RAO, Cesare
RAO (Raho), Cesare. – A causa della scarsa sopravvivenza di fonti documentarie, le notizie biografiche finora reperite sono alquanto scarse. Rao (anche noto con il nomignolo burlesco Vallocerca) nacque da genitori di umili origini ad Alessano, nel Salento, intorno al 1532, ed ebbe due fratelli, Mario, che fu dottore in legge, e Scipione, abate e protonotario apostolico; è noto, inoltre, che a un’età allo stato imprecisabile sposò Porzia Gadaleta (Corvaglia, 1952, p. 98).
A diciotto anni si trasferì a Napoli, soggiorno di una manciata di mesi che fu contrassegnato da disagi e avversità, mentre nel 1550 giunse a Pisa dove entrò in contatto con Simone Porzio, allora lettore di filosofia nello Studio pisano. Si recò a Pavia nel 1553 dove conobbe Cristoforo Rovelli e Girolamo Rainoldo e dove con ogni probabilità iniziò la stesura di alcune opere. Nella città lombarda divenne membro dell’Accademia degli Affidati, sodalizio nel quale pronunciò un’orazione In lode della Filosofia (Invettive, Orationi et discorsi, Venezia 1587, pp. 224-227). Tra il 1554 e il 1560 soggiornò prevalentemente ad Alessano, alternando diverse sortite a Bologna dove si addottorò in artibus il 10 settembre 1556. Tra il 1560 e il 1562 sostò in alcune città italiane se dobbiamo prestar fede a datazioni e riferimenti impliciti – su cui tuttavia non possono non gravare dubbi di veridicità – di talune lettere facete (Roma, Firenze, Genova, Bologna, Milano, Ferrara). Nel luglio del 1561 fu ospitato a Mantova dai principi Gonzaga: proprio nei giardini della villa gonzaghesca di «Chiavemonte», nei pressi di Mantova, Rao ambientò il Sollazevol convito, nel quale si contengono molti leggiadri motti e piacevoli ragionamenti, edito a Pavia nel 1562 con dedica a Belisario Balduino.
Si tratta di un dialogo incentrato su un tema squisitamente rinascimentale, l’amore, indagato in chiave platonica e con alle spalle le moderne auctoritates di Marsilio Ficino, Leone Ebreo e Sperone Speroni, nel quale è inscenato un dotto ‘convito’ tra sodali e amici salentini di lungo corso quali Altobello e Giovanni Antonio Tuffo, Francesco Maria Storella e Giovanni Andrea Riccio.
Sempre nel 1562 a Brescia (Bozzola) uscirono le Argute et facete lettere, opera che godrà di un notevole successo editoriale (si contano ben 16 ristampe fino al 1622), anche di là dai confini italiani (una traduzione francese, Lettres facetieuses et subtiles a cura di Gabriel Chappuys, fu edita per la prima volta a Lione presso Antoine Tardiff nel 1584 e poi ristampata a Rouen nel 1610). In questo quadro di larga e sollecita fortuna, risulta possibile l’influenza del modello delle Argute et facete lettere, ristampate più volte a Venezia nel principio del Seicento, nell’allestimento dell’edizione postuma delle Lettere di Giovan Battista Marino curata da Giacomo Scaglia nel 1627 (Lettere del Cavalier Marino gravi, argute, facete e piacevoli), fissate in una struttura macrotestuale che sin dal titolo sembra alludere all’operazione compiuta dal salentino, innanzitutto per l’abbinamento degli aggettivi argute e facete, novità introdotta proprio da Rao nel panorama delle sillogi epistolari edite fino ad allora (su quest’ultimo punto, Crimi, 2013, p. 359). Le Argute et facete lettere finirono all’Indice nel 1593 (Ruozzo, 2005, pp. 66 s.).
