PEVERELLI, Cesare
– Nacque a Milano il 30 maggio 1922 da Cesare e Maria Cepparo, ultimo di sette figli. Frequentò il ginnasio a Torino ma a causa della tubercolosi interruppe gli studi. Rientrato a Milano nel 1938, nel 1939 studiò presso Aldo Carpi e all’Accademia di Brera fu allievo di Achille Funi e Carlo Carrà. Attraverso Ennio Morlotti entrò in contatto con il gruppo di Corrente, preferendo però all’accensione cromatica del neo-cubismo il tonalismo di Giorgio Morandi, come testimoniano le prime nature morte realizzate nel 1941 (coll. priv., ripr. in Gualdoni et al., 1996, p. 21) con i proventi del premio Jucker. Nello stesso anno Paolo Grassi, fondatore del gruppo di teatro sperimentale Palcoscenico e direttore della sala Sammartini di palazzo Serbelloni, gli affidò le scene per lo spettacolo Il cammino di Beniamino Joppolo diretto da Giorgio Strehler. D’impianto cubista era invece la natura morta inviata nel 1942 al IV Premio Bergamo, dove Peverelli conobbe Renato Guttuso, che lo ospitò a Roma. Tornato a Milano, realizzò otto tempere (Composizione, 1943, Milano, coll. Magliano, ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 8-9) ispirate al dipinto di Pablo Picasso Guernica (1937) che, presentate nel 1944 alla galleria del Milione, preannunziarono il suo coinvolgimento nella Resistenza. Nel 1944 fu ricoverato in sanatorio a Clusone (1944). Nel 1945 partecipò alla Mostra della Liberazione di Milano e Genova con un dipinto sui Disastri della guerra (E. Tadini, P. pittore curioso, in Settimo giorno, Milano, 24 apr. 1958, p. 51) memore di Francisco Goya; nello stesso anno prese parte all’occupazione insieme al Fronte della gioventù della casa dell’Opera nazionale Balilla a Milano. Si legò quindi alla rivista Argine Numero e fu nel 1946 tra i firmatari del manifesto Oltre Guernica, nonostante gli interessi per la psicoanalisi e per il lavoro di Marcel Duchamp (conosciuto attraverso Corrado Cagli) maturassero in lui una presa di distanza dal cubo-realismo. Nel 1947, alla mostra Arte italiana d’oggi. Premio Torino, ottenne il premio Grosso con La madre (1946, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano), conobbe Cesare Pavese e iniziò a collaborare con la casa editrice Einaudi, realizzando le acqueforti per La vita di Cola di Rienzo di Anonimo romano (dieci rami incisi all’acquaforte, s.a., Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi) e la copertina de La nausea di Jean Paul Sartre (1948).
Alla ricerca di una pittura engagé ma non succube di ideologie, fu tra i fondatori nel 1946 della rivista Numero Pittura (La piccola Brera, nn. 2-3, ripr. in Gualdoni, 2002, pp. 99 s.) e con Roberto Crippa aprì la galleria Pittura, dove nel 1949 tenne una personale accompagnata da una poesia di Aimé Césaire tradotta da Salvatore Quasimodo. La lettura di Freud e lo studio dell’etnologia lo avvicinarono alla poetica surrealista nel suo versante biomorfo e di automatismo psichico, che però non trovò espressione pittorica compiuta né alla XXIV Biennale di Venezia del 1948 (Ritratto, 1943, Natura morta, Paesaggio, 1948) né nell’edizione del 1950 dove, sulla scorta di Wols, Peverelli tentò suggestioni organiche (Abbraccio), in lui suffragate dalla prima personale europea di Jackson Pollock al Museo Correr di Venezia (Dripping, 1950, coll. priv., ripr. in Il movimento spaziale, 1999, p. 54). L’approdo all’Informale fu ratificato dalla sottoscrizione del IV, V e VI Manifesto del movimento spaziale (1951-52), dalla conferenza Realtà non realtà da lui tenuta nel 1952 alla galleria del Cavallino di Venezia (pubbl. con il titolo Silenzio e critica, in Minosse, IV, [1952], 32, s.p.) e dalla partecipazione alla prima collettiva di arte spaziale alla galleria del Naviglio con opere gestuali e polimateriche caratterizzate da un segno vigoroso che guardava a Georges Mathieu (La conquista spaziale, 1951, ripr. in Il movimento spaziale, 1999, p. 52; Polimaterico, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano). L’adesione allo spazialismo corrispose al rifiuto di ogni idea di bella pittura, traghettando l’artista nell’alveo surrealista e nucleare, di cui si sarebbe fatto propugnatore Arturo Schwarz. Data infatti al 1953 la mostra di arte surrealista da lui organizzata con il gallerista Alexandre Jolas presso l’Associazione Amici della Francia a Milano. Dal sodalizio con Crippa e Gianni Dova scaturì la partecipazione alla X Triennale di Milano del 1954 (si ricordano: tessuto stampato; piatto e vaso in rame; bozzetto per cancello in ferro disegnato con Guido Somaré) incentrata sulla collaborazione tra avanguardia e artigianato come l’edizione del 1957, dove l’artista espose una spilla nella Mostra del gioiello allestita da Arnaldo e Giò Pomodoro nell’ambito di questa stessa manifestazione.
