NAPPI, Cesare
Nacque intorno al 1440 a Bologna da Matteo di Matteo di Paolo e da Diamante di Leonardo Dalla Tuata.
Dalla famiglia, forse originaria di Faenza, di condizione assai agiata (aveva possedimenti in città, nel borgo degli Apostoli, e presso Castelfranco Emilia), uscirono fra il 1301 e il 1511 ben 11 notai. Dopo la morte del marito, Diamante si risposò con Ludovico Zenzifabri, con il quale Nappi non ebbe buoni rapporti. Quando Diamante morì, il 12 gennaio 1487, si scoperse che Ludovico aveva tenuto nascosta la sua malattia per farle fare un testamento con il quale, fatta salva una parte della dote, escludeva il figlio dall’eredità. L’odio nutrito per il patrigno giunse al punto che Nappi si rallegrò della sua morte, quando il 3 settembre 1490 fu assassinato da Giovanni Casotto da San Giorgio durante una lite.
Sulla biografia e il curriculum negli uffici siamo informati minuziosamente dal Memoriale, uno dei più compiuti esempi di libro di famiglia bolognese, la cui stesura Nappi iniziò nell'aprile 1483.
Compiuti gli studi grammaticali e retorici sotto la guida del sacerdote bolognese Mercadante Budrioli dalle Maschere (lettore di grammatica nello Studio dal 1458 al 1459-60 e di retorica e poesia dal 1460 al 1461-62), affrontò il corso di notariato e fu aggregato alla corporazione il 22 aprile 1461. Dopo la nascita di due figli illegittimi, uno nato da Cangenna di Giovanni Fantuzzi il 17 novembre 1470 e morto dopo pochi mesi, l’altro, di nome Silvio, nato il 24 giugno 1474 da una donna celata sotto le iniziali I. B., poi legittimato da Giovanni II Bentivoglio il 6 giugno 1480 e creato notaio nel 1489, il 18 novembre 1477 Nappi sposò Francesca di Nicolò Seccadenari con dote di 800 lire di bolognini. Dal matrimonio nacquero 12 figli, dei quali sopravvissero solo tre maschi: Metello, che divenne notaio, Attilio e Tito; e due femmine: Emilia e Ortensia. L’ultimo figlio, nato morto il 24 novembre 1496, fu causa della morte della madre.
L’affermazione di Nappi procedette di pari passo nella professione e nella vita pubblica: dal 1464 al 1466 fu notaio di Francesco Ranuzzi, ufficiale soprastante alle carceri presso Panico, di Gandolfo di Bartolomeo Gandolfì a Casiglio, di Bartolomeo Guidalotti a S. Giorgio, e di Filippo Maria da Monterenzo a Crevalcore. Nel 1470 ottenne dal Reggimento l’ufficio di notaio del giudice dei Dazi e seguitò a esercitarlo fino al 1476 a nome di Poeta di Nicoloso Poeti. Il 2 settembre 1473 divenne notaio della Compagnia dei barbieri e nel maggio 1475 gonfaloniere del popolo. L’anno seguente ottenne il notariato delle Accuse e nel 1477 i dazieri delle moline lo vollero per sollecitatore delle loro cause; tale ufficio gli fu concesso per dieci anni da papa Sisto IV il 17 luglio 1479, al ritorno da una missione diplomatica a Roma, dove era stato inviato come segretario del giurista Bernardo Sassoni, che ottenne la revoca dell’interdetto lanciato contro i bolognesi perché si erano alleati con i fiorentini e gli altri avversari del pontefice. Sempre su incarico del Reggimento, il 21 luglio 1481 fu inviato a Ercole I d’Este per trattare questioni confinarie fra Samoggia e Montombraro: stipulò un accordo di pace dopo 20 anni di continua discordia fra i due villaggi. Il 21 agosto 1481 fu inviato ai castelli di Covo e Antignate; ai primi di dicembre 1481 accettò l’incarico di capitano in Val di Lamone per un anno. Rientrato in città il 5 aprile 1483, si recò a Savigno e Montetortore ancora per questioni di confini. Nel primo semestre 1484 fu eletto console della Società dei notai di cui fu nominato correttore e nel luglio 1485 console (in tale occasione Giovan Battista Refrigerio gli indirizzò il sonetto Bon prò te faza, signor mio piacevole). Nel 1484 fu anche chiamato a far parte degli Anziani. Il 5 luglio 1485 presenziò a nome di Giovanni Bentivoglio alle nozze di Ginevra figlia di Roberto da Sanseverino con Lucio di Ludovico Malvezzi.
