GUASTI, Cesare
Nacque a Prato il 4 sett. 1822 da Ranieri e Rosa Sacchi.
Il padre, modesto commerciante e poi libraio e dal 1831 tipografo, veniva da una famiglia di contadini della valle di Cafaggio, nella campagna pratese. Pur disponendo di due torchi e pochissimi lavoranti, ristampò opere di una certa importanza come le poesie di M.A. Flaminio, di F. Redi, di V. Monti e P. Metastasio (C. Guasti, La stamperia Guasti, in Arch. stor. pratese, III [1920], pp. 141-144).
Primogenito di sei figli, tra cui due femmine entrambe destinate a vestire l'abito religioso, fu educato in un ambiente di austera moralità. Due zii materni e uno paterno, priore della chiesa di S. Pier Forelli, erano sacerdoti, e sacerdoti furono anche i suoi primi insegnanti. Per sei anni, e cioè fino al 1840, quando dovette lasciare gli studi per lavorare nella tipografia paterna come correttore di bozze, fu allievo esterno del collegio Cicognini di Prato, ammessovi per volontà del rettore, G. Silvestri, un canonico aperto alle innovazioni pedagogiche e di tendenze liberali, al quale il G. avrebbe dedicato una ponderosa biografia in due volumi (Giuseppe Silvestri. L'amico della studiosa gioventù, Prato 1874); fra i suoi insegnanti ebbe G. Arcangeli, un sacerdote che aveva fama di grande cultore dei classici greci e latini e che fin dal 1847 manifestò sentimenti liberali collaborando al giornale La Patria.
Tra il 1840 e il 1850 il G. alternò lavoro e studio; nel salotto letterario dell'avvocato G. Benini, amico di V. Salvagnoli e di N. Tommaseo, venne in contatto con il clima culturale fiorentino e italiano, dove spirava il vento delle aspirazioni risorgimentali, ma i suoi sentimenti religiosi lo spinsero a frequentare anche il francescano F. Frediani che ne favorì l'inclinazione verso la religiosità del poverello di Assisi. Nel 1842, a soli vent'anni, aderì al Terz'Ordine francescano (nel 1855 ricevette il diploma di aggregazione); nel 1846 tradusse e pubblicò la Storia di s. Francesco d'Assisi di É. Chavin de Malan premettendovi un breve "avvertimento".
Fermentava intanto anche in lui l'amore per le "piccole patrie" cittadine come avviamento a un più vasto sentimento nazionale. Dopo avere esordito nel 1837 con un Canto per l'ingresso del vescovo G. Rossi nella diocesi pratese, il G. avvertì la spinta verso lo studio del passato, caratterizzato in lui da un forte attaccamento alla città natia, che tendeva a contrapporre a Firenze.
Raccogliendo nella Bibliografia pratese, pubblicata anonima nel 1844, quanto era stato scritto sulla storia della sua città, il G. dichiarava di voler continuare l'opera di "illustrazione della storia patria" avviata dall'Accademia pratese degli Infecondi, cessata nel 1841, e di voler illustrare nelle biografie degli uomini più benemeriti la storia civile e letteraria di Prato. Era questo uno degli obiettivi principali del programma del Tommaseo per costruire sulle singole storie municipali le basi di una storia della cultura e della tradizione nazionale. Nel 1846 insieme con C. Basi pubblicò con prefazione e note il volgarizzamento dei primi cinque libri delle Metamorfosi di Ovidio fatta da A. Simintendi, un trecentista pratese (l'edizione fu completata con due altri volumi, Prato 1848-50). Nello stesso anno prese a uscire il Calendario pratese. Memorie e studi di cose patrie, di cui egli fu ideatore e compilatore.
