PARIBELLI, Cesare
– Nacque a Sondrio il 17 marzo 1763 da Lorenzo e Candida Sertoli.
Terzo di sette figli, a differenza dei fratelli intraprese la carriera delle armi e nel maggio 1781 si arruolò come cadetto nelle guardie svizzere del Regno di Napoli. Promosso alfiere nel 1783, a partire dal novembre dell’anno successivo usufruì di una licenza di diciotto mesi trascorsi nella terra natia, mentre il 27 marzo 1788 fu nominato aiutante reale del viceré di Sicilia. Durante il soggiorno a Palermo frequentò una loggia composta dallo stesso viceré Francesco Maria d’Aquino, principe di Caramanico, e da altri uomini di governo, nella quale circolavano testi di Gabriel Bonnot Mably e si commentavano gli avvenimenti francesi del tempo. Trasferitosi a Napoli nell’agosto 1790 in qualità di capitano del 2° reggimento Esteri, nell’estate successiva trascorse un nuovo soggiorno in Sicilia come avvocato difensore di un militare svizzero accusato di omicidio, mentre in seguito fu tra i più attivi nell’istituzione dei primi circoli giacobini napoletani.
Agli inizi del novembre 1793 fu arrestato a Napoli e poi trasferito nel carcere di Messina: l’accusa ufficiale fu di aver manifestato «sentimenti democratici», ma le successive deposizioni degli arrestati della congiura del 1794 gli attribuirono un ruolo determinante nella programmazione di un piano di sbarco transalpino sulle coste meridionali da realizzarsi a seguito della presa repubblicana di Tolone. Tale ruolo fu confermato nel marzo 1795, quando l’agente francese Bordé, nel redigere un piano d’invasione della Sicilia, presentò Paribelli come possibile supporto all’impresa perché favorevole alla Repubblica francese.
Nel 1797, mentre a Sondrio il fratello Giambattista si distingueva fra i fautori dell’annessione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina, fu nuovamente trasferito nel carcere di Napoli, da dove nell’estate del 1798 avviò una corrispondenza con l’ambasciatore cisalpino a Napoli Giovanni Ettore Martinengo Colleoni, che provò inutilmente a favorire la sua liberazione. Proprio nelle carceri borboniche, negli ultimi mesi del 1798, tradusse dal francese il cinquecentesco Discours de la servitude volontaire di Étienne de La Boétie, che fu pubblicato solo nei successivi mesi della rivoluzione napoletana (Discorso di Stefano della Boetia della schiavitù volontaria, o il Contra Uno, tradotto nell’italiano idioma, Napoli 1799). Tornato in libertà agli inizi del 1799, Paribelli non poté tuttavia corredare la traduzione di ulteriori note personali a causa dei sopraggiunti impegni nel governo repubblicano.
Il 25 gennaio, infatti, fu nominato dal generale Jean-Étienne Championnet fra i venticinque componenti del governo provvisorio, andando a comporre il comitato centrale e ad animare al fianco del presidente Carlo Lauberg indirizzi politici democratici come l’abolizione della feudalità e la richiesta dell’indipendenza ufficiale della nuova Repubblica. Dopo aver protestato contro le forzate dimissioni di Marc-Antoine Jullien da segretario generale della Repubblica napoletana e aver scritto con quest’ultimo un progetto di riforma che prevedeva la divisione del potere legislativo da quello esecutivo, si dimise dal governo ai primi di aprile, ma continuò a partecipare alla lotta politica influenzando la riforma istituzionale del nuovo commissario André-Joseph Abrial e recandosi a Parigi con la segreta missione di sottoporre al Direttorio la richiesta d’indipendenza napoletana. Passò per Roma e Firenze e, fermatosi a Lerici e Genova, provò a rilanciare la battaglia rivoluzionaria animando i locali circoli patriottici e scrivendo, insieme a Jullien, con il quale si era nel frattempo ricongiunto, l’Adresse des patriotes italiens aux législateurs et aux Directeurs de la République française, in cui si chiedeva alla nuova classe politica parigina assurta al potere il 30 pratile anno VII (18 giugno 1799) di proclamare una «République italique indépendante, une et indivisible, amie et alliée de la Répubblique françaie». Giunto a Parigi ai primi di agosto dopo un breve soggiorno a Grenoble, provò a tutelare i rifugiati napoletani, rivolgendosi più volte sia a Championnet sia a Napoleone Bonaparte di ritorno dall’Egitto e successivamente operando insieme a Francesco Ciaia nella commissione per il soccorso agli esuli. Perorò la causa napoletana anche fuori da ruoli istituzionali e nell’estate del 1800 presentò al luogotenente Bocquet una memoria in supporto delle sue accuse al colonnello Louis-Joseph Méjan, che aveva firmato il 21 giugno 1799 la resa dei castelli di Napoli, mentre nella primavera seguente inviò una petizione allo zar Paolo I e protestò contro le disposizioni stabilite nel Trattato di pace di Firenze. Dopo aver redatto con Ciaia un nuovo indirizzo unitario nei giorni successivi alla vittoria francese di Marengo del giugno 1800, rivendicò ruoli di maggior peso politico, ma le sue richieste rimasero inascoltate. Ad esempio, nonostante avesse realizzato un Progetto di discorso da farsi ne’ Comizi di Lione, non gli fu consentito di prender parte all’assise lionese.