Con le Argute et facete lettere si è di fronte a una manifestazione tra le più significative di quell’ars combinatoria tipica di tanta cultura rinascimentale, calibrata, ma disinvolta raccolta di epistole fittizie (nella forma irregolare e dinamica di capricci, ghiribizzi, cicalate, invettive ad personam e satire) che offre un vasto assortimento delle instabilità umane, un catalogo di immoralità e bizzarrie affastellate in nome di una sistematica quanto lucida operazione di riscrittura, a volte massiccia e pervasiva, prossima non di rado al calco, di brani di opere di Anton Francesco Doni (Marmi, Seconda Libraria, Zucca), Giulio Landi (Orazione in lode dell’Ignoranza) e Ortensio Lando; del De vanitate di Agrippa nella versione di Lodovico Domenichi e dei Dialoghi di Pedro Mexía, dell’Apologia di Annibal Caro e del Dialogo della cura della famiglia di Sperone Speroni, secondo una parabola imitativa che giunge persino al recupero di opere religiose, come le Prediche di Cornelio Musso (Figorilli, 2004; Crimi, 2013, pp. 359-365; Crimi, 2016). Anche Berni, Aretino e Calmo (Argute, et facete lettere, Brescia 1562, cc. 15v-16r) incidono nell’universo tematico delle Lettere, popolato da personaggi ambigui, controfigure emblematiche, benché sovente dotate di identità e spessore storici, attraverso cui Rao condanna vizi e umane perversioni, non disdegnando talvolta violenti attacchi personali che alludono a feroci polemiche in corso (si vedano le lettere al «Signor Marchese Dino, huomo di quelli che cercano il pelo sull’uovo» e a «Messer Fenestella, huomo di perfetta ignoranza»). Elaborate nel segno di un incessante gusto per la parodia e l’arguzia dissacrante, che perviene all’innesto di trasparenti pasquinate in forma epistolare o di gustosi episodi di scrittura asinina, le Lettere rappresentano una prova certamente tarda, ma tra le più vivaci e paradigmatiche, del vario registro comico-paradossale cinquecentesco. Tanto oltranzismo argomentativo incide giocoforza sull’elaborazione della prosa pseudoepistolare, entro traiettorie stilistiche e retoriche contrassegnate massicciamente dall’uso di accumulazioni, ossimori, anafore, riprese proverbiali, allitterazioni e calembours che forniscono al testo un effetto saltellante, permeabile alla citazione implicita, alle più diverse tipologie di riuso e contaminazione linguistica.
Il decennio successivo della vita di Rao è avvolto nell’ombra: quasi certamente fu a Pavia nell’aprile del 1573 per una breve sosta dopo la quale rientrò definitivamente ad Alessano, dove si legò al marchese di Corigliano Scipione de’ Monti, per il quale scrisse un sonetto di maniera (Poiché al tuo dolce canto mansueta) nelle Rime in lode di Giovanna Castriota (Vico Equense, Cacchi, 1585, p. 176); si tratta dell’unica, a oggi nota, testimonianza poetica di Rao. In questo arco di tempo mandò alle stampe molte opere. Nel 1577 uscirono a Napoli presso Salviani un modesto opuscoletto, il De eloquentiae laudibus, e il trattatello Dell’origine de’ monti, dove le tesi fisiche e cosmologiche offerte al lettore sono desunte, oltre che dall’immancabile modello aristotelico, dalla lezione di Teofrasto, Tolomeo, Averroè e Alberto Magno. Nel 1581 è la volta dei nove trattati dei Meteori, che espongono alcuni capisaldi della fisica di Aristotele, con l’obiettivo di formulare un lessico filosofico in volgare capace di descrivere i più disparati fenomeni naturali.
Con i Meteori (e si consideri che nell’opera il tema meteorologico è affidato soltanto al Trattato terzo di alcune cose le quali sono di non picciola chiarezza a la cognition de’ Meteori) Rao intreccia con eclettismo opiniones eterogenee, legate tanto alla tradizione classica e medievale quanto a quella rinascimentale, Teofrasto, Tolomeo, Alessandro di Afrodisia, Averroè, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Giovanni Pontano, Giovan Camillo Maffei, dimostrando di possedere vaste competenze in campo astrologico e naturalistico.