Frutto di una società di diciassette membri i quali si spartivano le spese di edizione e le 500 copie del fascicolo, il Calendario era il primo periodico pratese che univa alle caratteristiche del puro e semplice almanacco quelle di una rivista di cultura locale con saggi storici, letterari, artistici, ma anche con interventi sulla situazione economica e sulle vicende politiche del periodo. Il significato sostanzialmente moderato e cattolico dell'iniziativa era evidente già dalla composizione della redazione in cui nove dei diciassette membri erano ecclesiastici, quattro addirittura canonici e futuri vescovi. Al di là della portata dell'iniziativa (non si riusciva a vendere che poche decine di copie), il Calendario costituì, negli anni di massima diffusione del giobertismo, un tentativo di canalizzazione di forze moderate cattoliche per fini non solo culturali, ma anche politici. Non a caso il G. era un ammiratore, sia pure prudente, di V. Gioberti, che seguì sia nella polemica antigesuitica, sia poi nel giudizio su Pio IX quando il papa con l'allocuzione del 29 apr. 1848 si dissociò dalla guerra. Col Gioberti si incontrò a Prato, il 2 luglio 1848, e riferì i risultati di quel colloquio a C. Basi, dicendo che per l'autore del Primato Pio IX voleva "libera l'Italia" e credeva "giusta la guerra", ma era suo dovere tentare "le vie della pace" (Carteggi, II, pp. 59 ss.).
Sul Calendario apparvero del G. i seguenti contributi: Dell'origine di Prato (I, 1846); Sant'Anna. Il Convento (I, 1846); Sant'Anna. La Villa (II, 1847); Testamento e codicillo di Francesco di Marco Datini fondatore del Ceppo dei poveri (con avvertimento) (II, 1847; III, 1848; VI, 1851); Sulle scuole del Comune e sull'istruzione popolare in Prato. Memorie e desideri (III, 1848); La villa Bandinelli a Pizzidimonte. Lettera al prof. Antonio Marini (III, 1848); Memorie di messer Baldo Mageni (III, 1848); Risposta al giornale fiorentino L'Alba intorno ai libri di un Lazzerini di Prato, lasciati da lui per testamento alla sua città (III, 1848); Una piena del Bisenzio nel 1575 raccontata da Lazzaro del Sega contemporaneo (con un proemio) (IV, 1849); Bartolomeo Boccanera capitano di ventura (memoria con documenti) (IV, 1849); Il Cantaccio. Via Carbonaia (scritti di topografia pratese) (V, 1850); Sposalizio d'Iparchia filosofia. Commedia di donna Clemezia Ninci monaca (del sec. XVII) in S. Michele di Prato (con proemio e note) (V, 1850); Germano Fossi. Memorie (VI, 1851).
Il G. partecipò con entusiasmo all'esperienza del '48, come testimoniano le lettere con l'amico sacerdote pistoiese E. Bindi, che con C. Livi, frenologo partito volontario col battaglione universitario toscano, fu fra gli amici a lui più vicini. Tuttavia il suo patriottismo fu costantemente frenato dal senso di moderazione e di diffidenza per le manifestazioni della "massa".
Il "grande sconforto" che seguì l'estate del '48 e soprattutto le vicende politiche toscane, dove si agitavano le componenti democratiche che di lì a poco avrebbero portato alla crisi del governo Capponi, spinsero il G. a pronunziare giudizi pessimistici sulla "gentaglia" che "andava fomentando una ribellione collo scaldare il popolo a non credere nella Camera, nel Principe, ecc. […] E questa gente merita d'esser fatta libera? Lo creda quel giudeo! Io no" (lettera al Bindi del 14 ag. 1848, in Carteggi, II, p. 64). Il governo di G. Montanelli, con F.D. Guerrazzi agli Interni e il pratese G. Mazzoni alla Giustizia e ai Culti, lo trovò dunque su posizioni critiche al punto da spingerlo a cercare conforto negli studi. Al ritorno del granduca accettò di stabilirsi a Firenze per iniziare il suo lavoro di "commesso archivista" dell'Opera di S. Maria del Fiore, incarico sollecitato per lui dall'amico C. Basi, canonico laurenziano, e caldeggiato da C. Milanesi, allora segretario dell'Archivio storico italiano.
Fu proprio indagando in quell'archivio "preziosissimo" che il G. cominciò a stendere il lavoro su La cupola di S. Maria del Fiore illustrata con i documenti dell'Archivio dell'Opera secolare… (Firenze 1857), cui avrebbe fatto seguire, a distanza di molti anni, un altro importante studio su S. Maria del Fiore. La costruzione della chiesa e del campanile secondo i documenti tratti dall'Archivio dell'Opera secolare e da quello di Stato (ibid. 1887).