Dopo essere stato per un anno notaio al tribunale della Mercanzia, fu inviato a comporre questioni fra Croara, Imola e Sassonero (17 febbraio 1489), fra Vignola e Serravalle (14 maggio e 4 novembre 1489), fra Stagno, Treppio, Badi e la Sambuca (16 luglio, 14 settembre e 9 novembre 1492). Del 1490 è il restauro dell’iscrizione per Re Enzo, «instauratum aere publico authoribus Iohanne Francisco Aldrovando dictatore, consulibusque ianuario et februario 1490, Kalendis Martiis Caesar Napaeus edidit», riportata da Cherubino Ghirardacci (1915, p. 264). Per controversie di confine fra Stagno, Treppio, Badi e la Sambuca fu mandato anche a Firenze il 16 settembre 1492 e si presentò a Piero de’ Medici con una lettera di Annibale II Bentivoglio. Fu rieletto fra gli Anziani per il bimestre settembre-ottobre 1496, mentre era gonfaloniere di giustizia Giovan Francesco Aldrovandi, con il quale dichiara di avere «rinnovata la memoria d’Azzo glossatore», vale a dire la sua tomba che esisteva presso il campanile della chiesa di S. Gervasio, annotando che sebbene il restauro fosse fatto a nome di tutti gli Anziani fu opera solo di loro due, «né alcun altro el seppe se non quando fu finita detta opera» (Memoriale, p. 165).
Il 17 luglio 1499 fu protagonista di un fatto di sangue, narrato dal cronista Fileno Dalla Tuata. Verificatosi un alterco nella Compagnia dei notai tra sostenitori di Nappi e partigiani di Cristoforo Dal Poggio, uno di questi, Andrea Dalla Ragazza, la sera, in casa di Achille Dalla Tuata, fratello del cronista, fu ferito a morte alla testa dal figlio naturale di Nappi, Silvio. La parte avversa accusò Nappi di omicidio, furono esaminati cinque testimoni falsi e Nappi subì il carcere per 15 giorni, finché fu assolto, sebbene Achille Dalla Tuata facesse di tutto perché fosse condannato. Silvio fu bandito. Nappi si vendicò di Achille dopo la sua morte, con tre mordaci sonetti (in Palladium eruditum, c. 287). Nel 1501 rogò il trattato di pace tra i Bolognesi e il duca Valentino. Nel 1505 fu vicario a Castel San Pietro, e nel 1506 recitò l’orazione in nome del Collegio dei notai per promettere obbedienza a Giulio II dopo la cacciata dei Bentivoglio (ibid., c. 222). Tale atto di sottomissione non dovette ottenere l’effetto sperato, perché nel 1508 fu accusato di avere cooperato alla distruzione delle case dei Marescotti e condannato a 100 lire di multa e nel 1512 fu processato per ordine di Orlando del Carretto governatore della città, insieme con altri ex amici dei Bentivoglio.
Solo dopo la morte di Giulio II e l’elezione di Leone X visse tranquillamente in patria, intento ai suoi studi.
Morì a Bologna il 22 febbraio 1518 e fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Domenico.
Fra le numerose proprietà di Nappi spicca la sontuosa villa di campagna fatta costruire nel 1479, orgogliosamente denominata 'Nappea', adorna di un’iscrizione romana di età augustea (Corpus Inscritionum Latinarum, XI, 781; ora nel Lapidario romano di Bologna), completata con la frase: «Caesar Napeus antiquitatis cultor luci restituit». Una bottega di merciaio presso la porta del palazzo del Podestà, comprata il 28 agosto 1417 dal suo bisavolo Polo di Bartolomeo Nappi, fu atterrata il 9 gennaio 1484 per ordine di Giovanni Bentivoglio. La casa di città era nella parrocchia di S. Antonio, nella contrada detta del Fieno e della paglia, poi via dei Vetturini: fu acquistata da Nappi dopo il 1493, quando lasciò la casa sotto S. Bartolomeo di Palazzo, in gran parte atterrata per dare spazio alla piazza delle Volte dei pollaroli.
I primi studi moderni dedicati a Nappi si appuntarono sulla sua attività poetica, per lo più di soggetto amoroso, compresa nell’antologia dei Rimatori bolognesi del Quattrocento di Ludovico Frati (1908). Più numerose sono le poesie di stampo popolare; molte barzellette, frottole, ballate, strambotti furono musicati, ma del canto che li accompagnava non resta altra notizia che nei titoli di alcune di esse: come nel serventese Ite caldi suspiri e mente afflitta, «super quo est cantus magistri Roberti Angli»; nella barzelletta e nello strambotto amoroso a c. 281 del Palladium eruditum, che avevano il canto a quattro composto; nello strambotto fatto a «emulatione in uno strambotto cum el canto» che incominciava Io ardo in foco che non brusa legne e in qualche altra. Importante l’egloga rusticale senza titolo scritta nel 1508 (Frati, 1908, pp. 181-196), che ha per argomento una danza villereccia e offre un elenco di non poche canzoni a ballo popolari sulla fine del XV e i primi anni del XVI secolo. Altri serventesi e barzellette sono scritti in lode o biasimo delle donne, o rappresentano i lamenti della malmaritata o del marito, oppure descrivono le deformità d’una vecchia. Un solo sonetto nel Palladium è di argomento politico, composto nel 1494 per la spedizione di Carlo VIII in Italia. Non mancano le poesie religiose per lo più risalenti agli ultimi anni di vita.
