LUPORINI, Cesare
Nacque a Ferrara il 20 ag. 1909 da Luigi e Rosa Mongini. Rimasto in tenera età orfano del padre, un ufficiale di carriera morto durante la prima guerra mondiale, compì i suoi studi a Firenze, dove si laureò in lettere con E.P. Lamanna con una tesi su I. Kant (cfr. Critica e metafisica nella filosofia kantiana, in Atti della R. Acc. nazionale dei Lincei. Rendiconti, s. 6, XI [1935], pp. 87-115).
Durante la preparazione della tesi, tra il 1930 e il 1933, era stato in Germania, dove aveva seguito a Friburgo le lezioni di M. Heidegger e aveva conosciuto N. Hartmann. Si segnalò nel mondo degli studiosi dapprima con una serie di saggi apparsi tra il 1938 e il 1942 nel Giornale critico della filosofia italiana in polemica con G. Bontadini, autore del Saggio di una metafisica dell'esperienza (Milano 1937). Fu, comunque, il contesto filosofico tedesco a influenzare i suoi primi scritti, che prendono in esame la fenomenologia e l'esistenzialismo (cfr. Esistenza, in Argomenti, I [1941], 1, pp. 34-44; 2, pp. 23-37; 5-6, pp. 59-72; L'etica di Max Scheler, in Studi germanici, I [1935], pp. 320-345, rielaborato e ripreso in Filosofi vecchi e nuovi: Scheler, Hegel, Kant, Fichte, Leopardi, Firenze 1947).
Questi filoni della filosofia erano assorbiti dal L. in modi originali, che ne depotenziavano il quadro teorico complessivo, come accadeva nel saggio sull'etica di M. Scheler, dove il L. si preoccupava di liberare l'intuizionismo etico dall'ontologia per recuperare la tesi che sentimenti e concetti sono intessuti nell'esperienza morale. Con ciò, tuttavia, egli usciva del tutto dal quadro aprioristico e metastorico di Scheler e sosteneva che l'etica ha un carattere formale che si cristallizza di volta in volta, storicamente, in diverse visioni della vita.
Anche l'esistenzialismo fu rielaborato dal L. in modi personali e originali; ma in questo era in compagnia di molti altri filosofi italiani in quel momento storico (come N. Abbagnano, La struttura dell'esistenza, Torino 1939, e N. Bobbio, La filosofia dell'esistenza in Italia, in Rivista di filosofia, XXXII [1941], pp. 111-122), per i quali l'esistenzialismo e la filosofia di Heidegger in Sein und Zeit (1927) non rappresentarono tanto l'incontro con un preciso quadro filosofico quanto un momento di rottura con la filosofia nazionale, dominata dall'attualismo gentiliano e dallo storicismo crociano, e l'apertura alle filosofie europee. Inoltre, nell'esistenzialismo si potevano recuperare i temi della libertà e della centralità e irriducibilità dell'individuo e della soggettività umana. Come scriveva il L. nel suo volume esistenzialista Situazione e libertà nell'esistenza umana (Firenze 1942, ed. rivista, 1945, p. VII): "l'esistenzialismo si oppone a ogni sorta di provvidenzialismo, storicismo e automatismo spirituale e materiale, e si presenta come rivendicazione dell'incarnato individuo e, nell'individuo, della persona come incondizionata iniziativa". L'esistenzialismo era letto, cioè, come una filosofia della libertà delle persone concrete anziché dello "spirito" astratto e, come tale, in funzione critica non solo contro l'idealismo ma contro le ideologie oppressive e tra esse innanzitutto il regime fascista.
Il L. iniziò la carriera di docente nei licei a Firenze. Nel 1939 fu chiamato da G. Gentile alla Scuola normale superiore di Pisa, come lettore di lingua tedesca in sostituzione di P.O. Kristeller, emigrato negli Stati Uniti dopo la promulgazione delle leggi razziali. Alla Scuola tenne di fatto anche lezioni di filosofia, privilegiando quella tedesca contemporanea. A Pisa conobbe e sposò Maria Bianca Gallinaro.
