VENTURA, Cesare
– Nacque a Parma il 16 maggio 1741 dal conte Francesco e dalla nobildonna milanese Antonia Agazzi, primo di cinque figli.
Il suo nome completo era Cesare Ignazio Giovanni Luigi Pasquale.
Il padre, dottore in legge, ricoprì a lungo diversi incarichi nella magistratura del Ducato di Parma e Piacenza e venne nominato avvocato fiscale con decreto dell’8 aprile 1749.
L’educazione di Cesare seguì una prassi consolidata per la nobiltà parmense, prima con un precettore privato, poi presso i gesuiti. In seguito, il padre lo mandò per un breve periodo ad affinare la sua formazione giuridica nello studio dell’avvocato Francesco Civeri e, infine, lo collocò per qualche mese nel collegio bolognese di S. Luigi, anche questo gestito dalla Compagnia di Gesù. Nel 1760 si sposò con la contessa Marianna Rizzini con la quale ebbe tre figli: Ilario, nato nel 1768, Guido, nato nel 1772 e morto in tenera età, e Carlotta, entrata poi in convento.
I suoi primi incarichi lo videro impegnato, alla fine degli anni Sessanta, come conservatore in due conventi cittadini e poi con cariche minori nell’amministrazione cittadina. Dopo aver ricoperto il ruolo di tesoriere nella congregazione cittadina degli edili, il duca Ferdinando (succeduto al padre Filippo nel 1765) lo nominò gentiluomo di camera e gli affidò il compito di porre rimedio all’emergenza annonaria creatasi nel Ducato a seguito della carestia del 1781. Ventura affrontò con decisione il problema, approntando un magazzino di cereali per rifornire la capitale e cercando di bloccare l’esportazione illegittima di grano. Inviato a Guastalla come delegato dell’annona si distinse per lo zelo e la precisione del suo operato. La stima del sovrano nei suoi confronti trovò riscontro nella nomina a delegato della Zecca regia con la gratifica di 8000 lire annue, proprio nel momento in cui veniva presentato un progetto di riforma della stessa. Il conte Ventura si trovò a dover «disimpegnare tutte quelle incombenze che vengano espresse dal R[egio] Soprintendente, riferendo al medesimo tutte le emergenze tanto ordinarie che straordinarie dell’Officina della Zecca». (Archivio di Stato di Parma, Zecca, b. 2, progetto per una nuova Regia Zecca, 7 agosto 1783).
Nel maggio del 1787 Ventura entrò a far parte del consiglio privato del sovrano e il 16 giugno dello stesso anno venne destinato a sostituire momentaneamente l’anziano ministro e primo segretario di Stato, Troilo Venturi. Il 16 agosto 1788 la nomina divenne definitiva, portando così a compimento l’ascesa di Ventura nel governo borbonico.
Fautore di una prudente neutralità nei confronti della Francia repubblicana, favorì una politica di avvicinamento alla Spagna attraverso un’attenta strategia matrimoniale. Nel 1794 venne scelto dal duca Ferdinando per accompagnare il giovane e malaticcio figlio Ludovico, nato nel 1773, a Madrid: «Voleva consegnarlo a me, giacché ad altri non si fidava; e che dovessi accompagnarlo per diriggerlo poi a quella R. Corte in tutto relativamente al modo di condursi alla scelta tra le due Infantine, ed a stabilire e conchiudere il matrimonio» (Parma, Bibioteca Palatina, Manoscritti Pezzana, 737, p. 11). Accolto con «graziose espressioni» dai sovrani spagnoli, a turbare la serenità della sua missione giunse a Madrid Antonio Bertioli. Il giurista parmigiano aveva da poco firmato una convenzione con il governo austriaco di Milano che, sebbene ponesse fine a un’annosa questione sui confini del Ducato, lo collocava in una posizione filoasburgica. Quella mossa contraddiceva la strategia impostata dal ministro negli anni precedenti, indisponendo la stessa corte spagnola e, in prospettiva, la Francia. Tuttavia, ormai conclusa felicemente la trattativa che avrebbe condotto il 25 agosto 1795 al matrimonio fra l’erede di Ferdinando e Maria Luisa, figlia secondogenita dei sovrani spagnoli, Ventura rientrò in Italia nel marzo del 1795 pur mantenendo una costante corrispondenza con il giovane e affezionato Ludovico.
