ORSENIGO, Cesare Vincenzo
ORSENIGO, Cesare Vincenzo. – Nacque il 13 dicembre 1873 a Villa San Carlo, frazione del Comune di Valgreghentino, vicino Lecco, in una famiglia d’estrazione borghese.
Il padre, Paolo, era occupato nell’industria tessile; la madre, Luigia Bianchi, era figlia d’un imprenditore serico. La coppia ebbe anche tre figlie, Maria, Vincenza e Teresa.
Frequentò le scuole primarie a Valgreghentino e compì poi gli studi ginnasiali e liceali al collegio Carrobiolo di Monza, successivamente intitolato al suo fondatore, il padre barnabita Luigi Villoresi; nel 1892 entrò nel seminario diocesano di Milano. Il 5 luglio 1896, a 23 anni, in duomo, fu ordinato prete dal cardinal Andrea Ferrari.
Il 20 ottobre 1897 fu nominato sacerdote nella parrocchia milanese di S. Fedele, dove rimase fino al 1922. In questi 25 anni svolse soprattutto attività pastorale e caritativa, senza trascurare il campo degli studi. Nel 1901 ottenne il dottorato in teologia alla facoltà teologica di Milano; frequentando la Biblioteca Ambrosiana, strinse rapporti con monsignor Achille Ratti, il futuro papa Pio XI, dal 1907 prefetto della stessa biblioteca. Con lui collaborò alla redazione della rivista S. Carlo Borromeo nel terzo Centenario della Canonizzazione 1610-1910, fondata su richiesta del cardinale Ferrari.
Nello stesso tempo fu assistente della gioventù nell’oratorio di S. Vittorio e dei Quaranta Martiri, e delle ragazze del Cenacolo e dell’istituto Alfieri, luoghi frequentati dai figli dei membri dell’aristocrazia e della borghesia cittadine. Un vasto impegno profuse nel campo dell’assistenza sociale, avvalendosi anche delle sue conoscenze nell’alta società milanese, il cui contributo finanziario si dimostrò essenziale per dar vita o per continuare l’opera di diversi organismi caritativi.
Nel 1902, per esempio, fondò l’opera Pia Catena e nel 1917 divenne direttore della Società delle dame di s. Vincenzo, associazione femminile – fondata mezzo secolo prima sul modello francese delle Figlie della Carità di s. Vincenzo de Paoli – che riuniva le donne di alto prestigio sociale e si dedicava alla cura di bisognosi, orfani o ammalati. Ancora, il cardinal Ferrari nominò Orsenigo suo rappresentante al consiglio di amministrazione dell’opera degli Asili infantili raggruppati di Milano; da sottolineare anche l’appartenenza all’opera Bonomelli. Per questo impegno, nel 1921 fu nominato commendatore della Corona per meriti filantropici.
Nel 1922 fu chiamato dal neoeletto papa Pio XI nel corpo diplomatico della S. Sede e destinato come nunzio all’Aia. In favore della nomina di Orsenigo, fino ad allora privo d’esperienza diplomatica, giocarono probabilmente le sue competenze linguistiche – conosceva inglese e tedesco e imparò presto l’olandese – ma soprattutto le doti di prudenza e riservatezza di cui aveva dato prova a Milano, insieme alla sua capacità di muoversi in società. Si trattava, infatti, di un incarico di un certo rilievo, perché la nunziatura dei Paesi Bassi era considerata una sorta di ponte tra il mondo cattolico e quello protestante europeo. In questo senso, il contesto della missione di Orsenigo non era facile, caratterizzato da forti problemi diplomatici che nel 1925 – nonostante il nunzio si fosse attivato per impedire tale eventualità – portarono alla soppressione della legazione olandese presso la S. Sede e all’uscita del partito cattolico dalla coalizione in quel momento al governo.
Orsenigo lavorò soprattutto per una romanizzazione della chiesa olandese e per la promozione di una riforma degli studi ecclesiastici nel paese. Proprio durante la sua nunziatura, nel 1923, a seguito di un lavoro già da tempo avviato, fu creata a Nimega la prima università cattolica dei Paesi Bassi.