Sul terreno politico, il L., già divenuto antifascista nel 1930, aderì dal 1936 al 1943 alle posizioni liberalsocialiste e contribuì al movimento (embrione del futuro Partito d'azione) collaborando, tra gli altri, con Bobbio e A. Capitini. Tra il 1940 e il '43, come molti altri giovani antifascisti, pubblicò alcuni articoli nella rivista Primato, lettere ed arti d'Italia di G. Bottai.
La stagione esistenzialista si concluse nei primi anni di guerra, quando il L. andò maturando la sua adesione, filosofica e politica, al marxismo. Nell'agosto 1943, infatti, si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI), in cui militò fino al 1991, animato dalla convinzione che "l'umanità che pensa deve coimplicarsi in modo diretto con l'umanità che soffre" (Zanardo, p. 49).
Nel 1945, insieme con R. Bilenchi e R. Bianchi Bandinelli, fondò a Firenze la rivista Società (il primo numero, relativo al semestre gennaio-giugno 1945, vide la luce ai primi di luglio), dapprima diretta da Bianchi Bandinelli, poi anche dal Luporini.
A differenza di Rinascita, Società non era strettamente organica al PCI. Gli obiettivi della rivista trascendevano spesso l'ambito politico, riflettendo il pensiero di studiosi di provenienza prevalentemente idealistica, formatisi in ambito accademico e non nel partito. Scarso vi appare l'interesse nei confronti della discussione presente nel PCI circa l'organicità degli intellettuali, la linea culturale nazionalpopolare, il rapporto con la tradizione. Circa la diffidenza di P. Togliatti nei confronti della rivista fiorentina ricordava lo stesso L.: "Togliatti non apprezzava il nostro proposito di fare i conti con certi nodi della cultura nazionale, di valutare alcuni aspetti rilevanti della moderna cultura europea (da esistenzialismo a neopositivismo) e di aprirci verso la cultura classica russa, [(] insisteva perché trattassimo temi italiani" (cit. in Ajello, p. 69). Nel 1948 Società fu posta sotto il controllo diretto della commissione cultura del PCI e la redazione trasferita a Roma: fu nominato direttore Gastone Manacorda, ma di fatto un ruolo fondamentale ebbero E. Sereni e G. Berti.
Dall'affermazione della libertà dell'individuo contro ogni possibile ancoramento esterno, provvidenzialistico o naturalistico, il L. cominciava a riporre fiducia nella storia e nella possibilità di un progresso umano. Nel 1946, nel saggio Rigore della cultura (in Società, II, pp. 5-17) prendeva le distanze in modo netto dall'esistenzialismo, che non possedeva categorie critiche adeguate per l'analisi della società. Ma lo sviluppo di analisi teoriche di impianto marxista fu lento.
Dapprima il L. si dedicò a studi storici: sull'asse tedesco della filosofia - I. Kant, J.G. Fichte, G.W.F. Hegel - raccolti nel citato Filosofi vecchi e nuovi, un volume che ebbe un notevole impatto sulla cultura italiana; sull'illuminismo (Voltaire e le Lettres philosophiques. Il concetto della storia e l'illuminismo, Firenze 1955); sulla scienza e le forme della conoscenza (La mente di Leonardo, ibid. 1953; Il criticismo di Kant, ibid. 1955, rielaborato e ripreso nel suo Spazio e materia in Kant. Con una introduzione al problema del criticismo, ibid. 1961).