I segni automatici della sua pittura si organizzarono in un microcosmo dilatato, come testimoniano i dipinti Insetto (1954, Milano, Casa Museo Boschi-Di Stefano) e Laggiù nel sole con frigidi fili… (Milano, coll. priv., ripr. in Gualdoni et al., 1996, p. 54), improntando la personale del 1954 alla galleria del Naviglio, in cui l’omaggio a Dylan Thomas anticipava una ricerca visionaria intrisa di sollecitazioni letterarie e musicali. Interessi del resto condivisi dall’ambiente familiare dell’artista: dalla passione paterna per la lirica alla carriera della cugina Luciana Peverelli nella narrativa sentimentale. Seguendo i suggerimenti di Marx Ernst e Victor Brauner, approfondì l’esercizio dell’immaginazione, trasformando i suoi insetti in veri e propri personaggi in Maintenant nous jouons avec (1957, Parigi, coll. Laplatre, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 21), dipinto ispirato al cinema di Charlie Chaplin e Jean Clair e presentato nel 1957 alla galleria du Dragon di Max Clarac-Sérou a Parigi. La personale coincise con il trasferimento dell’artista nella capitale francese, dove avviò, con i Salon de Mai – rassegna annuale creata nel 1945 dall’omonimo gruppo artistico francese – un’intensa attività espositiva internazionale e iniziò una collaborazione editoriale con i maggiori scrittori francesi.
Nel clima del nouveau roman intuì una narratività possibile attraverso l’enucleazione di temi in cicli compiuti di opere, che ritornano anche a distanza di tempo mescolandosi tra loro. Nella casa di Édouard Glissant a Montmartre nacquero nel 1958 i cicli pittorici La città (Parigi, coll. Kaplan, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 23) e Coppia sulla città (coll. priv., ripr. ibid., fig. 26). Il 1959 vide l’uscita della prima monografia sull’artista firmata da Emilio Tadini e Jean Selz e la partecipazione all’VIII Quadriennale nazionale d’arte di Roma (1959) nonché alla collettiva The new generation in Italian art, curata da Francesco Arcangeli, Giulio Carlo Argan e Marco Valsecchi alla galleria Odyssia di Roma (1960). In entrambe Peverelli espose opere del ciclo Coscienza della storia-nascita, caratterizzate dall’accostamento di più immagini sulla medesima superficie. Questa ricerca fu sviluppata nelle otto tele di La dimora, concepite come una sorta di work in progress, che nel 1960 andò a comporre la sala personale dell’artista presentata da Alain Jouffroy alla XXX Biennale di Venezia (1960), per poi combinarsi insieme nel dipinto La grande dimora (Torino, Galleria d’arte moderna). Contemporaneamente, Enrico Crispolti, Roberto Sanesi, Tadini e Arcangeli includevano Peverelli in collettive volte a tratteggiare una pittura di nuovo racconto esistenziale (Possibilità di relazione, galleria L’Attico, Roma 1960; Nuove prospettive della pittura italiana, Palazzo di Re Enzo, Bologna 1962 e Alternative attuali, Castello Spagnolo, L’Aquila 1962).