L’attività letteraria di Nappi va letta tenendo presenti i due lati del dittico costituito dai suoi lasciti letterari maggiori, il Memoriale e il Palladium eruditum, che in qualche modo si integrano fra loro, senza dimenticare i significativi episodi di recupero archeologico legati alla sua attività di pubblico amministratore e privato collezionista di antichità. Anche l’esercizio poetico, pur nell’indubbia appartenenza alla rimeria tardo-quattrocentesco di genere, si distingue per un’attenzione a fermenti nuovi, come testimonia a esempio l’egloga del 1508, o la sopravvivenza che assicurò a versi e lettere del letterato mantovano Battista Spagnoli, raccolti alacremente (Palladium, cc. 55r, 56r, 67r, 218v-219v, 195v, 266r) e dati alla luce nella ristampa della Parthenice di Spagnoli che Nappi curò per il tipografo Platone De’ Benedetti (Indice generale degli incunaboli, nn. 1179-1187).
Con il Memoriale Nappi sembra avere una responsabilità regolatrice nell’ambito della memorialistica familiare: l’ordine delle sezioni che si ritrova nell'opera, dall’invocazione ai ricordi delle nascite dei figli, degli incarichi pubblici, dei comparatici, delle compravendite di case e terreni, dei prestiti, degli amici in città e forestieri, fino a coprire tutte le diverse materie in un ben organizzato archivio personale, sembra non avere riscontro nell'apparente disordine di altre carte familiari di colleghi notai come i Mamellini e Mattesillani.
Fra le sezioni, rilevante quella sui libri posseduti: accanto ai professionali Digesto, Decreto, Rationale divinorum officiorum e Instituta, compaiono anche classici come Quintiliano, Giovenale, Silio Italico, Ovidio, Festo Pompeo, Aulo Gellio, ma anche letteratura moderna, come la Pliniana defensio di Pandolfo Collenuccio (conosciuto a Bologna quando era stato giudice al Disco dell’Orso dal novembre 1472 all’ottobre 1473), scritta nel 1493 e nelle mani di Nappi già nel marzo dell’anno successivo, le opere del citato Spagnoli, il Valla del De falso credita et ementita Constantini donatione, Benedetto Morandi.
Nell’arco di una mutazione che si fece sempre più sensibile proprio negli anni della sua ascesa professionale, Nappi si trovò a dover presentare le proprie credenziali su un palcoscenico non univocamente municipale, ma su cui interveniva la compresenza di un percorso parallelo di ascesa alle cariche, costruito sulla logica clientelare cortigiana e nel quale il rapporto personale col signore prendeva il posto delle relazioni codificate di reclutamento corporativo. In un simile contesto un notaio intellettuale come Nappi fu più propenso a forme di memoria accentrate su se stesso e sulla propria stirpe, che non a una registrazione annalistica degli eventi in un orizzonte municipale.
Il monumento di sé trasmesso dal Memoriale è completato dallo zibaldone autografo intitolato Palladium eruditum, dove la biblioteca dell’autore si amplia in un eclettismo di letture consono alla stratificazione culturale del maturo Quattrocento a Bologna, senza tuttavia che ne rimanga offuscata la rilevante impronta di una curiosità filologica e antiquaria. Significativa in questo senso risulta la trascrizione di brani del primo libro di Polibio, evidentemente nella traduzione fornita da Niccolò Perotti a metà secolo: un’impresa condotta dal segretario del cardinale Bessarione a filo diretto con la Curia di Niccolò V e che a Bologna aveva fatto epoca, almeno quanto il caso delle leggi suntuarie di cui il cardinale pretese l'applicazione nel 1453; Nappi poeta volgare vi partecipò con i componimenti in nome di Bononia mater e di Medusa.