A Firenze il G. rinsaldò alcuni rapporti già instaurati precedentemente e strinse nuove relazioni con gli esponenti del mondo intellettuale fiorentino. In attesa di una sistemazione, fu accolto in casa del gonfaloniere U. Peruzzi, suo ex condiscepolo al Cicognini, ed entrò nella cerchia degli amici di G.P. Vieusseux fra cui G. Capponi, l'archivista F. Bonaini, l'abate R. Lambruschini, M. Tabarrini, accademico della Crusca e segretario dell'Accademia dei Georgofili, F.L. Polidori e P. Capei. Fin dal 1844 era entrato a far parte dei collaboratori dell'Archivio storico italiano; nel 1854 proprio il Vieusseux, provocando qualche risentimento nella redazione, lo volle fra i "compilatori" ordinari dell'Archivio con il compito di firmare le pagine della rubrica di informazione bibliografica, contrassegnando con la lettera G le sue recensioni.
Nell'ambiente dell'Archivio il G. trovò la conferma del suo metodo storico, quel "neo-muratorismo" incentrato sulla ricerca erudita dei documenti e sulla prospettiva di un rafforzamento della coscienza nazionale attraverso la conoscenza della grandezza del passato, che per lui, che considerava il Rinascimento un'epoca di piatta imitazione formale dei classici, di corruzione morale e di servaggio, coincideva con il Medioevo. In omaggio alla "memoria immortale" del "massimo instauratore dell'istoria del Bel Paese" il G., insieme con F. Bonaini, F.L. Polidori e C. Milanesi, pubblicò nel 1854 le Lettere inedite di L.A. Muratori scritte a' Toscani dal 1695 al 1749 raccolte e annotate (Firenze).
Intanto, socio corrispondente dal 1846 dell'Accademia della Colombaria, era diventato il maggiore collaboratore di G. Capponi che aveva coadiuvato nella stesura della Storia della Repubblica di Firenze. Nel 1853 era stato nominato accademico della Crusca, al posto dell'amico C. Basi, morto nello stesso anno (nel 1874, sotto l'arciconsolato di A. Conti, divenne segretario dell'Accademia). Ma la grande occasione che segnò il destino professionale del Guasti fu la costituzione dell'Archivio centrale dello Stato toscano, promossa nel 1852 dal governo granducale. Il G. fu nominato aiuto per gli Archivi delle Riformagioni e diplomatico e assistente al soprintendente. Nell'archivio fiorentino, sistemato agli Uffizi, il G. trascorse il resto della propria esistenza, diventandone soprintendente nel 1874, alla morte del Bonaini, ma esercitando tale funzione fin "da quando questi si era ammalato senza speranza di guarigione" (Pansini, p. 172). La sua attività nell'organizzazione e nella valorizzazione dell'archivio fu notevole, anche perché si occupò della sistemazione degli archivi di Lucca, Siena e Pisa. Nel 1866 ispezionò gli archivi dell'Emilia e nel 1870 fu chiamato a far parte della Commissione per riorganizzare gli ordinamenti, allora in vigore, per gli Archivi di Stato.
Un contributo di rilievo fu quello che il G. diede al dibattito su G. Savonarola "con animo di dimostrare - come scrisse al padre G.M. Sanvito - quanto gli eretici sbaglino nel farne un precursore di Lutero, e quanto torto avessero i cattolici nel lasciar correre questa credenza" (De Feo, 1989, p. 170). Sviluppatasi tra i molti studiosi cattolici dell'Archivio storico italiano, la polemica si protrasse a lungo caricandosi di toni antitemporalistici, anticuriali e antigesuitici; e il G., che al frate ferrarese si era interessato studiando in gioventù s. Caterina Ricci, vi si inserì come "il più autentico dei piagnoni seguaci del Tommaseo" (G. Gentile, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze 1942, p. 219), convinto che vi fosse analogia tra la crisi spirituale di metà Ottocento e i tempi del Savonarola.