Grazie a Patrick Waldberg nel 1963 iniziò a soggiornare a Seillans (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), dove si erano stabiliti anche Dorothea Tanning e Max Ernst. Da qui la frequentazione di Tristan Tzara e la presenza nella collettiva Surrealismus. Phantastische Malerei der Gegenwart alla Künstlerhaus di Vienna (1962) o la collaborazione al volume Variations sur l’imaginaire (Paris 1972) con una litografia. Dopo il ciclo Gabbiani (ripr. in Russoli et. al., 1972, figg. 38-42), nato nel soggiorno in Bretagna del 1960 e incentrato sul tema della sospensione, fu la volta di Paradisier (Varese, Castello di Masnago) concepito a Panarea nel 1962 e ispirato al cerimoniale amoroso degli uccelli del paradiso. Palcoscenici metafisici tra realtà e sogno, i dipinti Le stanze (1962, ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 46) e i Labirinti (1963-64, ripr. ibid., fig. 59) ispirarono le incisioni per il poema di Raffaele Carrieri Le stanze oscure (Milano 1965), frutto della collaborazione con lo stampatore Giorgio Upiglio, analogamente a Guardare vedere (1964, nove tavole incise ad acquaforte, acquatinta, puntasecca, bulino) e Petite suite en blanc majeur (1966, nove tavole incise ad acquaforte e bulino). Paesaggi dell’anima insieme delicati e dannati sono anche le opere del ciclo Crisalidi dai filamentosi grafismi (1964-69, Milano, Museo della Permanente), che rappresentarono l’artista alla IX Quadriennale di Roma del 1965. Due dipinti-cardine per la sua ricerca matura apparvero nella mostra Pittura a Milano dal 1945 al 1964 organizzata da Raffaele De Grada in Palazzo Reale nel 1964: Le radeau de la Méduse (1963, coll. priv., ripr. in Russoli et al., 1972, fig. 57), d’après il noto dipinto di Theodore Géricault, e una prima idea per L’atelier (1963), che annunciava il recupero di una figurazione consapevole della dimensione storica della modernità.
Nel 1965 espose all’VIII Biennale di San Paolo del Brasile e soggiornò a New York, dove avviò il ciclo Campo di vetro (ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 82-85), cui seguirono gli imbuti prospettici dei Campi di canne (ripr. ibid., figg. 89-92) ispirati alla natura di Cuba, visitata dall’artista nel 1966. Datano al 1967 la cartella di litografie Promenoir du ciel (Milano 1967) con un testo di Waldberg e il testo Les arts primitifs per il catalogo della mostra Arts primitifs dans les ateliers d’artistes al Musée de l’homme di Parigi. La personale a La Nuova Pesa di Roma del 1968 fu presentata, tra gli altri, da un testo di Jean Laude tratto da Les plages de Thulé, a sottolineare l’emergere dalla sua pittura di tenebra di un disegno di luce memore di Tintoretto.
Nel 1969 soggiornò a Torri del Benaco (Verona) e nella fonderia di Miguel Ortiz Berrocal a Verona realizzò sette sculture in bronzo (coll. priv., ripr. in Russoli et al., 1972, figg. 109-115), che Giovanni Arpino presentò alla galleria Borgogna di Milano, insistendo sulla valenza poetica del ‘gesto’.
Gli studi dall’antico e la pratica della citazione, rispondenti a una ricerca del fantastico nella struttura stessa del linguaggio, sono alla base sia del ciclo Il mio giardino alla Rousseau (1970) dedicato al Doganiere, che chiudeva nel 1972 l’antologica allestita nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, sia del dipinto L’incedie du steamer Austria esposto da Giuseppe Gastaldelli a Milano nel 1973, ispirato all’omonimo quadro di Jean-Baptiste Isabey. Intercettarono tale ricerca le collettive D’après: omaggi e dissacrazioni nell’arte contemporanea, che si aprì a Lugano nel 1971 (Le radeau de la Méduse) e Omaggio all’Ariosto ospitata nel 1974 in Palazzo dei Diamanti a Ferrara, dove Peverelli espose Hommage à Cranach (1973): reinterpretazione della Venere del Louvre. Se le opere tratte dai cicli Nascita e Storia a due tempi, esposte nella sezione ‘Nuove ricerche d’immagine’ della X Quadriennale di Roma (1975), sviluppavano gli intendimenti narrativi di Peverelli, L’atelier de l’artiste (1964-65) riproponeva il tema courbetiano componendo i motivi iconografici di venti anni di lavoro in un’unica composizione spaziale, attorno alla quale costruì la personale del 1976 al Musée d’art moderne de la Ville de Paris. Il catalogo, che comprendeva testi di Italo Calvino e Jean Louis Lassaigne e un’intervista all’artista di Paul Restany, esplicitava l’intenso dialogo intessuto da Peverelli con la letteratura.
