Gambini.
Dimostrò molto presto abilità nel modellare la creta ed entrò da ragazzo nel laboratorio del cugino Emilio Zocchi, il quale, allievo prima di Girolamo Torrini e di Aristodemo Costoli, poi di Giovanni Dupré, aveva avviato una bottega di abili copisti, stilisticamente assestati su un sobrio purismo. Qui Emilio introdusse alla scultura, oltre a Cesare, i propri figli Ettore e Arnaldo, quest’ultimo destinato a una certa notorietà.
Cesare vinse poi con un’Accademia (descritta brevemente in Bellinzoni, 1871, p. 54) il pensionato già istituito dal Granduca, che gli consentì l’accesso all’Accademia di belle arti di Firenze. Qui si formò inizialmente con Ulisse Cambi, il quale nel 1868 intercedette per fargli avere uno studio (Firenze, Archivio dell’Accademia di belle arti, filza 1868, n. 32, lettera alla Presidenza delle belle arti). All’inizio dell’anno successivo Raffaello Sorbi ed Emilio Zocchi cedettero gli studietti rispettivamente a Cesare e a Emilio Gallori.
Nel 1871 vinse il concorso triennale indetto dall’Accademia con il bassorilievo Ificle padre di Iolao ferito dai figlioli di Actore quando Ercole pugnò la prima volta contro gli Elei ad Angea, che Luigi Bellinzoni descrisse trattato «con accorgimento e fino giudizio, sopprimendo la figura dell’Ercole come inutile e pregiudicevole all’azione» (Bellinzoni, 1871, p. 53).
Nel 1872 vinse il pensionato triennale a Roma con Proculeio che sorprende Cleopatra nella tomba ove erasi rifugiata e, mentre essa tenta di uccidersi, le toglie lo stile di mano. Per il pensionato romano, Zocchi presentò come saggio Un parassita pompeiano, realizzato negli anni 1873-74, e accolto con un certo disappunto dai maestri dell’Accademia. Dupré, pur lodando il soggetto e lo studio di costumi e accessori, osservava che «la fretta e lo sprezzo sono evidenti e male si addicono in un lavoro di giovane artista», e invitava lo scultore a imitare con costanza il vero (Firenze, Archivio dell’Accademia di belle arti, filza 1874, n. 40). Per il giudizio finale, nel febbraio 1875, Pio Fedi (anche a nome dei professori Augusto Rivalta e Giovanni Paganucci) negò l’approvazione a trasferire la figura in marmo o in bronzo. Pur lodando «una certa facilità, e pratica di lavorare», e il modellato in alcune sue parti, Fedi criticò il saggio per il soggetto e per lo stile, aggiungendo: «sarebbe desiderabile che la scelta ed il carattere dello intero fosse più Italiano» (ibid.). Analogo rifiuto avevano notoriamente subito lo scandaloso Suicida di Adriano Cecioni (1867) e il Nerone vestito da donna di Gallori (1873).
Al periodo del pensionato risale anche la prima ideazione della Frine. Nel 1877, una Frine fu poi presentata da Zocchi all’Esposizione artistico-industriale di Firenze, riprodotta in disegno sulle pagine dell’Illustrazione Italiana nel 1885. Una statua dallo stesso soggetto figurò ancora nel 1884 all’Esposizione di Torino e infine nel 1890, insieme a una Jone, a una Domatrice di leoni e a un busto, all’Accademia di Ravenna (indicate come di proprietà di Giuseppe Bellenghi). Della Frine «varie riproduzioni sono in varie gipsoteche europee» (Passamani, 1998, p. 64), testimonianza della prolifica produzione ‘borghese’ di questo ambiente artistico, specialmente in piccolo e medio formato, che alterna la figura di genere all’aneddotica di personaggi illustri. Fra gli esempi più interessanti del primo tipo è il Bambino su seggiolone e cane conservato presso Villa Fabbricotti a Livorno; per il secondo, un buon esempio si ritrova nel Michelangelo fanciullo che scolpisce la testa di fauno, soggetto concepito da Emilio Zocchi già nel 1865 e noto in molte versioni successive, anche con significative varianti, fra cui una di Cesare oggi in Casa Buonarroti. Sculture di Cesare in piccolo formato si trovano in svariati musei, collezioni e vendite d’asta, anche fuori di Italia.
Il busto di Stefano Jouhaud al cimitero delle Porte Sante (scheda ICCD 09 00303628), firmato e datato 1876, è invece un precoce esempio dell’attività scultorea di Zocchi per monumenti funebri privati. Per il cimitero fiorentino Cesare realizzò poi anche il busto di Emilio Pinucci (1890, scheda ICCD 09 00304097), di Ulderico Vannucci (morto nel 1896, scheda ICCD 09 00304091) e di Luca Cateni (morto nel 1910).