L’invasione del Piacentino da parte delle truppe francesi (7 maggio 1796) costrinse il duca ad accettare un durissimo armistizio. Negli anni successivi Ventura cercò senza successo di ristabilire buoni rapporti con i generali francesi in Italia, allo scopo di favorire l’allargamento del Ducato con l’inclusione di Brescello, Gualtieri e di alcuni territori del Cremonese. All’inizio del 1799 il governo francese stabilì la vendita dei ricchi beni dell’Ordine costantiniano, requisiti in quanto considerati proprietà del re di Napoli. Ventura, consapevole del bisogno di denaro dell’armata francese, convinse il proprio sovrano ad acquistarne l’intero patrimonio a un prezzo estremamente vantaggioso, con un accordo concluso il 4 marzo 1799.
Il 1° aprile 1799 giunse improvvisamente da Firenze il pontefice Pio VI, scortato da un distaccamento di cavalleria francese. L’ordine del generale Paul Louis Gaultier de Kervéguen, comandante della divisione francese in Toscana, di attendere ulteriori istruzioni, limitando le visite presso il papa ed evitando disordini, mise il governo parmense in «imbarazzo gravissimo», come riferiva l’agente diplomatico di Ferdinando all’ambasciatore transalpino a Milano (Archivio di Stato di Parma, Truppe francesi nello Stato, b. 13, lettera del 2 aprile 1799). Il primo ministro sollecitava allora per conto del sovrano anche il rappresentante spagnolo a Parigi «sicché anch’esso si interessasse nello scioglimento di quest’affare in maniera che la buona armonia fra i due governi non venisse in alcun guisa intorbidita» (ibid., lettera del 14 aprile 1799). Giunto l’ordine di far proseguire il pontefice verso Torino, fu lo stesso Ventura a convincere il recalcitrante Pio VI: «Dopo una buon’ora e un quarto, nel qual tempo soffersi quanto mai, mi disse; che pensando che la di lui resistenza a partire poteva essere nociva al Sig. Infante [...] egli sarebbe partito» (Parma, Biblioteca Palatina, Manoscritti Pezzana, 737, p. 33).
Stanco per i molti anni di governo, colpito già nel 1798 dalla perdita del figlio Ilario e, poco prima, del nipote Ferdinando, Ventura ottenne la dimissione dall’incarico il 13 luglio 1800, insieme all’assegnazione del feudo di Galinella e del titolo di marchese.
Dopo il rifiuto da parte di Ferdinando di cedere il suo Stato in cambio della Toscana, il figlio Ludovico fu riconosciuto re d’Etruria in virtù del trattato di Aranjuez del 21 marzo 1801, mentre il Ducato passò alla Francia. Data l’antica amicizia con il giovane sovrano, Ventura venne nominato commissario e inviato a Firenze per prepararne l’arrivo. Giunto il 28 luglio nella nuova capitale, si mise in contatto con gli esponenti più in vista della nobiltà cittadina e, sentito il loro parere, favorì la formazione di un governo con personalità non legate al passato esecutivo e «che non avessero contro di sé alcuna prevenzione già formata a loro svantaggio» (Drei, 1935, p. 45).
Terminato il suo compito, Ventura rientrò a Parma l’8 ottobre. L’estate successiva fu invitato a reggere provvisoriamente il Regno toscano durante l’assenza del sovrano, invitato in Spagna dai suoceri. Ostacolato il progetto dagli ambienti della corte, rinunciò all’incarico, ma venne nominato ministro plenipotenziario del re presso la corte di Parma. Il 9 ottobre Ferdinando morì improvvisamente a Fontevivo, dove risiedeva abitualmente. Alla morte del sovrano, ancora formalmente in carica, Ventura entrò a far parte della reggenza che fu però immediatamente sciolta dalle truppe francesi, mentre l’amministrazione fu affidata a Médéric-Louis-Élie Moreau de Saint-Mery. Negli anni successivi curò la realizzazione del monumento funebre del duca, progettato dall’architetto Francesco Lopez e completato prima del 1804.