Nel 1925 fu promosso nunzio in Ungheria, dove sostituì Filippo Schioppa. Pur avendo perso un terzo dei suoi territori a seguito della Grande Guerra, la nunziatura di Budapest costituiva ancora un importante centro diplomatico dell’Europa centrale. A Orsenigo fu assegnato il compito di ricondurre la Chiesa ungherese – che conservava una forte impronta di autonomia, lascito del giuseppinismo settecentesco e del Kulturkampf ottocentesco – alla stretta osservanza romana. In particolare, egli favorì la nomina di vescovi considerati ‘romani’ e propose una visita apostolica degli ordini religiosi nel paese.
Il 14 febbraio 1930 fu trasferito alla nunziatura di Berlino. A tale nomina dovettero contribuire – oltre la conoscenza della lingua – l’esperienza maturata in Ungheria e la propensione essenzialmente religiosa e pastorale, più che diplomatica, da lui dimostrata.
Bisognava proseguire il lavoro impostato dal predecessore Eugenio Pacelli nel cammino di romanizzazione della chiesa locale, tramite un rinnovo dell’episcopato, una riforma degli studi ecclesiastici e l’inizio della centralizzazione dell’Azione cattolica, con un particolare riguardo anche ai rapporti tra cattolici e protestanti. Tuttavia le fila del lavoro diplomatico dovevano restare nelle mani dell’ex nunzio Pacelli, forte dei suoi 12 anni d’esperienza diretta nel paese e della posizione di nuovo segretario di Stato di Pio XI.
Spesso Orsenigo non si dimostrò all’altezza del compito affidatogli e ancor più dopo l’avvento al potere di Hitler, quando il nuovo contesto politico lo obbligò a un impegno forte e determinato. Alla scarsa efficacia della sua azione diplomatica contribuirono in primo luogo la sua debolezza di carattere e una prudenza spesso spinta fino all’inazione. Prima del 1933, la sua presenza stentò a imporsi sulla scena, a livello sia religioso sia politico-diplomatico. Se dal primo punto di vista l’episcopato tedesco si sentiva ancora molto legato a Pacelli anche all’indomani del suo ritorno a Roma, da quello dei rapporti con le autorità civili lo stesso Pacelli dovette più volte richiamare Orsenigo per la poca fermezza dimostrata nel difendere i diritti della S. Sede, specialmente nelle questioni d’ambito concordatario. Con l’ascesa di Hitler al potere tale il nodo in questione s’ingigantì e Orsenigo fu preoccupato soprattutto di non urtare i nazisti e di provocare un conflitto tra la Chiesa e il Reich. In tal senso, cercò di attenuare i contrasti tra le parti, invitando per esempio la S. Sede – all’indomani del boicottaggio ai negozi ebrei dell’aprile 1933 – a non immischiarsi nella politica interna del Reich, anche per non suscitare rappresaglie contro i cattolici.
Gli archivi confermano che Orsenigo contribuì all’opera di conciliazione tra il Vaticano e la Germania di Hitler. Già prima del 1933, peraltro, si era mostrato favorevole a un compromesso di governo tra il Centro cattolico e i nazionalsocialisti, promosso al fine di impedire un’alleanza anticattolica e di sbarrare la strada al comunismo. Anche in virtù di questo fattore, non nascose la propria contrarietà alla condanna del nazionalsocialismo pronunciata dai vescovi tedeschi fin dal 1930. Dopo il 1933, quando si trattò invece di negoziare lo statuto della Chiesa cattolica nel terzo Reich, e alla fin fine di salvarla dalla nazificazione a cui erano destinati quasi tutti i settori della società, non volle né favorire né opporsi apertamente al nuovo regime, ma piuttosto tentò di trovare con esso un possibile terreno d’intesa. I rapporti di Orsenigo aiutano a capire le ragioni di tale posizione, oscillante tra argomentazioni di tipo ‘difensivo’ (impedire una lotta radicale contro i cattolici) e ‘offensivo’ (guadagnare peso nella configurazione del nuovo regime). In quest’ottica, dopo la rimozione della condanna episcopale contro il partito nazista, cercò di dissuadere i vescovi tedeschi dall’intraprendere azioni clamorose contro il regime, suscitando tra loro non poche proteste. Allo stesso modo, si rassegnò rapidamente a subire gli attacchi portati dal governo di Hitler al cattolicesimo organizzato. Per Orsenigo bisognava fare di necessità virtù, sacrificare quello che non si poteva mantenere per salvare quello che poteva essere mantenuto, cioè i diritti dei cattolici e, almeno all’inizio, le loro associazioni.
