GIUSTINIANI (Giustiniani Longo), Cesare
Nacque a Genova nel 1550 da Galeazzo di Galeazzo di Bricio e da Camilla Durazzo di Battista, ed ebbe due fratelli, Brixio (Fabrizio) e Giovanni Battista.
I tre fratelli furono ascritti alla nobiltà genovese, ma solo il G. prese parte alla vita politica della Repubblica; Giovanni Battista, monaco teatino, dal 1577 fino alla morte, nel 1618, svolse la sua missione nel Napoletano, nel feudo di famiglia concesso al nonno da Carlo V. A metà Cinquecento, nel momento di crisi dei Giustiniani legati ai traffici del Levante e alla Maona di Chio, specialmente dopo la sanguinosa aggressione e la conquista di Sulaimān I, nel 1566, restava solida la fortuna di questo ramo della famiglia, legato invece all'attività marittimo-militare al servizio della Corona di Spagna, con Carlo V prima e con Filippo II poi, quando attorno alla Spagna gravitava tutta la Genova di Andrea Doria.
Il G. fu il maggiore beneficiario di un'abile e lucrosa operazione condotta dallo zio paterno, suo omonimo, morto senza prole, che rivendette a Filippo II per 20.000 ducati (2000 in contanti, il resto in rate di 1200 ducati annui all'interesse del 6,5% da corrispondere eventualmente agli eredi) terre feudali concesse a suo tempo da Ferdinando II a Galeazzo, nonno del Giustiniani.
Il G. fu quindi erede delle fortune, ma non dello spirito avventuroso e guerriero della famiglia (che fu invece poi ripreso dal primogenito del G., Galeazzo). Dovette ricevere un'ottima educazione giuridica e letteraria e visse tranquillamente delle sue rendite nelle case e ville di Genova, percorrendo un poco intenso cursus honorum, che gli guadagnò comunque la stima di uomo politico equilibrato e puntuale nell'adempimento dei pubblici incarichi, e che si concluse nel 1605 con l'elezione a senatore della Repubblica.
L'evento più importante della vita politico-diplomatica del G. fu l'ambasceria in Spagna, dove rimase dal 1596 al 1600, forse fino al 1602, incaricato di curare in particolare due questioni su cui il governo genovese era da tempo in tensione con Madrid: il problema del Finale e quello del titolo di serenissimo spettante al doge. Le istruzioni al G., eletto ambasciatore ordinario per tre anni nel dicembre 1595, erano le stesse impartite cinque anni prima a Pier Battista Cattaneo Della Volta; a esse, il 29 dicembre, furono allegate le lettere di presentazione all'imperatrice, all'infanta e a illustri personaggi del Consiglio di Stato, del Consiglio reale e del Consiglio d'Italia. Furono aggiunte anche indicazioni su altre questioni specifiche da sottoporre all'attenzione del re: l'acquisto del Sassello, venduto da Stefano Doria alla Repubblica, non in quanto feudo ma quale bene allodiale; la liberazione di un gentiluomo genovese, Paolo Gerolamo Borzone detenuto in Sicilia; la sollecitazione a Milano sulla causa del marchese Oberto Spinola per Serravalle. Partito subito per la Spagna nonostante le avverse condizioni metereologiche, il G. fece un viaggio disastrato: naufragato a Tabarca, fu lì catturato dai Turchi con tutto l'equipaggio, violando le capitolazioni dei Lomellini, come egli scriveva nella sua lettera del 31 genn. 1596 al governo genovese, che ne veniva a conoscenza solo il 6 marzo. Liberato grazie all'energico intervento del viceré di Sardegna, alla fine di febbraio poté salpare da Tabarca con una nave granaria e sbarcare dopo alcuni giorni a Cagliari. Rientrato a Genova, ripartì per Barcellona solo il novembre successivo; ma giunto a Madrid, il 4 dicembre, dovette attendere l'udienza ufficiale fino al 24 marzo 1597. Nel frattempo, i rapporti tra Genova e la Spagna si erano fatti critici, a causa della bancarotta dichiarata dalla Corona nei confronti dei creditori genovesi alla fine di novembre del 1596.
Dopo la prima bancarotta del 1557 - che aveva colpito gli operatori genovesi proprio negli anni in cui si erano affermati come i principali negoziatori di prestiti alla corte spagnola, e quella ancor più drammatica tra il 1575 e il 1577, ricomposta positivamente e lucrosamente per i Genovesi a partire dagli anni '80 -, il nuovo episodio riportava la costernazione in città, "per esservi quasi ognuno interessato chi ad un modo, chi ad un altro", come si esprimeva il governo nella lettera al G. del 7 dic. 1596. In essa si raccomandava di organizzare una pronta mobilitazione dei mercanti genovesi residenti in Spagna per ottenere la revoca del provvedimento, in attesa dell'arrivo a Madrid dell'ambasciatore: non perché il governo non nutrisse fiducia nello zelo del G., ma perché il sovrano si rendesse conto dell'allarme diffuso nel ceto dirigente come in tutto il mondo del lavoro genovese.