Dopo la morte di Ludovico, avvenuta il 27 maggio 1803 al rientro dal viaggio in Spagna, Ventura continuò per molti anni a curare gli interessi del defunto sovrano e della vedova. Ancora nel 1814 Maria Luisa, affidandosi al suo aiuto, gli scriveva: «Io non mancherò di pregarlo [Dio], ma mi pare potrebbe lei aggiungere questo beneficio alla sua Patria con i tanti altri, che lei ha sempre fatto sacrificandosi in impieghi penosissimi» (Parma, Archivio dell’Ordine costantiniano di San Giorgio, Archivio Borbonico, b. 84, f. 7, 15 febbraio 1814).
Nel 1809, guadagnata la stima del barone Hugues Nardon, prefetto del dipartimento del Taro, Ventura divenne presidente del Consiglio municipale e poi membro del Consiglio dipartimentale. Sotto il nuovo prefetto Henri-Jean-Pierre-Antoine Dupont Delporte rivestì la carica di presidente del cantone sud del circondario.
A seguito dell’occupazione austriaca del territorio parmense, il generale Laval Graf Nugent von Westmeath lo nominò il 14 febbraio 1814 nel governo provvisorio di Parma, insieme al conte Filippo Magawly Cerati e al marchese Casimiro Melilupi di Soragna. Il 6 giugno dello stesso anno, dopo lo scioglimento del governo e l’istituzione di una reggenza guidata da Ferdinando Marescalchi, Ventura si ritirò a vita privata a Vigatto. Rimasto vedovo all’inizio del 1810, si risposò nell’ottobre del 1816 con la nobildonna milanese Francesca Litta Modignani.
Nell’aprile del 1816, giunta in città Maria Luigia d’Asburgo, nuova duchessa di Parma, Ventura venne nominato suo consigliere intimo, presidente della commissione araldica e infine insignito della gran croce del ripristinato Ordine costantiniano, di cui venne eletto tesoriere nel 1821.
Morì a Parma il 21 giugno 1826.
Fonti e Bibl.: La Biblioteca Palatina di Parma (Manoscritti Pezzana, 737) conserva una copia delle memorie di Ventura, trascritte dal suo biografo Giuseppe De Lama, che si arrestano però al 1801. Presso l’Archivio di Stato di Parma è presente molta documentazione sulla sua carriera politica e amministrativa, in particolare nei fondi del carteggio borbonico, della zecca borbonica, della segreteria interna e tra i rescritti e decreti ducali. Nell’Archivio dell’Ordine costantiniano a Parma si trovano le corrispondenze con Ludovico e altre personalità della corte e del governo (in particolare nelle buste 74, 76, 84). Inoltre: G. De Lama, Elogio storio del conte C. V., Parma 1828; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova 1877, s.v.; H. Bédarida, Parme et la France de 1748 à 1789, Paris 1928, ad ind.; G. Drei, Il Regno d’Etruria, Modena 1935, ad ind.; G. Ventura, L’ultimo ministro dei primi Borbone di Parma, Parma 1971; R. Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, Parma 1999, s.v.; M. Dall’Acqua, La corona e lo scettro. Ferdinando di Borbone (1751-1802), Parma 2002, ad ind.; Un Borbone tra Parma e l’Europa. Don Ferdinando e il suo tempo (1751-1802), a cura di A. Mora, Reggio Emilia 2005, ad ind.; Storia di Parma, V, I Borbone fra Illuminismo e rivoluzioni, a cura di A. Mora, Parma 2015, ad ind.; VI, Da Maria Luigia al Regno d’Italia, a cura di N. Antonetti - G. Vecchio, Parma 2016, ad indicem.