GONZAGA, Cesare
Nacque a Mantova intorno al 1475 da Giovan Pietro e probabilmente dalla seconda moglie di questo, Agostina Martinengo, dopo che suo padre era rimasto vedovo di Costanza Stanga Torelli.
Il G. apparteneva al ramo cosiddetto dei Nobili e fu primo cugino di Baldassarre Castiglione, poiché suo padre era fratello di Luigia Gonzaga, madre dell'autore del Cortegiano. Legato da grande affetto al suo più celebre parente, il G. ne condivise in gioventù la formazione umanistica a Milano dove studiò greco e latino, applicandosi inoltre agli esercizi cavallereschi praticati in quell'epoca. Nel marzo 1499 il G. era al servizio del duca di Ferrara Ercole I d'Este, quando richiese per sé al marchese di Mantova lo stesso incarico di uomo d'armi che appartenne a Cristoforo Castiglione, padre di Baldassarre, deceduto non molto tempo prima. Passato quindi a servire Francesco II Gonzaga, lo accompagnò nell'autunno di quello stesso anno a Milano per onorare l'ingresso del re di Francia Luigi XII. Dopo una fuggevole parentesi nel 1503 al soldo di Cesare Borgia, conclusasi con la caduta in disgrazia del Valentino, il G. richiese in quell'anno licenza al Gonzaga per mettersi a disposizione del duca d'Urbino e, al contrario di quanto successe al Castiglione in occasione di analoga petizione, il suo passaggio al servizio di Guidubaldo I da Montefeltro avvenne senza che gli fossero opposte particolari difficoltà da parte del Gonzaga.
Il G. divenne ben presto uno dei favoriti del Montefeltro, accompagnandolo ovunque negli anni successivi e acquistandone la confidenza al punto da intervenire, in qualità di testimone per conto del duca, nella cerimonia d'adozione di Francesco Maria Della Rovere da parte dello stesso Guidubaldo nel 1504. Questo parentado, voluto e sostenuto fortemente da Giulio II, garantiva al giovane nipote del papa la corona ducale dopo la morte, che si prevedeva prossima, del duca d'Urbino, la cui unione con Elisabetta Gonzaga era rimasta sterile.
Ottenuto il comando di 50 uomini d'armi, il 4 genn. 1505 il G. entrò solennemente a Roma con Guidubaldo, rimanendovi buona parte di quell'anno, per poi far ritorno a Gubbio e infine a Urbino. Nella capitale del Ducato, per festeggiare il ritorno del duca dopo la parentesi borgiana, fu celebrato nel 1506 un fastoso carnevale il cui ricordo è giunto fino a noi grazie soprattutto alla sua principale attrattiva, costituita dalla rappresentazione della commedia pastorale Tirsi, composta per quell'occasione dal G. e dal Castiglione e da loro stessi rappresentata in costume alla presenza della duchessa e di una eletta compagnia. I due cugini furono tra gli animatori della brillante cerchia di intellettuali ritrovatasi in quegli anni nella corte dei Montefeltro intorno alla figura di Elisabetta Gonzaga, una schiera di artisti, letterati, cortigiani, ambasciatori e altri uomini illustri quali Pietro Bembo, Bernardo Dovizi da Bibiena, Giuliano de' Medici, Ottaviano e Federigo Fregoso, tutti poi descritti con grande concretezza dal Castiglione nel Cortegiano.
Nel gennaio 1508 il G. subì una grave caduta da cavallo, di cui in una lettera riferisce lo stesso Castiglione. Si riprese ben presto dall'incidente, ma nel successivo mese d'aprile sopraggiunse la morte a Fossombrone del suo signore. Il G. rimase a Urbino per controllare che col cambio di governo non nascessero tumulti tali da ostacolare la presa di potere del nuovo duca Francesco Maria Della Rovere, al servizio del quale rimase poi come gentiluomo in armi per il resto dei suoi anni, con esplicita approvazione di Giulio II. In quella veste nello stesso 1508 seguì il duca a Milano per incontrare Luigi XII, col quale furono tracciati i capitoli della lega poi conclusa a Cambrai nel dicembre. Nell'aprile 1509 egli era ancora al fianco del duca d'Urbino quando questi fu mandato a Faenza da Giulio II nell'intento di recuperare la Romagna dai Veneziani. Nel proseguimento delle operazioni belliche il G. prese parte all'assedio di Brisighella e alla conquista della valle del Lamone, intervenendo poi alla battaglia di Granarolo e seguendo infine il campo fin presso Ravenna. Durante quei mesi dette prova anche di doti di buon diplomatico, essendogli state affidate nel corso della campagna delicate missioni; in particolar modo quella presso Giulio II del dicembre 1509, come oratore straordinario su mandato del duca d'Urbino, forse con il compito di trattare la liberazione del marchese di Mantova Francesco II, suocero del duca e allora prigioniero dei Veneziani. Altre volte dovette recarsi a Roma con incarichi del cardinale legato della Romagna Francesco Alidosi o del duca d'Urbino per discutere col papa le questioni della guerra, come nel maggio e nell'agosto 1510. Nell'inverno 1511 fu all'assedio della Mirandola, al quale prese parte lo stesso pontefice, e si impegnò poi nelle successive azioni in territorio ferrarese. La caduta di Bologna nelle mani degli antipapali nel maggio di quello stesso anno, fu imputata dal cardinale Alidosi al duca d'Urbino, che uccise per questo a pugnalate il proprio accusatore. Secondo P. Serassi, all'immediata decisione di Giulio II di togliere al nipote il comando dell'esercito e lo stesso Ducato, seguì un intervento riservato del G. presso i cardinali amici del duca nel Sacro Collegio affinché il proprio signore fosse reintegrato nelle cariche e nel titolo. Conclusasi felicemente quest'iniziativa, il G. si ritrovò al successivo tentativo di assedio di Bologna da parte delle truppe pontificie alla fine del gennaio 1512, al quale seguì l'attacco dei Francesi, che fecero togliere l'assedio ai Papali inseguendoli poi fino a Ravenna e sconfiggendoli l'11 aprile. Riunito nuovamente l'esercito del papa, esso venne mosso ancora su Bologna, che il 10 giugno si arrese, sembra dietro consiglio dello stesso Gonzaga.