Nel 1860 il G. premise a un documento contenente l'Ufficio recitato in onore del frate da coloro che lo ritenevano santo, un saggio, poi stampato a parte, sul culto del Savonarola e nel 1862 pubblicò Le poesie di fra G. Savonarola (Firenze). L'opuscolo non passò sotto silenzio e P. Villari, che aveva da poco pubblicato un voluminoso lavoro su La storia di G. Savonarola e dei suoi tempi (Firenze 1859-61), considerando i documenti sull'Ufficio nient'altro che "un monumento di singolare superstizione" (cfr. La Civiltà italiana, 1° e 8 genn. 1864), accusò il G. di voler "spacciare per santo" il Savonarola e di scrivere con lo spirito di un "antico piagnone". Era così forte l'infatuazione del G. per Savonarola che nel commentare alcuni scritti di G. Capponi (Rassegna nazionale, febbraio 1880, pp. 161-170), trascurò le parti in cui lo stesso Capponi disapprovava le persecuzioni e le condanne a morte inflitte dal frate ai suoi avversari. Tuttavia il G. vedeva in Savonarola non solo il santo, ma anche "un maestro di vita e simbolo di una riforma sempre necessaria ed essenziale, della vita individuale e politica" e il propugnatore "dell'alleanza della religione e della libertà" (Gentile, G. Capponi…, p. 237).
Ciò può anche spiegare la vicinanza del G. agli ambienti e agli esponenti dei gruppi conciliatoristi, i cosiddetti conservatori nazionali, rappresentati a Firenze dal filosofo A. Conti che escludeva l'idea di un partito cattolico. In effetti il G. non partecipò nemmeno alla fondazione del movimento cattolico a Firenze né alla Società promotrice dell'Unione cattolica (1870). Non condivideva la linea della Civiltà cattolica, che polemizzò con lui a proposito della santità del Savonarola, e si mostrò sempre convinto, anche quando la realtà dimostrava il contrario, della possibilità della conciliazione fra Stato e Chiesa, fra religione e liberalismo. Per questo, pensando allo Stato della Chiesa, deprecava "l'iniquo e profano congiungimento del temporale collo spirituale" (Carteggi, V, pp. 60-63). A suo dire, una cosa era la storia della Chiesa in quanto istituzione divina e un'altra la storia del Papato, in quanto potere politico: "Quella - scriveva nel 1883 - è opera divina, questa è cosa umana; quella starà al mondo, questa passerà come tutte le cose del mondo" (ibid., I, pp. 54 s.).
Nulla, però, poté mai incrinare la sua fede, neanche le sue vicissitudini di padre e marito (aveva sposato il 4 apr. 1853 Annunziata Becherini) afflitto dalla morte precoce della moglie. Dal matrimonio nacquero sei figli in cinque parti: Angiolina nel 1854, Giacinto nel 1855, i gemelli Paolo e Domenico nel 1856 (Domenico morì dopo due giorni), Giovacchino nel 1857 (morto dopo sei mesi), Leonardo nel 1858. La traduzione dell'Imitazione di Cristo di G. Gersen (Firenze 1866), dedicata alla figlia Angiolina affinché imparasse ad "amare e soffrire cristianamente", più volte ristampata, rese il suo nome popolare.
Le vicende tormentate della questione romana lo resero sempre più estraneo al confronto politico diretto e lo spinsero a concentrarsi sempre più sul suo lavoro. Nel 1877 pubblicò le lettere scritte da Alessandra Macinghi Strozzi ai figli, esuli perché nemici degli odiati Medici (Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figlioli esuli, Firenze); ne approfittò per una esaltazione dei costumi medievali e una condanna della corruzione medicea, e sugli stessi motivi antimedicei e antirinascimentali tornò nella prefazione al volume su Il sacco di Prato e il ritorno dei Medici in Firenze nel 1512 (Bologna 1880). Scrisse moltissimo: tra opere grandi e piccoli opuscoli i curatori dei suoi scritti ne raccolsero oltre quattrocento, ma le sue cose migliori restano le sue edizioni di documenti e i lavori archivistici. Le Commissionidi Rinaldo degli Albizziper il Comune di Firenze dal 1399 al 1433 (I-III, Firenze 1867-73) sono considerate un modello in materia, e lo stesso si può dire dei registri e dell'indice dei Capitoli del Comune di Firenze (I-II, ibid. 1866-93), dell'inventario dei Manoscritti Torrigiani (ibid. 1878) e di quello delle prime serie delle Carte Strozziane (ibid. 1884).
Si spense a Firenze il 12 febbr. 1889 dopo una malattia durata alcuni mesi.