Si aggiungano l’attenzione espressa dal sonetto Mendace Grecia hor gemi ogni tuo caso per la traduzione delle Vite plutarchee condotta da Giovan Battista Refrigerio; ma anche l’interesse per l’attività di Filippo Beroaldo, attestato dall’annessione della sua corrispondenza alle carte del Palladium, che reca ancora la cifra di una ricognizione a tutto campo sull’orizzonte umanistico d’avanguardia. La sensibilità agli sviluppi culturali contemporanei riaffiora nella frequentazione del campo d’indagine dell’antiquaria, rappresentata da trascrizioni di epigrafi e dalla consuetudine con figure come Felice Feliciano, o dalla lettera sulle rovine di Roma a Refrigerio, così come, sul piano personale e privato, dai nomi all’antica imposti ai figli: Silvio, Deifebo, Virginia, Sertorio, Cornelia, Emilia, Ortensia, Metello, Attilio, Tito. A dire il vero, una chiave di lettura per il complessivo patto con la retorica di un intero ceto intellettuale cittadino l’aveva già fornita Giovanni Sabadino degli Arienti, estraendo dal Palladium non solo una esercitazione narrativa vagamente boccaccesca – quei Negromanti che piacquero a Olindo Guerrini – ma anche il profilo individuale di Nappi e la sua voce in praesentia collocata fra i novellatori delle Porrettane. Opere: Il manoscritto del Palladium eruditum è conservato a Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 52 b. II, nn. 1 e 3. Sono disponibili in edizioni moderne I Negromanti, a cura di O. Guerrini, Bologna 1885 (per le nozze Guerrini - Antinori); Rime di Cesare Nappi notaro bolognese del sec. XV, a cura di U. Bassini, Bologna 1886 (per le nozze Ferrari - Gini); Cantilena di Cesare Nappi, Bologna 1891 (per le nozze Marcovigi - Gelmi); L. Frati, Un’egloga rusticale del 1508, in Giornale storico della letteratura italiana, XX (1892), pp. 186-204; Id., Rimatori bolognesi del Quattrocento, Bologna 1908, pp. 197-274; Memoriale mei. Ricordi de mi, con l’appendice del Memoriale secondo, a cura di L. Quaquarelli, Bologna 1997.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Notarile, Francesco Mattesillani seniore, 16 novembre 1516; Cesare Nappi seniore, pezzo 2; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, Parte terza, a cura di A. Sorbelli, Città di Castello 1915 (Rer. Ital. Script., 2a ed., XXXIII, p. I), p. 264; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VI, Bologna 1788, pp. 146-149; A. Malagola, Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro. Studi e ricerche, Bologna 1878, pp. 240-242; L. Frati, Un notaio poeta bolognese del quattrocento, in La Rassegna nazionale, XXV (1903), pp. 26-43; Id., Storia documentata di Castel San Pietro dell’Emilia, Bologna 1904, p. 238; Id., Indice dei codici latini conservati nella R. Biblioteca universitaria di Bologna, Firenze 1909, pp. 129-138; Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, XV, Forlì 1909, pp. 58-67; Consiglio nazionale del notariato, Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, Milano 1961, pp. 412-417; A. Tartaro, Una storia per Sabadino degli Arienti: Porrettane, XXV, in Cultura neolatina, XXVI (1966), pp. 253-276; M. Pieri, La scena boschereccia del Rinascimento italiano, Padova 1983, p. 74; A. Cicchetti - R. Mordenti, I libri di famiglia in Italia, I, Filologia e storiografia letteraria, Roma 1985, pp. 124, 163, 175 s.; E. Raimondi, Codro e l’umanesimo a Bologna, Bologna 1987, pp. 62, 69, 88, 99, 102 s.; S. De Maria, Fra corte e Studio: la cultura antiquaria a Bologna nell’età dei Bentivoglio, in Il contributo dell’Università di Bologna alla storia della città: l’evo antico, a cura di G.A. Mansuelli - G. Susini, Bologna 1989, pp. 189-193; M. Carlin - J.T. Rosenthal, Food and eating in Medieval Europe, London 1998, pp. 160 s., 170; G. Susini, Bononia/Bologna, Bologna 2001, pp. 305-309; L. Quaquarelli, Memoria e famiglia di un notaio ‘umanista’, in Per singulare memoria. Retoriche a margine e identità municipale nel Quattrocento bolognese, Bologna 2001, pp. 109-140; L. Martines, Strong words: writing and social strain in the Italian Renaissance, Baltimore 2003, pp. 71, 77, 88; G. Perini, Un epigramma di Ottaviano Collenuccio per un ritratto di C. N., in Res Publica Litterarum, XXVII (2004), pp. 160-171; F. Pezzarossa, Paesaggio urbano e di contado nei testi memorialistici, in La percezione del paesaggio nel Rinascimento, a cura di R. Campagnoli - A. Scanu, Bologna 2004, pp. 297-327; Ch. Klapisch-Zuber, Écritures privées et démographie chez les marchands et notaires de Florence et Bologne, xve siècle, in J.-P. Poussou - I. Robin-Romero, Histoire des familles, de la démographie et des comportements: en hommage à Jean-Pierre Bardet, Paris 2007, pp. 569-584; Id., Les archives des familles italiens, in L’autorité de l’écrit au Moyen Âge (Orient-Occident), Paris 2009, pp. 371 s.