Nel 1879 il suo bozzetto I martiri cristiani sorpresi nelle catacombe vinse un premio di 4000 lire al concorso nazionale dell’Accademia di belle arti di Venezia. Questa vittoria gli permise di realizzare il Fra Bartolomeo in gesso per l’Accademia di Firenze, oggi presso lo scalone del Poccianti a palazzo Pitti. Lo stesso anno fu anche nominato professore presso la Scuola professionale di Napoli.
Nel 1880 sposò Antonia Collani, dalla quale ebbe poi due figlie e un figlio, Cesare Zocchi Collani, attore di cinema muto negli anni Dieci. A partire dallo stesso anno delle nozze, fu coinvolto da Emilio De Fabris nel monumentale cantiere della facciata di S. Maria del Fiore. A Zocchi e a Gallori, seguendo il programma iconografico di Augusto Conti, furono commissionati a pari titolo gli Angeli cacciati dal Paradiso dell’archivolto e degli sguanci del portale destro della facciata. Zocchi scolpì anche la formella con S. Luca Evangelista nell’architrave della stessa porta e gli Angeli con fiori (che sorreggono l’Addolorata di Gallori) nella cuspide. Fra il 1881 e il 1885, per la fascia superiore della facciata, costituita da nicchie che ospitano statue dei dodici Apostoli, Gallori e Zocchi realizzarono rispettivamente il S. Pietro e il S. Giovanni Evangelista che fiancheggiano la Vergine in trono di Tito Sarrocchi. A Zocchi si deve anche la piccola figura di Arnolfo di Cambio, seconda da sinistra, nella fascia degli Uomini illustri alla base del timpano.
A partire dagli anni Ottanta fu nominato socio o corrispondente in molte accademie d’Italia, e professore residente all’Accademia di Firenze (1888). In questo decennio avviò la sua copiosa produzione di monumenti pubblici, in bronzo e in marmo, molti dei quali di celebrazione risorgimentale. Nel 1883 venne inaugurato a Cesena il monumento a Maurizio Bufalini, per il quale Zocchi aveva vinto il concorso tre anni prima; nel 1887 a Perugia il monumento a Garibaldi, già in piazza Sopramuro (spostato nel 1931 in largo Cacciatori delle Alpi); nel 1888 a Ravenna il monumento ai Martiri per l’Indipendenza e ad Anita Garibaldi, già concluso però da almeno due anni.
Anche a Firenze, sin dal 1882, la giunta comunale aveva deciso di istituire un concorso per un monumento a Garibaldi, nonostante che alcuni artisti si fossero offerti di realizzare l’opera per il solo rimborso delle spese. Nel 1886 il bozzetto di Zocchi risultò vincitore sulle proposte, fra altre, di Urbano Nono, Augusto Rivalta e Raffaello Romanelli. Alla vittoria seguirono numerose critiche, tanto che il comitato pensò inizialmente di annullare l’assegnazione; la statua fu infine realizzata da Zocchi per la collocazione in Lungarno Vespucci, e inaugurata nel giugno 1890.
Fra le opere di celebrazione risorgimentale vanno ricordati poi a Pisa il monumento a Vittorio Emanuele II (1892); a Carpi il monumento equestre al generale Manfredo Fanti, inaugurato nel 1903 (già in piazza Vittorio Emanuele, oggi al parco delle Rimembranze; alcuni bozzetti sono nel Museo civico), e a Napoli il monumento a Garibaldi (1904). Nella scultura monumentale, Zocchi alternò soluzioni di stampo più controllato e accademico – così anche il monumento a Sallustio all’Aquila, inaugurato dopo molta attesa nel 1903 – ad accentuazioni veriste. In molte delle città in cui si trovò a lavorare, si dedicò parallelamente alla scultura funeraria di committenza privata: fra gli altri, a Cesena realizzò il monumento funebre della famiglia Nori e i busti di Giacomo Battistini e di Giuseppe Calzolari; a Ravenna il monumento funebre della famiglia Bellenghi; nella cattedrale di Carpi, due anni prima della statua equestre di Fanti, il suo monumento funebre.