Tale posizione ebbe un indubbio peso nella scarsa comprensione che si fece degli avvenimenti in Germania, spesso impedendogli di comprenderne la vera portata. A tale mancanza di lucidità contribuirono poi naturalmente le incertezze iniziali riguardo al carattere del regime, le illusioni nutrite da molti sulla possibilità di una sua normalizzazione, il fascino esercitato da Hitler su un’enorme fetta della popolazione, cattolici compresi, e la grande abilità del Führer nel condurre verso i cattolici e la S. Sede una politica di doppio gioco – fatta di lusinghe e minacce insieme – dalla quale il nunzio si lasciò trarre in inganno. Né la posizione di Orsenigo può essere isolata da quella della S. Sede, intenzionata a formalizzare i rapporti con la Germania tramite un concordato – nel quale egli non ebbe quasi nessun ruolo – stipulato con l’illusione di guadagnare nel paese una posizione giuridicamente garantita e al riparo da ogni attacco.
Nella seconda metà degli anni Trenta, quando il rapporto tra Vaticano e Germania fu segnato da una ancor più forte contrapposizione – di cui è cifra l’enciclica Mit brennender Sorge del 1937 – e poi durante la seconda guerra mondiale, la missione di Orsenigo diventò sempre più ardua. Stretto tra le autorità tedesche, aliene a ogni richiesta della diplomazia vaticana, e un Pio XII che non nutriva per lui eccessiva fiducia, probabilmente fu mantenuto al suo posto solo per l’impossibilità di sostituirlo, cioè nella convinzione che Hitler ne avrebbe approfittato per lasciare la Germania senza rappresentante pontificio. D’altronde, nei paesi militarmente occupati dal Reich durante la guerra, Hitler dichiarò decaduti gli accordi tra tali paesi e la S. Sede e non permise né ai nunzi apostolici di rimanervi, né al nunzio a Berlino di assumerne la carica. Riguardo ai massacri e alle deportazioni in corso in quei territori, i rapporti di Orsenigo si dimostrano piuttosto inconsistenti, spesso tendenti ad accogliere la versione ufficiale fornita dai nazisti o a non metterla in eccessiva discussione. In questo senso, anche i diversi incontri che ebbe con Hitler e Ribbentrop o altri ufficiali si dimostrarono vani.
Negli ultimi anni di guerra riuscì a impegnarsi più stabilmente in favore dei prigionieri di guerra italiani, coordinandosi con l’Ufficio informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, istituito dal papa nel 1939; proprio mentre ne visitava un campo, a fine giugno 1944, fu vittima d’un collasso che lo costrinse per un mese in ospedale. Qualche tempo prima, il 22 novembre 1943, la nunziatura era stata distrutta dai bombardamenti, ma soltanto nel febbraio 1945, di fronte alla morsa militare stretta dai russi e dagli anglo-americani su Berlino, Orsenigo fu costretto a lasciare la capitale e fu accolto dal vescovo di Eichstätt. Dopo la fine del conflitto, intrattenne buoni rapporti con le nuove autorità di occupazione, specialmente con quelle statunitensi.
Morì a Eichstätt il 1° aprile 1946 per i postumi d’una peritonite.
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