Dopo i toni drammatici del gennaio, intrecciati alle lodi per le iniziative e i contatti del G., dalla fine di marzo la pratica della sospensione si avviò a soluzione, e anche nuovi problemi (la vertenza con Milano per il sale, quella con Messina per l'ostilità nei confronti delle galee genovesi adibite al commercio della seta, varie questioni di precedenza e di osservanza di convenzioni e privilegi) trovarono positiva soluzione anche grazie all'abilità del G., che, nel febbraio 1598, ricevette una lode ufficiale per la sua "accesa carità" verso la patria. Alla scadenza del triennio, il G. si trovò costretto a prolungare la sua permanenza a Madrid per il riaggravarsi della questione del Finale.
Era pervenuta a Genova la notizia che il governatore del Finale aveva promesso a quello di Milano di consegnargli il Marchesato: disposta prontamente un'apposita commissione, la Repubblica mobilitò i suoi ambasciatori nelle varie sedi diplomatiche e inviò straordinari al papa e, ancora, al re di Spagna, questa volta nella persona di Giorgio Centurione. Con il Centurione, fornito di un dettagliato memoriale sugli inalienabili diritti genovesi sul Finale, il G. si incontrò a Valenza all'inizio di aprile del 1599; quindi i due si spostarono a Barcellona, dove rimasero fino alla fine di settembre, per ritornare a Madrid nella residenza del G., dove il Centurione e tutto il suo seguito furono alloggiati, su specifica indicazione del governo genovese. Fino alla fine del 1600 la questione del Finale fu affidata al Centurione e al G., che sul problema ebbe contatti diretti con Filippo II prima e con Filippo III poi.
Probabilmente il G. non riuscì a tornare in Liguria prima dell'inizio del 1602, quando la Repubblica nominò Giovanni Antonio De Marini nuovo ambasciatore residente a Madrid. Al De Marini, come agli ambasciatori degli anni successivi, fu raccomandata la questione del Finale facendo riferimento alle istruzioni date al G. e al Centurione e proponendo la loro esemplare sollecitudine. D'altra parte, che per il G. quello del Finale, e del Ponente in genere, fosse un problema in cui aveva competenza e interesse risulta confermato anche dal memoriale da lui presentato al Senato il 30 dic. 1606, il giorno in cui dichiarò di deporre la carica di senatore.
Nel memoriale, autografo e scritto con grafia chiarissima, conservato presso l'Archivio storico del Comune di Genova (Mss., 22: Memorie genovesi, cc. 618-649), il G. illustra le ragioni del dominio della Repubblica sopra la città di Albenga: ripercorrendo contrasti e privilegi da Federico Barbarossa fino al 1605, alterna documenti ufficiali, commenti giuridico-lessicali professionalmente competenti e considerazioni di "buon governo" sulla responsabilità di un degno ceto dirigente.
Non è nota la data di morte del G., che è tuttavia successiva al 1617, data in cui risulta ancora in vita.
In età piuttosto matura il G. aveva avuto cinque o sei figli dalla moglie Lelia Sauli; i maschi furono ascritti alla nobiltà genovese il 12 dic. 1606.
Il primogenito, Galeazzo, nato nel 1593, cavaliere di Santiago e comandante delle galee genovesi nel 1625 e di quelle di Napoli nel 1630, fu uno degli esponenti di punta del partito innovatore navalista, come l'ultimogenito Francesco Maria (chiamato Cesare in alcuni alberi genealogici), nato nel 1605. Gli altri figli furono Zenobia, poi moglie del marchese Adorno, probabilmente una Virginia, Giovan Battista, nato a Savona nel 1603 e senatore della Repubblica nel 1667, e Giovanni Agostino, nato nel 1601, che dalla moglie Vittoria Pignatelli ebbe un unico figlio, Cesare. Con questo nipote del G., nato nel 1630 a Napoli (dove evidentemente si ricongiunsero i membri della famiglia) e sposato senza prole, si chiude questo ramo dei Giustiniani.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Istruzioni del governo ai suoi ministri, anno 1599, Questione del Finale (contiene la corrispondenza del G. dal febbraio 1596 all'aprile 1600); Genova, Biblioteca universitaria, Mss., C.VIII.16: Alberi genealogici Giustiniani (senza numerazione di pagine); Ibid., Biblioteca civica Berio, Mss. e rari, X.2.168: A. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 483; A. Roccatagliata, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1893, p. 198; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, Genova 1934, p. 167; R. Ciasca, Istruzioni e relazioni degli am-basciatori genovesi, I, Roma 1955, ad ind.; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, pp. 279, 281; C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna, Torino 1978, pp. 260, 308 s.