Altri scritti del G.: la raccolta di Opere curata da L. Ciulli e I. Del Lungo, 7 voll. in 9 tomi pubblicati a Prato e Firenze tra il 1894 e il 1912, comprende: I, Scritti storici; II, Biografie; III (2 voll.), Rapporti ed elogi accademici; IV, Scritti d'arte; V (2 voll.), Letteratura, storia, critica; VI, Iscrizioni e versi; VII, Dal carteggio. Una più recente edizione in 11 voll. dei Carteggi di Cesare Guasti, a cura di F. De Feo (Firenze 1970-87), è così suddivisa: I, Carteggi con C. Livi e F. Baldanzi; II, Carteggio con E. Bindi. Lettere scelte; III, Carteggi con G. Capponi e N. Tommaseo; IV, Carteggi familiari; V, Carteggio con I. Del Lungo. Lettere scelte; VI, Carteggi con gli archivisti fiorentini. Lettere scelte; VII, Carte di Cesare Guasti. Inventario; VIII, Carteggio con G. Limberti. Lettere scelte; IX, Carteggi con gli archivisti lucchesi. Lettere scelte; X, Carteggi con gli artisti. Lettere scelte; XI, Carteggi con A. Capecelatro e G. Pierallini.
Inoltre, tra le sue edizioni: Lettere spirituali e familiari di s. Caterina de' Ricci fiorentina religiosa domenicana in S. Vincenzio di Prato, Prato 1861; Le rime di Michelangelo Buonarroti pittore, scultore e architetto, cavate dagli autografi, Firenze 1863. Infine, di T. Tasso, Le lettere disposte per ordine di tempo ed illustrate, I-V, Firenze 1852-55; I dialoghi, I-III, ibid. 1858-59; Le prose diverse nuovamente raccolte ed emendate, I-II, ibid. 1875.
Fonti e Bibl.: Fondamentale la Bibliografia di C. G., a cura di F. De Feo, Roma 1992. Una messa a punto storiografica recente in Studi in onore di C. G., I, a cura di L. Draghici, Prato 1994 (S. Bardazzi, C. G. educatore, pp. 29-37; A. D'Addario, C. G. precursore dell'archivistica moderna, pp. 127-157; F. De Feo, La causa di beatificazione, pp. 157-167; P. Fiorelli, Il giovane G. accademico della Crusca, pp. 167-183; G. Luti, L'etica letteraria di C. G., pp. 183-197; M. Pagliai, Il municipio interiore di C. C. Un letterato pratese per Prato, pp. 197-207); II, a cura di B. Gherardini, ibid. 1991 (F. Leoni, Il pensiero politico di C. G., pp. 11-41; C. Cerretelli, C. G. storico e critico nelle questioni architettoniche del tempo, pp. 41-133; Z. Ciuffoletti, C. G. e il suo impegno politico, II, pp. 137-142; P.L. Ballini, C. G. e il movimento cattolico dell'area fiorentina, II, pp. 142-151; G. Pansini, C. G. e la cultura storica del tempo, II, pp. 151-175). Si vedano inoltre: Il padre Vincenzo Marchese e C. G. dal loro carteggio inedito (1845-1887), a cura di I. Del Lungo, Firenze 1899; V. Crispolti, Tra i laici santi dell'Ottocento: C. G. l'uomo della pietà e della dottrina artistica cristiana della parola, Torino 1935; F. De Feo, C. G., in Spiritualità e azione del laicato cattolico italiano, II, Padova 1969, pp. 465-508; B. Gherardini, C. G., santità e liberalismo nell'epoca piana, in Pio IX, I (1972), pp. 432-461; C. Ceccuti, Prato nel Risorgimento e nell'Italia unita, in Storia di Prato, III, Prato 1981, pp. 205-214; Z. Ciuffoletti, La lotta politica e sociale: l'amministrazione comunale, i partiti politici, i conflitti sociale e di gruppo (1815-1887), in Prato. Storia di una città, III, 2, Il tempo dell'industria (1815-1943), a cura di G. Mori, Prato 1988, pp. 1253-1294; G. Turi, La vita culturale, ibid., pp. 1152-1162; F. De Feo, Itinerario spirituale di C. G., Roma 1989; A. D'Addario, C. G. protagonista del lavoro storiografico ed archivistico dell'Ottocento toscano, in Arch. stor. italiano, CL (1992), pp. 163-199; Enc. Italiana, XVIII, s.v.; Enc. cattolica, VI, s.v.; Diz. stor. del movimento cattolico in Italia, III, 1, Le figure rappresentative, sub voce.