Tra i vari temi che emergevano vi era la connessione tra la filosofia moderna, e in particolare la filosofia kantiana, e la scienza, contro le interpretazioni idealistiche che raccontavano Kant alla luce della vicenda filosofica successiva. Ma il L. era interessato anche a mettere in luce, come elemento caratteristico dell'illuminismo e della nuova filosofia, il rifiuto delle narrazioni storiche come strumenti conoscitivi e l'assunzione di una prospettiva teoretica e sistematica. Un autore centrale, in questa luce, diventa per il L. Giacomo Leopardi.
A Leopardi aveva dedicato un saggio già nel 1938 (Il pensiero di Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, pp. 41-69), ma fu con lo scritto Leopardi progressivo (incluso in Filosofi vecchi e nuovi, del 1947, ma riedito più volte in forma autonoma e accresciuta fino al 1996) che elaborò compiutamente la sua interpretazione.
Contro la svalutazione crociana di Leopardi, la critica del L. costituì un momento fondamentale (insieme con i contributi che arrivarono in seguito da W. Binni e S. Timpanaro) nella revisione della critica sul poeta, di cui metteva in luce la radicalità innanzitutto teoretica, i motivi democratici e progressivi, l'analisi acuta delle forme vitali dell'esistenza, come il senso del nulla. Nella critica leopardiana tornavano i temi etici del L. e la critica alla morale concepita come legata a un mondo interiore in comunicazione con realtà assolute. Contro Kant, Leopardi mostra che agisce bene non chi segue la propria privata intenzione ma chi crea migliori condizioni di vita per la collettività. In Leopardi il L. trovava cioè i temi settecenteschi e illuministi, la moralità come una questione pubblica, contro l'inclinazione romantica successiva, già presente in Kant, di ricondurre la morale alla privatezza della propria interiorità. Vi è una tensione tra natura e ragione, ma Leopardi la risolve nutrendo fiducia nel progresso delle conoscenze e dell'incivilimento umano. Sul tema del carattere sociale della morale il L. tornò in seguito, con un linguaggio divenuto nel frattempo marxista, nello scritto Le "radici" della vita morale (in Belfagor, XIX [1964], pp. 669-687).
Risale al 1954 il suo primo intervento teorico frutto della nuova impostazione marxista: Marxismo e sociologia: il concetto di formazione economico-sociale (in Filosofia e sociologia, Bologna, pp. 195-203). Seguirono numerosi saggi che furono raccolti nel volume Dialettica e materialismo (Roma 1974). Con l'attenzione alle filosofie straniere, l'enfasi data alla scienza e al materialismo illuministico e la critica severa allo storicismo, le scelte culturali del L. finivano però con il situarsi al di fuori della linea culturale ufficiale del PCI, che P. Togliatti impose soprattutto a partire dal 1947, e che si incentrava sulla promozione di una linea filosofica italiana, rappresentata dalla continuità tra A. Labriola e A. Gramsci. Ciò emerse nel I Convegno di studi gramsciani del 1958, le cui relazioni iniziali furono tenute da E. Garin, Togliatti e dal L. stesso.
Nel suo intervento il L. prendeva cautamente le distanze dallo storicismo gramsciano: la centralità attribuita al carattere solo storico della vicenda umana non consentiva infatti di mettere nella giusta luce la tensione tra storia e natura (La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci, in Studi gramsciani, a cura dell'Istituto Gramsci, Roma 1958, pp. 445-468). Il carattere distintivo della sua proposta veniva fatto emergere però con chiarezza nell'introduzione al citato volume del 1974 Dialettica e materialismo, dove il L. ripercorreva le tappe della sua biografia intellettuale all'interno del marxismo.
Nel frattempo, dopo l'insegnamento nell'Università di Pisa, dal 1945 come incaricato (tenne corsi di filosofia morale, filosofia della storia e pedagogia) e dal 1956 come ordinario di filosofia morale, il L. era stato chiamato nel 1959 alla facoltà di lettere e filosofia a Firenze, dove ricoprì ancora la cattedra di filosofia morale. L'impegno politico nel PCI (dal 1956 fu anche membro del Comitato centrale) fu coronato dall'elezione il 25 maggio 1958 a senatore della Repubblica per la III legislatura (collegio di Volterra).