Con lo scrittore Michel Butor Peverelli ebbe un lungo sodalizio: dal volume ‘a quattro mani’ Répertoire 1 (Paris 1972) alle illustrazioni per Les sept femmes de Gilbert le Mauvais: autreheptaèdre (Paris 1972) o alle dodici acqueforti e i quaranta disegni di Le rêve de l’ombre (Paris 1976), i disegni preparatori delle quali figurarono nel 1976 alla parigina galleria Lucie Weill; dalle illustrazioni per l’opera in tre atti di René Koering Elseneur (su libretto di Butor, Paris 1980) alle incisioni di L’office des mouettes pubblicato dalla galleria Editart D. Blanco di Ginevra nel 1984 in occasione di una mostra a due, Butor-Peverelli. Nel ciclo Salomè (1977-88, Pau, Musée des beaux-arts), Peverelli arrivò a mettere in scena una vera e propria historia illustrata moltiplicando i punti focali (La dureé, débat Peverelli-Dufour, in Terzoocchio, IV (1978), 10, pp. 13-15). Trasformò la danzatrice bizantina di Oscar Wilde e quella sacrilega di Richard Strauss in una lunare mantide e il dramma biblico in un sogno di perlacee trasparenze, esponendo il corpus dei disegni preparatori alla milanese galleria Annunziata nel 1979 insieme a un testo esplicativo dell’iconografia religiosa sottesa dall’opera (il ciclo fu esposto nella sua interezza al Musée des beaux-arts di Pau nel 1996 corredato in catalogo dalla corrispondenza tra Butor e Peverelli).
Incentrati, specificamente, sul tema della cerimonia sacra furono i Rituali (1979-80), debitori della pittura di Pieter Jansz Saenredam, sui quali scrissero Jean-Luc Chalumeau e Laude (Bologna 1980). I quattro polittici dipinti a tecnica mista su tela de Le ore e le stagioni (1982, ripr. in Cescon, 2001, fig. 15) traevano invece ispirazione narrativa dal variare della luce delle Cattedrali di Rouen di Claude Monet, con la differenza che quelli dipinti da Peverelli erano paesaggi d’invenzione. Raccontano il mondo affettivo e intellettuale di Peverelli i ritratti (da Luigi Nono a Giuseppe Sinopoli, da François e di Noëlle Châtelet a Thalie Frugès) realizzati a partire da fotografie proiettate, che egli espose con l’aiuto di F. Passoni nel 1984 al Circolo della stampa di Milano corredati in catalogo da una riflessione su Paul Valéry e Arnold Schönberg. Già autore delle litografie per la riproposizione in lingua moderna della leggenda del Tristan et Iseut curata da Pierre Dalle Nogare (Parigi 1977), nel 1985 realizzò sul medesimo tema venti dipinti in omaggio a Denis de Rougemont, che presentò alla galleria du Bation di Ginevra, quindi le acqueforti per il poema di Laude État de veille (Paris 1988).
Negli anni Novanta si dedicò al disegno e alla ceramica, realizzando un corpus di opere (Raito, Museo della ceramica vietrense) presso l’Établissements Céramique La Cigale di Michel Ribero, che espose nel 1993 al Musée de la Ceramique di Vallauris Golfe-Juan. L’unico nuovo ciclo fu Arianna abbandonata (1993: ripr. in Gualdoni, 1999, p. 33), che confermava il ruolo centrale giocato dalla riflessione sulla pittura del passato. Dopo aver partecipato alla mostra The artist and the book in twentieth-century Italy al Museum of Modern Art di New York (1993), nel 1996 inaugurò la seconda antologica in Palazzo Reale curata da Flaminio Gualdoni che, in qualità di direttore della sala Veratti dei Musei civici di Varese, organizzò nel 1997 la personale Ritratti e altri disegni volta a indagare il dietro le quinte della sua pittura.
Morì a Parigi il 13 marzo 2000.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio privato Flaminio Gualdoni; Roma Archivio Fondazione Quadriennale nazionale d’arte.
P. Waldberg, C. P. (catal.), Milano 1966; F. Russoli et al., C. P. (catal.), Milano 1972; F. Gualdoni et al., I Quaderni: C. P. opere 1942/1995 (catal.), Milano 1996; Il movimento spaziale. Arte a Milano 1946-1959 (catal.), a cura di M. Corgnati, Milano 1999, pp. 50-56, 113 s.; F. Gualdoni, C. P. Il pittore e le sue storie, in Terzoocchio, XXV (1999), 92, pp. 33-34; M. Cescon, C. P. (catal.), Milano 2001; C. P. Opere 1950-1987 (catal.), a cura di F. Gualdoni, Cinisello Balsamo 2002 (con bibliografia precedente); C. P. Carte 1958-1990. I Quaderni del disegno italiano, a cura di G. Chierici - F. Gualdoni, San Paolo di Reggio Emilia 2005.