L’opera più nota di Cesare Zocchi è senz’altro il monumento a Dante di Trento. Nella città irredenta, già almeno dal centenario del 1865, la celebrazione aveva assunto un’esplicita valenza antiaustriaca; promossa da Guglielmo Ranzi in seno alla società Pro Patria e poi tramite un comitato esecutivo, l’opera fu concepita come reazione alla statua di Walther von der Vogelweide a Bolzano (1889), alla quale si volle contrapporre Dante quale «fondatore dell’unità morale d’Italia» (Ranzi, 1896, p. 76). Nell’ottobre 1891, la giuria (composta fra gli altri da Eleuterio Pagliano, Ettore Ferrari ed Ercole Rosa) decretò finalisti i bozzetti di Giuseppe Grandi, Ettore Ximenes e Cesare Zocchi (cfr. Tridentinus, 1892). Nell’aprile 1892 Zocchi fu infine dichiarato vincitore. Nel suo studio fiorentino (presso i locali di villa Demidoff) realizzò prima un modello in creta a metà del vero, poi alcuni particolari in gesso a grandezza naturale. Il programma iconografico (discusso con Ranzi in uno scambio epistolare conservato presso il Museo storico in Trento) è concepito su tre zoccoli, coronati dalla statua di Dante e corrispondenti alle tre cantiche: l’Inferno, sintetizzato per sineddoche nel Minosse del canto V; il Purgatorio, concentrato nell’incontro del canto VI fra Dante, Virgilio e Sordello, attorno ai quali si spiegano i dolenti in espiazione di vari peccati; il Paradiso, con la figura di Beatrice, quasi a tutto tondo, e sette angeli a rilievo. Subito furono inequivocabilmente intesi nella loro forte connotazione politica sia il Minosse grave e pensoso, forse precoce esempio di fortuna rodiniana in Italia (Fergonzi, 1998 pp. 40-42), sia soprattutto l’incontro con Sordello, nel canto dell’invettiva all’Italia senza guida e all’imperatore «tedesco» (Purg., VI, 76-151). All’affollatissima inaugurazione ufficiale, l’11 ottobre 1896, Carducci lesse l’ode Per il monumento di Dante a Trento; La Voce Cattolica (17 ottobre 1896) attaccò la scelta di far celebrare l’Alighieri al «poeta di Satana […] profeta della massoneria» (cfr. Rasera, 2013, p. 336), ma l’opera fu lodata largamente dalla stampa nazionale.
Zocchi partecipò all’Esposizione universale di Chicago nel 1893 con una Rebecca (marmo). Nel 1905, alla morte di Odoardo Tabacchi, ottenne la cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Torino. La commissione ministeriale lo preferì al più moderno Leonardo Bistolfi, che aveva pienamente recepito la svolta simbolista e le novità liberty, sostanzialmente assenti invece nella lingua algida e ‘severa’ di Zocchi. La decisione generò disappunto, anche fra gli allievi dell’Accademia; un articolo anonimo su L’arte decorativa moderna, rivista fondata fra gli altri dallo stesso Bistolfi, individuava in Zocchi «lo strumento casuale di una meditata offesa al Bistolfi», un’esclusione giustificata da Augusto Rivalta, Giulio Tadolini ed Eugenio Maccagnani (con l’opposizione di Giacomo Grosso e Corrado Corradino, delegati dell’Accademia) con l’argomentazione che Bistolfi fosse più ‘poeta’ che scultore (La cattedra di scultura, 1905, p. 214).
Zocchi mantenne la cattedra torinese fino al giugno del 1921. Negli ultimi anni si dedicò soprattutto all’insegnamento, riducendo progressivamente la sua produzione. A Firenze realizzò ancora il busto del cardinale Agostino Bausa in S. Maria Novella (1905) e – gratuitamente – il monumento ad Augusto Conti nella piazza omonima (1916). A Roma realizzò per il Vittoriano (inaugurato nel 1911) la Vittoria bronzea della prima colonna trionfale dell’ala destra.
A Torino, nel 1913, si classificò fra i finalisti del concorso per il monumento a Don Bosco in piazza Maria Ausiliatrice, che fu infine vinto da Gaetano Cellini (tutti i bozzetti furono riprodotti e descritti dagli stessi artisti sul Bollettino Salesiano); la delusione per questa sconfitta è riportata in molti necrologi di Zocchi. A Torino realizzò anche, negli anni Dieci, il gruppo della Famiglia dell’operaio sulla sommità del palazzo di via Bertola progettato inizialmente per la Cassa di risparmio (poi sede dell’Enel). L’opera, spesso attribuita a Edoardo Rubino, autore del solo gruppo di destra, è invece di Zocchi (come proposto già in Mori, 2006-2007, pp. 182-185; al gruppo fu dedicato fra l’altro un articolo su La Stampa: E.F., 1921).