Partecipò attivamente ai lavori della commissione permanente Istruzione pubblica e belle arti, occupandosi in particolare delle politiche della scuola. Criticò l'istituzione dell'educazione civica voluta dal ministro A. Moro nel 1958, presentata come avulsa dalla realtà vivente della storia civile moderna e della Costituzione repubblicana (cfr. Educazione civica alla rovescia, in Rinascita, XV [1958], 10, pp. 663-665). Nel 1959 con A. Donini fu il primo firmatario di un disegno di legge per l'istituzione della scuola media dell'obbligo fino ai quattordici anni (la legge fu approvata solo nel 1962, dopo la svolta di centro-sinistra).
Intorno al 1966 cominciava a maturare però un nuovo orizzonte teorico, giocato sempre dentro il marxismo. Il L. ora aveva interesse a liberare Marx dai vari marxismi. In parziale sintonia con altre proposte, come quella di L. Althusser in Francia (di cui si veda Per Marx, con una nota introduttiva del L., Roma 1967), il L. sosteneva che in Marx andava trovata una teoria scientifica della trasformazione sociale e non già una filosofia umanistica (cfr. Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo; Marx secondo Marx; Marx: problemi filosofici ed epistemologici, tutti riediti in Dialettica e materialismo). Già G. Della Volpe aveva proposto una lettura galileiana e antiumanistica di Marx, che individuava nella filosofia marxiana una scienza materialistica della storia (Rousseau e Marx, Roma 1957). Nel 1962 il L. aveva aperto una polemica su Rinascita, proprio per contrastare l'influsso sempre maggiore che la scuola dellavolpiana stava assumendo nel marxismo italiano, soprattutto a opera degli allievi, quali L. Colletti e M. Rossi (cfr. Appunti per una discussione tra filosofi marxisti in Italia. A proposito dello storicismo, in Rinascita, XIX [1962], 8, p. 27; Il circolo concreto-astratto-concreto, ibid., 24, pp. 26-28).
In questa sede il L. aveva criticato l'idea che quello galileiano costituisse l'unico metodo scientifico e aveva riproposto il tema, a cui teneva molto, della soggettività umana, che non è possibile rappresentare in modo esaustivo attraverso le categorie della necessità e della possibilità caratteristiche delle scienze della natura; al contempo, tuttavia, rifiutava la lettura storicista di Marx, contro la quale muovevano gli stessi dellavolpiani. Nel confronto successivo con Althusser, e più in generale con lo strutturalismo, il L. riproponeva questi temi. Egli combatteva cioè su due fronti: da una parte contro l'interpretazione antiumanistica di Marx, che ne faceva l'antesignano della morte del soggetto, e dall'altra, ancora una volta, contro lo storicismo, che non lasciava spazio a uno studio sistematico e scientifico della vicenda umana (cfr. Introduzione a Dialettica e materialismo).
A questo approccio marxiano il L. rimase sempre legato anche se a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta spostò di nuovo la sua attenzione, questa volta verso il pensiero politico di Marx e le difficoltà interne al pensiero marxiano a proposito della distinzione tra momento economico e politico (cfr. Critica della politica e critica dell'economia politica in Marx, in Critica marxista, XVI [1978], pp. 17-50; e vari saggi comparsi su Rinascita negli anni Ottanta).
Il L. lasciò l'università nel 1984: negli anni di insegnamento aveva formato una nutrita schiera di studiosi.
