MORMILE, Cesare
– Nacque tra il secondo e il terzo decennio del XVI secolo da Jacopo, V barone di Frignano Piccolo, che morì nel 1526.
Discendente da una antica famiglia del patriziato napoletano ascritta al Seggio di Portanova, i cui membri avevano visto crescere le loro fortune politiche ed economiche per aver prestato servizio come uomini d’arme per i sovrani angioini prima e aragonesi poi, anche Mormile acquisì meriti militari che gli valsero la concessione del titolo di barone di Petrella (Tifernina) e di Casapesenna e Isola, piccoli castelli situati nelle pertinenze di Aversa, nell’antica provincia di Terra di Lavoro.
In data imprecisabile sposò Camilla Sannazzaro, figlia di Giovan Francesco, barone di Mondragone e nipote ex fratre del poeta Jacopo, anch’essi iscritti al Seggio di Portanova. Dal matrimonio nacque Giovan Camillo (morto nel 1622), che ereditò dal padre la baronia di Petrella e dalla madre la villa dei Sannazzaro, a Mergellina, con la cappella intitolata alla Madonna del Parto, dove è sepolto il poeta. A Napoli i coniugi Mormile abitarono in palazzo Bonifacio, in via Portanova, in luogo poco distante dall’omonimo Seggio. Nel feudo di Casapesenna, inoltre, Mormile fece costruire un’altra residenza di famiglia, un imponente palazzo per il quale spese una somma di circa 3000 ducati.
Durante i moti del 1547, quando l’opposizione che da tempo montava a Napoli contro la politica della Spagna e del viceré Pedro Álvarez de Toledo, promotore dell’assolutismo regio e di una politica di contenimento delle prerogative del baronaggio, assunse i toni della rivolta, Mormile, dichiaratamente ostile alla politica antinobiliare toledana, ebbe un ruolo di spicco sin dalla prima ora. I fatti presero l’avvio in aprile, allorché cominciò a diffondersi la notizia che il governo fosse in procinto di riformare in maniera radicale l’Inquisizione. La pubblicazione, l’11 maggio, di un editto vicereale che rafforzava drasticamente i poteri inquisitoriali fece precipitare gli eventi. Proteste e sommosse si manifestarono nei giorni successivi un po’ ovunque in città. Mentre il viceré faceva affluire in Castel Nuovo 3000 soldati spagnoli, il 17 maggio i deputati dei Seggi riuniti in S. Lorenzo affidarono a Mormile e ad altri due nobili cavalieri il compito di reclutare soldati e organizzare la difesa della città contro gli spagnoli.
Gli scontri di quei giorni lasciarono sul campo qualche centinaio di morti, dell’uno e dell’altro fronte. Mormile, da più parti ritenuto il vero capo della rivolta, era riuscito a radunare oltre 10.000 uomini, tra napoletani e provinciali, e ad assicurarsi il consenso della parte popolare, oltre che del fronte nobiliare. Nuovi tumulti scoppiarono tra il 21 e il 22 luglio. Questa volta anche il Consiglio collaterale, massimo organo politico del Regno, ne addebitò la responsabilità e la guida in primis a Mormile.
Secondo il parere del viceré, da mesi un gruppo di aristocratici andava mostrando forte ostilità all’azione del suo governo, prima in merito alla questione fiscale e ora rispetto alle procedure dell’Inquisizione. I rivoltosi chiedevano soprattutto il ristabilimento delle procedure ordinarie in materia di Inquisizione, rivendicando il diritto patrio contro l’arbitrio ministeriale. Pare, inoltre, che fin dal 14 giugno i servizi segreti del viceré avessero intercettato una lettera cifrata inviata da Giacomo Cossa allo stesso Mormile, in cui si ventilava l’ipotesi di poter realizzare a Napoli una repubblica aristocratica sul modello di quella di Venezia, in radicale antitesi, dunque, non solo al processo di accentramento monarchico che Toledo aveva portato avanti specialmente negli ultimi dieci anni, ma anche rispetto all’appartenenza stessa del Mezzogiorno al sistema della monarchia ispanica.
Il 7 agosto fece ritorno a Napoli l’ambasciatore inviato a corte dalla Deputazione cittadina, con l’ordine di Carlo V di deporre le armi e obbedire al viceré, ma anche con l’assicurazione che l’Inquisizione more ispanico non sarebbe stata introdotta nel Regno. A tale ordine fece seguito l’indulto per tutti i rivoltosi, a eccezione di alcuni, tra cui Mormile e i suoi fratelli Pirro e Mario. In qualche modo, però, essi furono avvertiti e riuscirono a oltrepassare in tempo i confini del Regno. Accusati del delitto di lesa maestà, ebbero confiscati i loro beni. A Mormile vennero requisiti i castelli di Casapesenna e Isola che, incamerati dalla Regia Corte, furono venduti, nel 1551, a Giovanni de Fundo per un importo complessivo di oltre 15.000 ducati.