Nel 1587 a Venezia (Zenaro) Rao diede alla luce un’ampia raccolta di Invettive, orationi e discorsi (33 invettive e 15 tra discorsi, orazioni e ragionamenti), nella quale sono riproposti molti dei temi percorsi nelle Argute et facete lettere, qui contrassegnati radicalmente dalla dialettica oppositiva tra vizi e virtù, materia topica da cui germoglia una prosa agile e linguisticamente colorita, che a livello argomentativo risente, per stessa ammissione di Rao nella nota A i saggi e giudiciosi lettori, di modelli tanto antichi (Platone e Aristotele) quanto moderni (l’«ingegnoso» Alessandro Piccolimini, l’«eloquente» Sperone Speroni, il «dotto» Girolamo Muzio, il «facondo» Giovan Battista Possevino, il «giudicioso» Bartolomeo Arnigio).
Rao visse ad Alessano fino alla morte, giunta con ogni probabilità tra il 1587 e il 1588.
Tra le opere inedite risulta una tragedia, la Medea Crudele, conservata nel ms. Toronto, Thomas Fisher Rare Book Library, MSS 05128 (segnalata in Crimi, 2016).
Fonti e Bibl.: N. Vacca, C. R. da Alessano detto ‘Valocerca’, in Archivio storico pugliese, I (1948), 1, pp. 7-32; L. Corvaglia, C. R. di Alessano. Cenni biografici, in L’Albero, V (1952), pp. 97-110; P. F. Grendler, Critics of the Italian World (1530-1560). Anton Francesco Doni, Nicolò Franco e Ortensio Lando, Madison-London 1969, pp. 202-204; G. Papuli, C. R., Scipione Gadaleta e l’uccisione di Donato Lècari (con documenti inediti), in Almanacco salentino, 1970-1972, pp. 129-151; A. de Nichilo, La lettera e il comico, in Le «carte messaggiere». Retorica e modelli di comunicazione epistolare: per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, Roma 1981, pp. 213-235 (in partic. pp. 225-230); J. Basso, Le genre epistolaire en langue italienne (1538-1662). Repertoire chronologique et analytique, I-II, Roma-Nancy, 1990, I, pp. 211-215; G. Papuli, Platonici salentini del tardo Rinascimento, Nardò 2001, pp. 9-44; L. Rizzo, Umanesimo e Rinascimento in Terra d’Otranto: il Platonismo di Matteo Tafuri, Nardò 2001, pp. 68-74; M.C. Figorilli, L’argute, et facete lettere di C. R.: paradossi e plagi (tra Doni, Lando, Agrippa e Pedro Mexía), in Lettere italiane, LVI (2004), pp. 410-441; U. Ruozzo, La letteratura italiana negli ‘Indici’ del Cinquecento, Udine 2005, pp. 66 s. e 127-129; D. Verardi, I Meteori di C. R. e l’aristotelismo in volgare nel Rinascimento, in Rinascimento meridionale, III (2012), pp. 115-128; Id., L’influenza delle stelle in un trattato in volgare del Cinquecento. Dell’Origine de’ Monti di C. R., in Philosophical readings, II (2012), pp. 15-23; Id., «In lingua nostra italiana». Sul greco e il latino nel lessico filosofico vernacolare di C. R, in Rinascimento, LII (2012), pp. 243-250; G. Crimi, Appunti per il testo e il commento delle Lettere di C. R., in Dissonanze concordi. Temi, questioni e personaggi intorno ad Anton Francesco Doni, a cura di G. Rizzarelli, Bologna 2013, pp. 353-374; D. Verardi, Lingua italiana e divulgazione scientifica nel Rinascimento. L’esperienza intellettuale di C. R., in Esperienze letterarie, XXXVIII (2013), 3, pp. 57-64; M. De Carli - D. Verardi, La laurea in artibus di C. R. con documenti inediti dall’Archivio di Stato di Bologna, in Bruniana e Campanelliana, XX (2014), pp. 259-264; N. Bonazzi, Asino chi legge. Elogio dell’asino e altre “asinerie” del Rinascimento italiano, Bologna 2015, pp. 131-156; G. Crimi, Ancora sulle Argute e facete lettere di C. R., in Scrivere lettere nel Cinquecento. Atti del Convegno, a cura di L. Fortini et al., in corso di stampa.