In seno al PCI, di cui il L. fu membro del comitato centrale per molti anni, le sue posizioni furono spesso caratterizzate da indipendenza critica nei confronti della linea prevalente. Nel 1966 nel corso dell'XI congresso del PCI (il primo celebrato dopo la morte di Togliatti), il L. si schierò con la minoranza del partito che sosteneva una politica di attenzione verso i movimenti (cfr. Landucci, 1993, p. 45). Così anche nel 1969, quando tra il 15 e il 17 ottobre il comitato centrale del PCI affrontò il caso del Manifesto, la posizione del L. fu critica: insieme con L. Lombardo Radice e S. Garavini egli si astenne sull'ordine del giorno conclusivo che preludeva alla condanna.
Un altro intervento fortemente critico fu da lui svolto al comitato centrale del PCI del 14-16 marzo 1977 ("I comunisti e la questione giovanile"), successivo alla contestazione degli studenti dell'Università di Roma contro il segretario della CGIL Luciano Lama (17 febbraio). Il L. fu molto severo con la politica del Partito: "è un pezzo di società che ci è venuto addosso [(]. Questo fatto denota una mancanza di presa della nostra politica sulle nuove generazioni [(]. Il fatto è che noi non veniamo identificati come portatori di una nuova società [(] coi quali convenga lottare. Piuttosto veniamo identificati come cogestori dell'attuale gestione delle istituzioni, della società, della politica, dello stato".
Dopo la trasformazione del PCI in Partito democratico della sinistra nel 1991 (PDS), il L. aderì alle posizioni del gruppo che diede vita a Rifondazione comunista con una dichiarazione di voto apparsa alla vigilia delle elezioni politiche del 1992 nel quotidiano Liberazione (4 aprile). Gli ultimi anni del L. furono segnati dal disincanto nei confronti dell'evoluzione delle vicende culturali e politiche italiane, a cui corrispose l'abbandono degli studi su Marx. Tornò invece a occuparsi di Leopardi: il volume postumo, edito a cura di S. Landucci, Decifrare Leopardi (Napoli 1998), rimasto incompleto, torna sul carattere pienamente filosofico dell'opera leopardiana.
Il L. morì a Firenze il 25 apr. 1993.
Fonti e Bibl.: A. Massolo, Logica hegeliana e filosofia contemporanea, Firenze 1967, pp. 115-134; D. Cantimori, Studi di storia, Torino 1959, pp. 399-407; A. Santucci, Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna 1959, pp. 127-136; S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano, Pisa 1965, pp. 133-143; N. Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958, Roma-Bari 1979, ad ind.; B. Baczko et al., Filosofia e politica. Scritti dedicati a C. L., Firenze 1981 (alle pp. 422-424 la bibliografia degli scritti del L. curata da P. Guarnieri); Quarant'anni di filosofia in Italia. La ricerca di C. L., in Critica marxista, XXIV (1986), 6 (numero monografico dedicato al L.); Ma grideranno le pietre. Conversazioni con U. Colombo, C. L., A. Silvestrini, a cura di V. Silvestrini - L. Amodio, Napoli 1993; Critica marxista, n.s., II (1993), 6, numero monografico dedicato al L. (comprende: A. Tortorella, Una lezione ancora viva, pp. 2-4; C. Luporini, Da "Società" alla polemica sullo storicismo, pp. 5-35 [appunti inediti del L.]; S. Landucci, Ricordo di C. L., pp. 37-46; A. Zanardo, Filosofia e società in C. L., pp. 47-56; N. Badaloni, Esistenzialismo, libertà e marxismo in C. L., pp. 57-64; G. Mele, L. e la filosofia italiana prima di "Situazione e libertà", pp. 65-71; A. Cecchi, L. e il Pci di Firenze, pp. 73-78); N. Badaloni, Le radici del marxismo di C. L., ibid., n.s., III (1994), 6, pp. 57-67; B. Accarino et al., Il pensiero di C. L., Milano 1996; Enc. filosofica, V, pp. 276 s. (S. Landucci); Storia della filosofia fondata da N. Abbagnano, X, G. Fornero - F. Restaino, La filosofia contemporanea, IV, Torino 1994, pp. 275-278, 317-326.