A Limone Piemonte si trovano il monumento funebre di Antonio Marro (inaugurato nel 1921) e il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, inaugurato nel 1923, dopo la morte dell’artista.
Cesare Zocchi morì a Torino il 19 marzo del 1922. I necrologi concordano nel descrivere una fine in povertà, nella sua casa in corso S. Maurizio: «Radiato dai ruoli, senza pensione per non aver raggiunto il tempo minimo di servizio prescritto dalla legge, non riuscì neppure ad ottenere […] che gli fosse pagata l’indennità dovutagli» (Necrologio, 1922). Su iniziativa dell’Accademia di Firenze, il 1° luglio 1923 gli venne però dedicato un monumento nel cimitero di S. Miniato al Monte, con un busto realizzato da Renzo Baldi.
Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, filza anno 1868, n. 32; ibid., filza anno 1874, n. 40. L. Bellinzoni, Considerazioni d’arte, in La Rivista Europea, III (1871), pp. 52-54; Altre sculture, in L’Illustrazione Italiana, XII (1885), pp. 54, 60; Z. C., Dizionario degli artisti italiani viventi, pittori, scultori e architetti, a cura di A. De Gubernatis, in collaborazione con U. Matini, Firenze 1889, pp. 633-636; Tridentinus, A Trento. Il monumento a Dante, in L’Illustrazione Italiana, XIX (1892), pp. 278 s., 281; G. Ranzi, Il Monumento a Dante a Trento, in XI Ottobre XDCCCXCVI. Il Trentino a Dante Alighieri, Trento 1896, pp. 72-93; S. Sighele, Il monumento a Dante a Trento, in L’Illustrazione Italiana, XXIII (1896), pp. 242-245; La cattedra di scultura all’Accademia Albertina e la nomina dello Z., in L’arte decorativa moderna, 1905, n. 7, pp. 211-214; Per il Monumento a D. Bosco, in Bollettino Salesiano, XXXVII (1913), pp. 97-114; R. Mazzei, Solenne inaugurazione del Ricordo ad Augusto Conti, in Rassegna Nazionale, XXXVIII (1916), pp. 293-303; E.F., L’arte decorativa a Torino. Un gruppo di C. Z., in La Stampa, 17 gennaio 1921; Necrologio – C. Z., in L’illustrazione Italiana, XLIX (1922), pp. 371 s.; G. Marro, Il monumento ad Antonio Marro in Limone-Piemonte, in Rivista di Antropologia, XXV (1922-1923), pp. 491-494; M. De Micheli, La scultura dell’Ottocento, Torino 1992, pp. 201-220; Michelangelo nell’Ottocento. Il centenario del 1875 (catal., Firenze), a cura di S. Corsi, Milano 1994, pp. 70-72; B. Passamani, Il concorso per il monumento al Sommo Poeta. Una complessa vicenda di committenza, in Simboli e miti nazionali tra ’800 e ’900. Atti del convegno di studi internazionale… 1997, a cura di M. Garbari - B. Passamani, Trento 1998, pp. 63-95; R. Campana, Tra realtà e idea: la scultura severa di C. Z., ibid., pp. 115-144; F. Fergonzi, Auguste Rodin e gli scultori italiani (1889-1915). 1, in Prospettiva, 1998, nn. 89-90, pp. 40-73; A. P. Torresi, Scultori d’Accademia. Dizionario biografico di maestri, allievi e soci dell’Accademia di Belle Arti a Firenze (1750-1915), Ferrara 2000, p. 131; B. Godino, Il monumento a Giuseppe Garibaldi (1882-1890) nel lungarno Vespucci: note d’archivio, in Bollettino della Società di Studi fiorentini, 2000-2001, nn. 7-8, pp. 159-161; A. Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento: da Antonio Canova ad Arturo Martini, Torino 2003, pp. 287 s.; G. Mori, C. Z., scultore fiorentino tra celebrazione risorgimentale e aneddotica borghese. (Firenze, 1851 - Torino, 1922), tesi di laurea specialistica, Università degli Studi di Trento, relatore A. Bacchi, a.a. 2006-2007; C. Pezzano, La galleria d’arte moderna di Firenze. Il luogo, le collezioni (1784-1914), Firenze 2009, pp. 137-174; F. Rasera, Politica dei monumenti in Trentino. Dal centenario dantesco alla Grande Guerra, in Studi Trentini. Storia, XCII (2013), pp. 323-356; F. Petrucci, I concorsi e i premi assegnati per le arti del disegno, in Accademia delle Arti del Disegno: studi, fonti e interpretazioni di 450 anni di storia, a cura di B.W. Meijer - L. Zangheri, Firenze 2015, pp. 295-372.