All’inizio degli anni Cinquanta Mormile era a Roma – dove trovò la protezione del papa Paolo III e del cardinale Gian Pietro Carafa, che muoveva le fila del partito antispagnolo in curia – ed entrò in contatto con il gruppo dei fuoriusciti napoletani, tutti giovani esponenti dei maggiori lignaggi nobiliari del Regno, che tramavano una congiura per la destituzione del viceré Toledo. Secondo le informazioni raccolte da questo, fu ancora Mormile a reggere le fila del complotto, per il quale l’isola di Ischia avrebbe dovuto fungere da base per un’invasione francese nel Regno di Napoli. Il progetto fallì grazie ai servizi di spionaggio e alla pronta reazione di Toledo. Mormile, vista sfumare qualunque prospettiva alternativa alla politica assolutista degli imperiali a Napoli e certamente desideroso di rientrare in patria e nel possesso dei propri beni, si fece allettare dalle proposte fattegli pervenire attraverso l’ambasciatore di Carlo V a Roma Diego Hurtado de Mendoza. In cambio del perdono decise di denunciare il piano d’attacco che francesi e ottomani andavano preparando ai danni della flotta napoletana.
Nell’agosto 1552 arrivò a Napoli in incognito ed ebbe dal viceré una grossa somma di denaro per liquidare il capitano delle navi ottomane, che da mesi faceva razzie lungo le coste e nelle acque del Golfo. Nei mesi successivi fu incaricato di reclutare un contingente di fanteria per partecipare all’impresa di Siena, operazione nella quale spese circa 3000 ducati. Tornava così nella vita pubblica napoletana, riacquistandovi presenza e importanza. La richiesta di un indulto a suo favore, con la reintegrazione dei beni che gli erano stati confiscati, fu sottoscritta dal viceré all’imperatore Carlo V già nel gennaio 1553, poco prima della sua partenza da Napoli, ma tardò ad avere effetto. Il 7 ottobre 1556, il tribunale della Camera della Sommaria doveva ancora prendere in esame l’istanza di Mormile, che l’anno prima aveva ottenuto il parere favorevole del re, di essere risarcito dei feudi di Casapesenna e Isola, a suo tempo confiscatigli, e delle rendite che in essi erano maturate nell’ultimo triennio. Secondo la relazione stilata dal perito incaricato per l’occasione dal tribunale, avrebbe avuto diritto a un indennizzo di 33.000 ducati; pare che in realtà dovette accontentarsi di molto meno.
Da quella data non si hanno più sue notizie.
Fonti e Bibl.: Napoli, Raccolta privata Gambini de Vera d’Aragona, Albero genealogico Mormile; Napoli, Biblioteca Società napoletana di storia patria, ms. XX C 27: Consulta sopra l’intrate et valore delli casali de Casa Pesenna et l’Isula che foro de C. M. […], cc. 40r-45v; A. Castaldo, Dell’istoria di notar Antonino Castaldo: libri quattro nei quali si descrivono gli avvenimenti piu memorabili succeduti nel Regno di Napoli sotto il governo del vicere Pietro di Toledo e de’ vicere suoi successori fino al cardinal Granvela, I, Napoli 1769, pp. 80-85; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, VI, Napoli 1883, p. 121; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli. Narrazione con molti documenti inediti, I, Città di Castello 1892, pp. 202-209; A. Bulifon, Giornali di Napoli dal 1547 al 1706, a cura di N. Cortese, I, Napoli 1932, pp. 1-20; A. Cernigliaro, Patriae leges privatae rationes. Profili giuridico-istituzionali del Cinquecento napoletano, Napoli 1988, pp. 115 s., 209; C.J. Hernando Sánchez, Castilla y Nápoles en el siglo XVI. El virrey Pedro de Toledo: linaje, estado y cultura (1532-1553), Salamanca 1994, pp. 318, 324-327, 332 s.; R. Ajello, Una società anomala. Il programma e la sconfitta della nobiltà napoletana in due memoriali cinquecenteschi, Napoli 1996, p. 264; M.A. Visceglia, Identità sociali, La nobiltà napoletana nella prima età moderna, Milano 1998, p. 134; G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), in Storia d’Italia (UTET), XV,2, Torino 2005, pp. 504, 510, 535.