Finita la fase dell’esilio, nella primavera 1802 tornò a Milano, dove, dopo una breve missione a Berna interrotta per l’opposizione di Bonaparte che – secondo Ferdinando Marescalchi – vedeva «sempre in lui il rivoluzionario di Napoli» (Conte, 2013, p. 331), Paribelli avviò una lunga collaborazione con le istituzioni napoleoniche. Con esse, però, ebbe anche forti contrasti, come testimoniato dalla contesa giudiziaria che nell’autunno 1804 lo vide opposto ai revisori milanesi che gli avevano sequestrato libri dal contenuto compromettente. Se negli anni della Repubblica Italiana fu componente del Consiglio amministrativo di guerra, con la costituzione del Regno ebbe essenzialmente incarichi militari. Così, dopo esser stato nominato commissario di guerra nel novembre 1805, nel corso della primavera seguente fu inviato in Dalmazia, dove soggiornò per circa due anni, lamentandosi con il superiore Giovanni Tordorò per l’emarginazione politica subita e le continue difficoltà materiali. Nell’estate 1808 fu inviato in Catalogna presso la divisione guidata dal generale Domenico Pino e qui nel gennaio 1809 fu promosso sottoispettore alle rassegne di 2ª classe. Tornato qualche mese più tardi in Italia, fu nominato cavaliere della corona ferrea il 19 febbraio 1810. Nel luglio dell’anno successivo tenne a Mantova un’orazione funebre in onore del generale francese Baptiste-Pierre-Francois Bisson e nell’aprile 1812 fu promosso sottoispettore di 1ª classe. Dopo brevi soggiorni a Verona e Macerata, ai primi del 1814 difese Ancona dall’assedio napoletano, mentre nel marzo successivo fu nominato presidente della Commissione per il vestiario dell’armata italica.
Caduto il Regno d’Italia, collaborò con l’esercito austriaco, recandosi a Vienna come liquidatore dei conti dei commissari di guerra. Già nel 1817, però, conseguito l’anno precedente il ripristino del titolo di conte, chiese e ottenne il congedo, che gli permise di vivere da colonnello in pensione.
Durante gli anni della Restaurazione fu prima sfiorato dalle indagini per la congiura di Mantova dell’autunno 1814 a causa della sua affiliazione alla Società dei Centri e poi oggetto di sorveglianza da parte della polizia austriaca per un soggiorno a Venezia effettuato nell’autunno 1820 con il carbonaro napoletano Gaetano Grassi. In seguito, pur lontano da incarichi ufficiali, continuò a frequentare i vecchi compagni degli anni rivoluzionari attivi nelle associazioni segrete milanesi del tempo, come confermato dalla presenza al suo capezzale di due ex giacobini ancora impegnati in attività cospirative quali Carlo Caimi e Pietro Varese.
Morì a Milano il 21 marzo 1847, lasciando la sua eredità ai nipoti, non essendosi egli mai sposato.
Opere. Fra le edizioni critiche recenti, si segnalano: Indirizzo ai francesi per la proclamazione della Repubblica italica (1799), a cura di L. Rossi, Napoli 1999; N. Panichi, Plutarchus redivivus? La Boétie e i suoi interpreti, seguito da Discorso di Stefano della Boétie Della schiavitù volontaria o il Contra Uno tradotto nell’italiano idioma da C. P., nuova ed. aggiornata e ampliata Roma 2008.
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