Fu questa la sua ultima impresa militare: colpito da una febbre improvvisa, il G. morì a Bologna ai primi di settembre 1512.
A dispetto della sua intensa professione di uomo d'armi, il G. è ricordato più per la sua attività di rimatore, della quale rimangono a testimonianza, oltre all'egloga Tirsi, composta insieme con il Castiglione, alcune poesie pubblicate nel XVIII sec. da P. Serassi e nel XIX da A. Mainardi. In questa produzione lirica, tuttavia, il G. non si distingue quanto a originalità e carattere, rientrando essa nei tipici canoni espressivi ripetitivi della maniera petrarchista. Si conservano inoltre alcune lettere, la maggior parte inedite, tra le quali una del 2 dic. 1510 a Isabella d'Este, riproposta da C. d'Arco, nella quale il G. richiedeva l'intervento di Marco Cara per completare con la melodia un suo madrigaletto e un sonetto, testimonianza dunque dell'interesse che il G. provò per la musica.
Maggior fama deriva al G. dall'essere stato uno degli animatori del cenacolo letterario riunito intorno alla duchessa d'Urbino. Il G. visse quell'esperienza tra l'affetto e l'apprezzamento generale dei contemporanei, espressi in numerose pagine del Cortegiano e riepilogati con rimpianto da un elogio nel libro IV, nel quale il Castiglione, compiangendone la morte precoce, ne ricorda oltre che la nobiltà di sangue la valorosa condotta nelle armi e l'ornamento delle lettere.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, bb., 855, 856, 858, 1077, 1147, 1290, 1437, 1438, 1444, 1446, 1892, 1893; Ibid., Arch. d'Arco, ms. IV: C. d'Arco, Notizie di mille scrittori mantovani, p. 102; Mantova, Acc. Virgiliana: P. Predella, Repertorio di scrittori mantovani, ms., sub voce; Delle lettere del conte Baldessar Castiglione ora per la prima volta date in luce, a cura di P. Serassi, II, Padova 1771, pp. 228-237; B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, a cura di V. Cian, Milano 1947, ad indicem; F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei - E. Marani - G. Praticò, I, Mantova 1954, p. 574; II, ibid. 1955, pp. 415 s.; B. Castiglione, La seconda redazione del "Cortegiano", a cura di G. Ghinassi, Firenze 1968, passim; Id., Le lettere, a cura di G. La Rocca, I, Milano 1978, ad indicem; A. Mainardi, Rime scelte di poeti mantovani, Mantova 1837, pp. 13-18; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, III, 2, Milano 1744, p. 398; S. Bettinelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova 1774, pp. 83 s.; L.C. Volta, Diario di Mantova per l'anno 1785, Mantova 1785, pp. 171 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena 1791-92, VII, ad indicem; F. Tonelli, Ricerche storiche di Mantova, II, Mantova 1798, p. 174; C. d'Arco, Notizie di Isabella Estense, in Arch. stor. italiano, Appendice, II (1845), pp. 315 s.; A. Luzio - R. Renier, Mantova e Urbino, Torino 1893, pp. 34, 97, 175, 202; Id. - Id., La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXIV (1899), p. 95; A. Luzio, Isabella d'Este di fronte a Giulio II negli ultimi tre anni del suo pontificato, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XVII (1912), pp. 265 s., 285, 324 s.; Mantova. Le lettere, II, Mantova 1962, ad indicem; J. Guidi, Thyrsis ou la cour transfigurée, in Ville et campagne dans la littérature italienne de la Renaissance, II, Paris 1977, pp. 141-186 passim; La corte e il "Cortegiano", I, La scena del testo, a cura di C. Ossola, Roma 1980, ad indicem; A. Quondam, "Questo povero cortegiano". Castiglione, il libro, la storia, Roma 2000, ad indicem; P. Litta, Lefamiglie celebri italiane, s.v. Gonzaga, tav. XIX.